UP STEP Consapevole a.p.s.
Per le tue richieste
  • Home
    • Consiglio Direttivo
    • Privacy e Policy
  • Blog
  • Credenziali UP STEP
  • STEP Academy
  • Corsi
  • Counseling
  • Insieme
  • Foto
  • Team
  • Iscrizione
  • RelazioneTirocinio

'Entropia delle Competenze' di Tania Tonon

10/7/2023

0 Comments

 
Foto
In fisica l’entropia è la misura del grado di disordine.
Rappresenta l’energia disponibile all’interno di un Sistema Chiuso.
L’interessante lettura che possiamo dare su di noi è proprio sul legame di energia e entropia.
Se l’entropia è bassa il sistema è ordinato e l’energia è massima.
Se l’entropia è alta il sistema è disordinato e l’energia è minima.
Nel libro “Il Potenziale Umano” (D. Trevisani - ed. Franco Angeli) si fa riferimento all’Entropia delle Competenze indicandola come la necessità di una sovrabbondanza di competenze imposta dai continui mutamenti degli scenari di mercato per poter “restare” nel ruolo. “...Il soggetto che possiede un bagaglio superiore rispetto al ruolo richiesto può esperire disagio, ma dall’altro lato è più flessibile rispetto a nuove esigenze o a spostamenti di ruolo, così come a mutamenti di scenario che pongano sfide nuove o superiori.”
Se non c’è consapevolezza c’è una possibile conseguenza:
MAGGIOR ENTROPIA → MAGGIOR DISORDINE→MINORE ENERGIA ⇒STRESS!
Nella medesima conseguenza può ricadere chi, poco disponibile al cambiamento, acquisisce nuove competenze con fatica, potremmo chiamarlo Entropia da Cambiamento.
Certamente l’uomo non è un sistema chiuso, siamo in grado di scambiare energia con il mondo esterno, cedere le energie negative e ricaricarci di energie positive.
Ma per non incorrere in questa tipologia di stress da competenze, senza ricorrere alla bioenergetica o alla psicoenergetica, per chi non ne conosce metodi e potenzialità, si può procedere con le buone vecchie abitudini usando carta e penna e ottenere il medesimo risultato.
Inoltre in ogni ambito lavorativo, un pratico esercizio per aumentare la propria consapevolezza sull’ aderenza al ruolo, per comprendere meglio ciò che serve sapere e come poter programmare l’autoformazione, potrebbe aiutare a iniziare meglio la giornata lavorativa o scoprire che forse abbiamo bisogno del cambiamento.
Ho cambiato da non molto mansione lavorativa, è stato un grande cambiamento, non facile e ancora in elaborazione. Non sapevo da dove iniziare e mi è stato utile, traendo spunto dal libro di cui sopra,  soffermarmi a trascrivere le competenze che ho sviluppato nel corso degli anni.
Con grande soddisfazione personale la lista non era corta, ho evidenziato quelle che potevo recuperare e inserito quelle che mancavano.
Cercando le micro-competenze degli skill già in mio possesso ho scoperto che alcune erano necessarie anche in quelle che mi mancavano, dovevo solo adattarle e chiedere aiuto a qualche collega per associarle correttamente. Non è stato tutto così semplice, mi sono posta obiettivi personali per acquisire i nuovi strumenti necessari, ma la consapevolezza di avere un bagaglio ricco e ordinato e capire come arricchirlo con metodo mi ha aiutato a sentirmi più sicura, ad allontanare l’ansia di non farcela e svolgere il mio lavoro con serenità anche e soprattutto quando c’è molto da fare.
0 Comments

'Spunti di Distrazione: Eudistrazione o Patodistrazione? di Laura Stabile

10/7/2023

0 Comments

 
Foto
Foto
​Una delle strategie che ho messo in atto come desensibilizzazione a quei momenti di eccessivo affaticamento fisico ed emotivo, nonché sovraccarico lavorativo, che hanno caratterizzato questi ultimi miei anni, è lo staccare l’attenzione dalla situazione reale focalizzandomi su curiosità o possibili altri interessi.
Interessi per temi non inerenti al mio lavoro (i viaggi, per esempio, o orticoltura, o argomenti di geofisica….o architettura…) o apparenti “relazioni” con persone che la contingenza non mi permette di coltivare.
E quale strumento più adeguato possediamo, sempre con noi, a portata di mano?
Lo SMARTPHONE!
Meravigliosa invenzione a cui tra mail, APP e siti internet, affidiamo spesso inconsapevolmente parte della nostra vita: pensate a cosa potrebbe succedere se lo dovessimo perdere, con tutti gli “username” e “password” che gli abbiamo inserito!
Le APP possono essere però subdole, sono prodotti commerciali studiati per attirare piacevolmente la nostra attenzione. E, “come una ciliegia tira l’altra”, ci ritroviamo a navigare nel mondo delle nostre curiosità inappagate diventandone dipendenti. Per non parlare poi se manteniamo attivi i “push” e le notifiche!
Diventano un input costante di continue nuove informazioni che cerchiamo di catturare ed assimilare, con uno “scrolling” che rischia di diventare un movimento ossessivo e compulsivo, rendendo la nostra attenzione sempre più frammentata….
Ma internet può essere anche un valido strumento di studio e di lavoro…. È il momento di combattere la distrazione!
Quali sono le vostre strategie?
0 Comments

'Wabi-Sabi: Consapevolezza dell'Imperfezione, Risorse di Serenità' di Dania Bertinazzi

10/7/2023

0 Comments

 
Foto
​Come ogni concetto nato in una cultura diversa e lontana dalla nostra, in questo caso il Giappone, wabi-sabi non è di facile traduzione; anzi si tratta di un concetto di fatto intraducibile letteralmente. Se superficialmente possiamo intendere wabi-sabi come semplicità e bellezza che deriva dallo scorrere del tempo, in realtà il significato è estremamente più articolato e complesso. Si può dire che, nato come sensibilità estetica, nei secoli  si è sviluppato per diventare una filosofia di vita che, applicata nel quotidiano, può aiutare a trovare serenità.
Ciò che davanti a questo suggestivo spaccato di una diversa cultura può emergere è la forza della consapevolezza che nulla è perfetto e nulla è eterno. Infatti nella visione wabi-sabi ogni cosa è incompiuta e quindi imperfetta e impermanente. 
Facendo propria questa consapevolezza, risulta più facile accettare la vita come si presenta, imperfetta e senza certezze di permanenza di ogni cosa.
Alcuni autori, come ad esempio Tomás Navarro (psicologo clinico), si ispirano ai presupposti del wabi-sabi per proporre un metodo di indagine della motivazione sottesa al nostro agire per orientare nella realizzazione di propositi, nell’individuazione delle priorità, nella gestione delle pressioni della vita e nella focalizzazione dei cambiamenti possibili. Tutti temi di interesse per un buon percorso di coaching e di crescita personale.
0 Comments

'Allenare l'intuizione' di Dania Bertinazzi

10/7/2023

0 Comments

 
Foto
​L’intuizione è una conoscenza immediata, non filtrata dal ragionamento o dalla logica. E’ un lampo che illumina qualcosa che non si riesce a vedere. E’ la percezione spontanea di una particolare informazione.
A me piace dire che è una incursione improvvisa, non mediata, nel campo della sapienza universale, nella coscienza cosmica dove tutto è noto e tutto è chiaro.
E’ una facoltà che si può anche considerare un dono che tutti abbiamo ricevuto ma che pochi usano.
Per potersi avvalere dell’intuizione, farla diventare un’alleata nella vita, è necessario dare spazio interiore al silenzio, riconoscere e accogliere il vuoto che ci abita, perché è nella calma della mente che si palesa.
La palestra per allenare l’intuizione è fatta di vari strumenti e attrezzi. Gli strumenti più efficaci che possono aiutare l’allenamento personale sono la meditazione praticata con regolarità, passeggiate in solitaria  o altre attività da svolgere in preziosa solitudine. L’elemento chiave è l’attenzione a tutto ciò che accade dentro e fuori di noi, ovvero accorgersi degli stimoli che arrivano e dei loro effetti, delle nostre risposte ad essi. Gli attrezzi che invece risultano utili all’allenamento possono essere ad esempio la lettura di libri che favoriscono l’ispirazione su determinati argomenti, l’ascolto di musica, la pratica di visualizzazioni, l’ascolto di podcast, parlare con qualcuno di ciò che ci appassiona, la scrittura di pensieri e desideri, ecc..
Come vale per ogni allenamento, l’impegno e la costanza daranno i frutti in termini di maggiore intuitività che sarà sicuramente di grande aiuto nell’affrontare le sfide che ogni giorno porta con se’. Provare per credere! 
0 Comments

'Confessioni di un Coach' di Cinzia Zocca

10/7/2023

0 Comments

 
Foto
La formazione per diventare Coach è un’esperienza che tutti dovrebbero fare della vita, sia che desiderino renderla una professione oppure semplicemente perché sono anime in cammino nel proprio percorso evolutivo.
Sono passati solo due anni da quando ho intrapreso questo viaggio e nel guardarmi indietro ricordo com’ero e oggi vedo una persona diversa.
Quel riverente timore di esprimere le mie emozioni con tutta la loro autentica forza ha ceduto il passo al desiderio di mostrarmi per quello che sono, lasciando cadere le maschere del perbenismo.
Ho fatto amicizia con le mie emozioni, anche se a volte contenerle è difficile. Abbandonando il giudizio e le aspettative (che sono sempre dietro l’angolo), ho imparato che le emozioni sono le mie preziose guide interiori e che il giudice più severo sono proprio io.
Associo questa consapevolezza alla leggerezza insita nel sapere che sono io l’artefice delle cose che mi accadono e dell’impatto che hanno nella mia vita e nelle mie relazioni. Perché anche l’evento più “negativo” ha qualcosa da insegnarmi e il “come” decido di affrontarlo cambia il mio modo di viverlo.
Ho accettato il mio corpo, che nel tempo è cambiato, e sono grata perché è lo strumento con cui le mie emozioni si manifestano e mi sussurrano preziosi consigli. Ho imparato ad ascoltarlo ogni volta che devo prendere una decisione importante e lo accetto per come è oggi: sano, vivo, esperto.
Adatto la prospettiva ogni volta che diventa funzionale al mio ben-essere e mi assumo la responsabilità di ciò che faccio e soprattutto di ciò che penso.
E quando i pensieri si aggrovigliano nella mia mente annebbiando la mia lucidità, mi radico con il respiro e ritorno al corpo, il mio maestro.
Essere un coach significa innanzitutto essere responsabili e consapevoli di chi siamo.
Un coach non giudica ma ascolta ciò che le parole non dicono, perché è insita nell’essere umano la capacità di comunicare con tutto sé stesso: il corpo non mente.
Non c’è un buono né un cattivo modo di essere, siamo come siamo, e accettare questa verità è il primo passo della nostra evoluzione verso la miglior versione di noi stessi.
Misurando a piccoli passi i miei obiettivi, costruisco l’oggi e pongo le basi per il mio domani.
Ho assaporato il sapore della libertà e ora posso darmi il permesso di scegliere come e con chi riempire la mia vita.
E, nel dubbio, la domanda che mi pongo è: cosa o chi mi rende felice?
0 Comments

' Smettere di lamentarsi' di Fabrizio Setti

10/7/2023

0 Comments

 
Foto
A chi non è mia capitato di lamentarsi?
Diciamo che la lamentela fa parte della nostra vita perché ci aiuta a rendere più sopportabili, almeno per qualche minuto, le situazioni avverse che ci capitano e ci fanno stare male. Ci sentiamo in qualche sollevati nel rendere partecipi le altre persone del nostro disagio.

Tuttavia non sappiamo che la lamentela danneggia, oltre che noi, anche chi la subisce! Il lamento continuo è una modalità della mente che non aiuta per niente a risolvere i propri problemi. Quando ci lamentiamo sprigioniamo tanta energia negativa che attiva anche in chi ci ascolta, il cortisolo, l’ormone dello stress. Questo ormone ha effetti sull’ippocampo, zona del cervello che ha importanza nel processo di apprendimento ed è responsabile della memoria e dell’immaginazione.

Non ci stupiamo se dopo aver subito le lamentele di un nostro amico ci sentiamo poco creativi, tristi e depressi. L’effetto è uguale sia per chi emette che per chi riceve!

Uno studio condotto dalla Stanford University ha dimostrato che una mezz’ora di ascolto di lamentele è pericolosa perché i neuroni che ne risentono e perdono la capacità di elaborare creativamente delle soluzioni. Essi vanno letteralmente in “modalità off” perché il cervello attraverso le sinapsi cataloga gli impulsi ricevuti e reputa le lamentele di basso livello. Da non sottovalutare anche gli effetti negativi sull’organismo come l’abbassamento delle difese immunitarie e in particolare sull’apparato digerente che può riscontare l’insorgere di coliti e gastriti.
Lamentarsi, inoltre, tende a diventare un atteggiamento radicato che ci rende pessimisti. La nostra mente risulta piena di emozioni negative come rabbia, tristezza, angoscia e invidia. Questa tipologia di emozioni attiva una spirale dalla quale diventa difficile sottrarsi e ci impedisce di riconoscere gli spiragli di positività. Le lamentele non ci fanno vedere la realtà per quella che è.

Come possiamo fare, quindi, per cercare di smettere di lamentarci?
1. La prima cosa da fare è cercare di capire perché lo facciamo. Spesso infatti la lamentela può essere un modo per attaccare bottone con persone che non conosciamo. Oppure ci serviamo della lamentela come di una richiesta: “accidenti ho avuto una giornata veramente pesante e non sono neanche riuscito a pranzare…andiamo a mangiare una pizza?” Spesso ci si lamenta per sottrarsi alle proprie responsabilità e quindi la lamentela diventa una strategia (per niente utile però) per gestire la situazione senza farsene veramente carico. La maggior parte delle volte però è per attirare l’attenzione su di se e ricevere quindi affetto e compassione dagli altri.

2. Provare a mettersi nei panni dell’altro che subisce le nostre lamentele anche alla luce dei risultati delle ricerche citate in precedenza.

3. Allenarsi nell’individuare (prima della lamentela) le cose che non dipendono in alcun modo da noi, chiedendosi: “visto che non dipende da me, ha senso lamentarmi e preoccuparmi e irritarmi continuamente per cose che per quanto possa lamentarmi, non si sposteranno mai neppure di un millimetro?”

4. Affrontare le situazioni che dipendono da noi o sulle quali si può avere una qualche minima influenza. Facendo presenti le nostre istanze si smetterà così di mugugnare e lamentarsi. 5. Concentrati sulle cose che ti rendono felice, perché ci sarà sempre qualcosa che non va come vorremmo e quindi potenzialmente potremmo passare la vita a lamentarci (cosa che fa male a noi ed agli altri) oppure essere grati per le cose belle che abbiamo o che stanno per arrivare.

“Lamentarsi di una cosa spiacevole significa raddoppiare il male, riderne significa distruggerlo.” (Confucio)
0 Comments

'Come vivere meglio, alcuni modi per amare se stessi!' di Vito Ferrara

4/7/2023

0 Comments

 
Foto
​Ho scelto di parlare di questo argomento perché spesso non siamo capaci di amarci quanto dovremmo e questo influisce sulle nostre capacità anche in altri ambiti della nostra vita come le relazioni con gli altri, il lavoro, lo sport ecc…
Dalle varie ricerche ed esperienze che ho vissuto, ho notato che i metodi per “imparare ad amarsi” sono davvero illimitati e ognuno alla fine mette in pratica quello che sente più affine alla propria persona.
 Personalmente ho trovato fondamentali nel mio percorso di crescita personale:
  • SMETTERE DI AUTOGIUDICARSI: I giudizi specie quelli negativi sono spesso distruttivi, ricordiamo che l’inconscio non è capace di scindere la verità e assume tutto ciò che diciamo come se fosse una certezza assoluta, dunque se ogni volta in cui falliamo in qualcosa ci ripetiamo ad esempio che siamo dei falliti allora l’inconscio prenderà questa informazione e la immagazzinerà passivamente nel nostro cervello senza considerare il fatto che quel giudizio poteva essere dettato da un momento di sconforto o di delusione. Appare utile in tal senso imparare a sostituire la critica e i giudizi con complimenti e approvazione, è importante a tal fine riuscire a trarre il positivo anche da una situazione di fallimento e celebrare i momenti in cui si è riusciti a raggiungere un obiettivo.
  • IMPARARE AD ACCETTARE LA REALTÀ E NON AVER PAURA DI CAMBIARLA: Capita spesso che abbiamo momenti in cui non riusciamo ad essere felici perché magari facciamo uno sport che non ci piace, perché abbiamo un lavoro non appagante ecc.... In questi casi non sono rare le situazioni in cui siamo talmente spaventati dall’idea di ammettere di essere tristi che ci autoconvinciamo di essere felici e di occultare di conseguenza quella che è la realtà. Sarebbe utile in tal senso imparare a riconoscere quella che è la realtà e ad accettarla solo così troveremo il coraggio di ammettere di non essere felici e riuscire così a intraprendere un percorso di cambiamento.
  • CURARE MEGLIO IL PROPRIO FISICO: “Mens sana in corpore sano” «mente sana in corpo sano» questo proverbio latino esprime in maniera esaustiva quello che è il concetto di cui avrei voluto parlare, è importante al fine di amare sé stessi riuscire convivere bene con il proprio corpo. Ricordiamo che il corpo è anche la casa della nostra anima dunque merita tutte le cure e le attenzioni dovute.
0 Comments

'Business e Coaching: una simbiosi perfetta' di Vito Ferrara

4/7/2023

0 Comments

 
Foto
​Recenti studi hanno dimostrato come le aziende che si affiancano ad un business coach riescano a migliorare non solo la propria efficienza in ambito produttivo ma anche la propria redditività.
Il Business Coach è una figura professionale che si affianca ad un singolo individuo (che può essere un manager, un imprenditore o un dipendente) o a un gruppo di persone al fine di aumentarne le proprie performance migliorando al contempo la consapevolezza dei propri mezzi ed eliminando tutti quei pensieri definiti come limitanti.
Dalle varie ricerche e studi che ho effettuato ho riscontrato tre importanti macro aree in cui è possibile suddividere il business coaching:
  1. Corporate Coaching: nel Corporate coaching il coach lavora soprattutto con l’organo direttivo ma non sono rari i casi in cui si presta a fornire sessioni singole, o di gruppo, anche ai dipendenti. Il corporate coaching risulta essere particolarmente indicato per quelle aziende che mirano a responsabilizzare e aumentare la performance del proprio capitale umano al fine di gestire al meglio le situazioni di straordinaria gestione.  L’obiettivo principale del coach sarà far focalizzare il coachee su temi quali: il team building, lo sviluppo della leadership, la gestione dello stress, la consapevolezza nei propri mezzi, la comunicazione ecc…
  2. Executive coaching: nell’executive coaching il lavoro del coach si concentrerà soprattutto nell’area manageriale ed esecutiva di un’azienda, il coach si focalizzerà in tal caso soprattutto nell’aiutare chi gestisce gruppi di persone a migliorare la propria capacità di leadership e la propria capacità comunicativa.
  3. Team coaching: nel Team coaching il lavoro del coach si focalizzerà su quelle che sono le varie dinamiche del gruppo, il suo obiettivo principale sarà quello di migliorare la coesione all’interno del team, quest’ultima molto spesso è ostacolata da vari fattori tra cui: gelosia, voglia di primeggiare, dinamiche di potere, scarsa comunicazione e formazione di sottogruppi.
0 Comments

'Cambia-menti: come cambiare la propria vita' di Vito Ferrara

4/7/2023

0 Comments

 
Foto
Cambiare macchina è molto facile, Cambiare donna un po' più difficile Cambiare vita è quasi impossibile…
Cantava così Vasco Rossi in una sua canzone, cambiare vita in effetti sembra, all’apparenza, impossibile però in realtà “basta allenarsi”; in questo senso vorrei parlare del metodo ideato da Estanislao Bachrach, illustrato nella sua celebre opera: “Cambia il cervello, cambia la vita. Impara a riprogrammare la mente per eliminare le cattive abitudini e vivere felice.
 Nell’opera l’autore spiega che il cervello umano cambia e si modifica in base alle esperienze vissute; al fine di perseguire un cambiamento importante spiega l’autore sarà fondamentale imparare allenare la nostra mente a rispondere diversamente alle situazioni negative, l’autore ha descritto diversi metodi personalmente però vorrei citare quelli che mi hanno colpito di più e che nella mia esperienza mi sono stati più d’aiuto:
  • IMPARARE A PRENDERSI UNA PAUSA: capita spesso che quando perdiamo le staffe, agiamo di impulso e prendiamo molte decisioni affrettate dettate dal momento che alla fine portano ad un risultato diverso da quello che avremmo voluto ottenere seguendo questo schema significa allenare la propria mente a seguire questo stile come se fosse pre-impostato; proprio per questo motivo, spiega l’autore, sarà importante allenarsi a “mettersi in pausa” ovvero imparare a prendersi un attimo prima di prendere qualche decisione o semplicemente di agire, questa pausa ci sarà fondamentale per riflettere, per capire meglio la situazione, per gestire meglio l’ansia, la rabbia o lo stress. Seguendo questo metodo daremo al nostro cervello altri tipi di input rispetto a quelli negativi di cui abbiamo parlato precedentemente e lo alleneremo a rendere la visione che ha della vita come più positiva.
  • SMETTERLA DI SCARICARE I PROBLEMI SUGLI ALTRI: spesso, quando non si riesce in un risultato o una determinata situazione non è andata come avremmo voluto, siamo indotti a fare carico sugli altri delle responsabilità questo al fine di “renderci più leggeri” ma così facendo spiega l’autore è come se ci trasformassimo in una eterna vittima passiva e in quanto tale saremmo incapaci di perseguire il cambiamento al fine di evitare ciò sarebbe utile cominciare a prendersi le proprie responsabilità, avere il coraggio di dirsi “Ho sbagliato” evitando di far ricadere sugli altri l’onere delle responsabilità
  • SMETTERLA DI ETICHETTARE LE PERSONE: spesso siamo portati a etichettare le persone e senza neanche conoscerle le definiamo magari come arroganti, avare, stupide ecc… questo è un comportamento molto dannoso poiché il nostro cervello una volta che ha etichettato una persona ad esempio come irresponsabile è come se la inserisse nel gruppo dedicato agli irresponsabili perdendo di conseguenza la capacità di trattarla come un individuo a sé.
0 Comments

'Urgente - Importante' di Giovanni Pavani

3/7/2023

0 Comments

 
Foto
Organizzare le attività quotidiane, segnando tutti gli impegni nell'applicazione dello smartphone, oppure su un foglio, è indispensabile per non perdersi tra le mille sollecitazioni a cui è sottoposta la nostra attenzione il giorno d'oggi.
Tutti vogliono la nostra attenzione per venderci qualcosa, poi ci sono gli impegni familiari e professionali.
Nel creare una lista di cose da fare, generalmente annotiamo per prime le cose urgenti, non sempre ci chiediamo se il primo impegno della lista è quello  più importante, oltre che urgente.
Il livello di importanza varia in base al peso e al significato che diamo ad un'azione che abbiamo pianificato. Questi elementi, a loro volta, dipendono dall'impronta che abbiamo deciso di dare al nostro percorso professionale e quello relativo alla vita privata.
Nel pianificare un'attività sarebbe buona regola chiedersi sempre il livello di importanza: "Dove mi porterà questa cosa?" - "Questa azione rispecchia chi sono veramente o chi voglio diventare?" - "Ho preso in considerazione i miei veri obiettivi nel pianificare la giornata?" - "C'è traccia dei miei valori di riferimento nella 'to do list'?".  Si tratta dunque di prendere in mano la "bussola" e rivedere le urgenze in base al livello di importanza delle azioni.
Stephen Covey, straordinario autore di libri sulla crescita personale e professionale, famoso per il libro: "The seven Habits of Highly Effective People", riporta regolarmente nei suoi libri la Matrice Decisionale di Eisenhower, uno schema di quattro quadranti che sintetizzano le caratteristiche di urgenza ed importanza delle azioni quotidiane.
La citazione di Eisenhower stesso, che da il nome allo schema, a questo punto è d'obbligo: "Ho due tipi di problemi, quelli urgenti e quelli importanti. Gli urgenti non sono importanti, e gli importanti non sono mai urgenti".
Tenere un foglio bene in vista, sulla scrivania, oppure appeso al muro, in cui ci si annota la lista aggiornata dei nostri valori e dei nostri obiettivi, è una buona strategia per creare liste di impegni congruenti con chi siamo veramente e chi vogliamo essere.
0 Comments

'Calma la scimmia che hai in testa' di Fabrizio Setti

3/7/2023

0 Comments

 
Foto
Per la tradizione buddhista ognuno di noi ha nella testa una scimmia che chiacchiera, reagisce in modo eccessivo, si dimena per attirare l’attenzione..
Questa scimmia che blatera e ci consiglia sempre cosa fare e dove andare persegue due obbiettivi principali: tenerci al sicuro ed evitare di farci fare brutte figure.
Se però non viene tenuta a bada può generare ansia, irrequietezza, confusione e paura.
Uno dei metodi più efficaci per rimettere la scimmia al suo posto ed evitare che i pensieri generino ansia o attacchi di panico è la respirazione “Zen” o diaframmatica.
Praticata per almeno due volte al giorno tale respirazione porterà enormi benefici in quanto va a stimolare il il sistema nervoso parasimpatico contrastando l’azione del sistema nervoso simpatico, che è proprio dove vive la scimmia.
Se la scimmia infatti urla sempre più forte e non vi da tregua, la respirazione zen, riportandovi al qui ed ora, farà cessare quel frastuono portandovi ad un piacevole stato di calma.
Un alto metodo per “disinnescare la scimmia” è quello di mettersi in ascolto della scimmia.
Bisognerebbe quindi sostituire tutti i pensieri negativi o limitanti con espressioni positive, per esempio: “ho mille preoccupazioni” diventa “cavalco le onde delle preoccupazioni” oppure “e se faccio fiasco come in passato?” “il passato non esiste, esiste solo il qui ed ora” e far diventare i più frequenti dei veri e propri mantra in positivo.
Altro metodo per ingannare la scimmia è quello di usare il Kaizen, che significa miglioramento.
Più precisamente si tratta di attuare un miglioramento continuo a piccole dosi per raggiungere
l’obiettivo che ci siamo prefissati. Quindi prima di tutto va trovato un obiettivo per esempio voglio smettere di fumare. Il trucco sta quindi nel diminuire costantemente a piccole dosi in modo che la scimmia non se ne accorga ed arrivare col tempo a smettere completamente.
Il Kaizen consiste quindi in piccoli progressi giornalieri verso la meta.
Il film Hollywoodiano è invece il metodo di crearsi in testa un film su come le cose dovranno andare…un po’ come un auto ipnosi.
Se la situazione che dobbiamo affrontare ci spaventa o emoziona in maniera particolare e la nostra scimmia inizia ad agitarsi già diversi giorni prima dell’evento che ci vede protagonisti allora possiamo sdraiarci, praticare la respirazione diaframmatica ed immaginare la situazione che ci spaventa come vorremmo che andasse nei minimi dettagli.
Dovremo quindi vedere la scena prima dall’alto (tutto quello che succede) e poi in prima persona, come la vedremmo dai nostri occhi.
E’ stato scientificamente dimostrato che quando si visualizza un’azine a livello subconscio si
attivano le stesse e mappe cerebrali di quando si compie quell’azione nella realtà.
Quindi giriamo il film hollywoodiano per prepararci al meglio ad affrontare le sfide della vita.
Un atro suggerimento è uscire dalla nostra testa con esercizi di meditazione.
Il più semplice è quello di cercare di ascoltare il respiro: immaginare l’aria che entra mentre si
inspira, che scende e che risale per poi uscire con l’espirazione.
La meditazione ci aiuterà a rimanere presenti anche in momenti di forte stress emotivo.
Mantenere il cervello in salute è un’altra cosa indispensabile per vivere una vita lunga e felice.
Con la neurobica possiamo invece allenare il cervello
La neurobica è come l’aerobica per il resto del corpo una ginnastica per il cervello.
La neurobica stimola la capacità naturale del cervello di produrre nuovi neuroni attraverso la
secrezione di neurotrofine comunemente note come “il cibo del cervello”.
Gli esercizi neurobici incoraggiano ad usare tutti i 5 sensi in modi nuovi e diversificati.
Il primo esercizio che ci consiglia è quello di sistemare i vestiti ordinatamente la sera prima di
andare a dormire per poi la mattina seguente provare a vestirci ad occhi chiusi.
Escludendo la vista si utilizzerà e svilupperà maggiormente il tatto.
Gli esercizi ad occhi chiusi possono essere allargati anche ad altre attività giornaliere come fare la doccia, ascoltare la musica o mangiare. Quest’ultima azione fatta ad occhi chiusi avrà un vantaggio collaterale, ovvero quello di mangiare di meno.
Rimanendo sul tema tatto, si può provare ad usare la mano non dominante per lavarsi i denti,
scrivere o tenere il mouse.
Come sappiamo la parte destra del cervello controlla la parte sinistra del corpo e la parte sinistra controlla la parte destra del corpo. In questo modo andremo a stimolare cellule del cervello usate di rado.
Altro eccellente esercizio di neurobica è guardare al contrario orologi, calendari e tutti gli oggetti che si possano capovolgere. In particolare nella lettura capovolta, lemisfero destro assume la dominanza sul sinistro e ciò ha l’effetto di migliorare la percezione delle relazioni spaziali e della propria posizione nello spazio. Anche leggere ad alta voce è un ottimo esercizio neurobico.
Come al solito ancora la meditazione risulta essere un fantastico esercizio neurobico perché mette in pausa l’emisfero sinistro che è il luogo dove dimora la scimmia.
Spesso ci capita di ammalarci prima di eventi importanti, gare, conferenze o prima di andare in
ferie.
Rafforzare il sistema immunitario attraverso delle visualizzazioni sulla forza del nostro sistema,
mentre scaccia i virus immunitario è un buon metodo per non ammalarsi prima di eventi per noi importanti.
Ecco ora avete degli efficaci metodi per disinnescare la scimmia che parla nel vostro cervello.
0 Comments

'La tecnica del pomodoro' di Stefano Orlandini

2/7/2023

0 Comments

 
Foto
​La tecnica del pomodoro è un metodo di gestione del tempo, ideato alla fine degli anni ’80 da Francesco Cirillo. Questa tecnica prende il suo nome banalmente da un classico timer da cucina a forma, appunto, di pomodoro.
Questa tecnica di gestione del tempo è davvero semplice nella sua applicazione, ma proprio per questo si rivela particolarmente efficace, in quanto aiuta prima di tutto a mantenerci concentrati sull’attività che programmiamo di svolgere, ma in maniera funzionale.
La tecnica del pomodoro non ha nulla di fantascientifico e per essere applicata prevede 5 semplici passi:
1 deve essere scelta un’attività complementare;
2 va impostato il timer per 25 minuti;
3 si lavora all’attività senza distrazioni finché il timer non avrà suonato;
4 dopodiché, prendere una pausa di 5 minuti;
5 ogni 4 “pomodori” è concessa una pausa più lunga di 15-30 minuti.
Nonostante questa tecnica sia davvero semplice nel suo utilizzo, ci sono comunque degli accorgimenti che è importante tenere a mente:
Non diventare un “collezionista” di pomodori: bisogna prima di tutto imparare a collegare i pomodori giornalieri ad attività ben definite. A tal proposito potrebbe essere molto utile fare una lista di attività che si vogliono completare nell’arco della giornata ( ricordando sempre di definire gli obiettivi in modo S.M.A.R.T.) ed ordinare in base alle priorità (aiutandoci con la matrice di Eisenhover).
Per ogni attività è importante poi individuare il numero di pomodori che stimiamo siano necessari
( l’attività deve essere sempre misurabile). Quindi, per ogni pomodoro portato a termine è possibile mettere una “ X” di fianco alla relativa attività.
Imparare a gestire con efficacia le interruzioni: una delle più comuni cause di scarsa produttività lavorativa, e non solo, è proprio legata alle interruzioni. Capita spessissimo che nel momento in cui la nostra mente finalmente si è concentrata sull’attività che sta svolgendo, arrivi immancabilmente la temuta interruzione. Che sia una mail, una telefonata, un rumore non importa: la nostra attenzione comunque si blocca per spostarsi su un altro stimolo e bisogna ricominciare da capo. All’inizio 25 minuti saranno veramente lunghi senza nessun tipo di distrazione. Probabilmente all’inizio non sarà così e magari si arriverà a 10, 15 minuti per ogni pomodoro senza cedere ad alcuna tentazione. Anche questo fa parte dell’allenamento, Per gestire le interruzioni, sia interne(distrazioni) che esterne (telefonate, mail, visite di colleghi, amici, partner, etc.), vengono proposti una serie di suggerimenti da mettere in pratica. Ogni volta che si sta per cedere ad una distrazione durante lo svolgimento un pomodoro, trascrivere sul foglio dove si sono segnate le attività ciò che si vorrebbe fare es: “voglio controllare il telefono”. Dopodiché si torna a lavorare. Mettendo nero su bianco la distrazione, di fatto la depotenzierai. Per quanto riguarda le interruzioni esterne, come ad esempio quelle attuate da colleghi di lavoro, partner o familiari, Cirillo suggerisce il meccanismo informa, negozia e richiama, che consiste nel : 1)informare la persona che ci sta interrompendo che stiamo lavorando ad altro 2)negoziare rapidamente un altro momento per discutere la questione 3) richiamare la persona che ci ha interrotto.
Non cadere nella trappola del “ ancora 2 minuti” : se all’inizio un pomodoro ci potrà sembrare incredibilmente lungo, ad un certo punto della pratica arriveremo invece a percepirli come davvero brevi. Quando i 25 minuti sono terminati, bisogna necessariamente terminare ciò che si sta facendo. Prolungare un pomodoro, al contrario, porta a generare dei meccanismi mentali di compensazione: “ho lavorato 40 minuti, quindi posso prendermi una pausa di 20 anziché 5”, generando il rischio di non rispettare più le attività programmate.
Sfruttare le pause in modo intelligente : durante le pause, soprattutto le più brevi, sarebbe bene non svolgere attività quali guardare il cellulare, rispondere alle mail o andare sui propri social; sedentarietà della sedia, come ad esempio prendere un the, fare degli esercizi di distensione muscolare e così via.
0 Comments

'Career coaching (con un linguaggio visuale)' di Stefano Orlandini

2/7/2023

0 Comments

 
Foto
​Il mondo del lavoro sta subendo importanti evoluzioni; la dimensione professionale occupa sempre più tempo nella vita delle persone le quali si trovano a fronteggiare situazioni di crisi, incertezza, ma anche di crescita e nuove opportunità. Molti lavoratori tendono a sviluppare una percezione instabile della propria vita professionale, trovandosi così a gestire momenti di disagio e di difficoltà. All’interno di questa cornice vi è una richiesta sempre più ampia, da parte dei lavoratori, di ricevere un supporto da professionisti per riuscire a gestire al meglio la propria vita professionale. La richiesta di supporto relativa allo sviluppo di carriera ho notato che gli elementi che accomunano maggiormente le persone sono principalmente due:
Paura del cambiamento, nonostante la decisione di intraprendere un cambiamento professionale sia dettata dalla persona stessa, “cambiare” vuol dire uscire dalla propria zona di comfort della quale si conoscono pregi, difetti e confini.
Incapacità di immaginare uno scenario futuro, spesso la persona è così ancorata agli aspetti negativi delle dimensioni del passato e del presente da essere frenato nel delineare con precisione i tasselli che costituiscono una situazione desiderata.
Relazionarsi con persone che si scontrano con difficoltà e resistenze a identificare il loro disagio e i loro obiettivi si cerca di introdurre un linguaggio differente da quello prettamente verbale: il linguaggio visuale (scrittura e/o disegno).
Il disegno aiuta il cliente a dare un significato al proprio vissuto creando anche una situazione giocosa; allo stesso modo la scrittura viene vissuta in una modalità creativo-espressiva non richiedendo un approccio narrativo tradizionale.
Questo permette di creare anche una relazione paritaria fondata sulla definizione di un linguaggio comune riducendo eventuali interpretazioni derivanti dal mondo ed esperienza personale del professionista.
L’ approfondimento  di strumenti visuali in questa tipologia di relazione sono riuscito a cogliere meglio, e a sensibilizzarmi, rispetto al disagio di partenza che le persone portano con sé in questo percorso:
  • difficoltà ad esprimere il vissuto emotivo rispetto alla situazione che stanno vivendo;
  • difficoltà ad identificare il proprio disagio;
  • tendenza a sviluppare un atteggiamento d’attesa di una soluzione data, rispetto al problema;
  • difficoltà ad identificare le risorse in loro possesso;
  • bassa resilienza, approccio negativo e inibitorio, che impedisce azioni funzionali all’obiettivo.
I segnali più interessanti emersi:
  • maggiore consapevolezza rispetto alla problematica;
  • chiarezza nell’obiettivo;
  • motivazione più elevata verso l’avvio di un cambiamento;
  • senso di responsabilità verso il percorso da intraprendere per raggiungere l’obiettivo;
  • maggiore positività verso il futuro;
  • determinazione.
 
Introdurre la  scrittura o il  disegno permettono al cliente di focalizzare i propri punti di forza, di debolezza, minacce ed opportunità; consentono di identificare gli ostacoli nelle scelte di carriera ma favoriscono un atteggiamento più positivo di sé che permette di rispondere in maniera resiliente alle sfide della vita.
Altro elemento vantaggioso dello strumento visuale è dato dalla possibilità di co-costruire la rappresentazione grafica del pensiero, dandone quindi concretezza sia per il fatto che viene rappresentato visivamente, sia per il fatto che il cliente può utilizzare la visualizzazione per riflettere e sviluppare nuovi obiettivi e chiavi di lettura in un personale momento di riflessione al di fuori della relazione col professionista.
 La tecnica “post–it” la uso sempre in maniera flessibile, condividendola con la persona. Questo dà la possibilità di rivedere come il lavoro è cambiato in questi anni e come abbia un forte valore impattante nella vita di ognuno di noi. L’elemento che considero maggiormente innovativo è stato quello di provare ad introdurre durante gli incontri degli strumenti differenti dal dialogo ma legati alla scrittura. L’utilizzo dei post – it è stata una chiave molto interessante che potrebbe costituire la basa sulla quale iniziare a costruire delle mappe o degli strumenti per arricchire la mia cassetta degli attrezzi.
0 Comments

'Alla scoperta del Daimon' di Stefano Orlandini

2/7/2023

0 Comments

 
Foto
​L’Eudaimonia, la forza che accende il nostro fuoco interiore, ci porta direttamente al concetto di Daimon, concetto che mi affascina e che ho desiderato approfondire.
Il daimon è la voce segreta dell’anima, un richiamo che ci invia messaggi talvolta inquietanti, ma che ci induce a realizzare il nostro destino e diventare ciò che autenticamente siamo.
Il concetto di daimon è presente nel pensiero di J. Hillman, studioso delle strutture archetipiche del mito. Nel suo libro più noto, Il Codice dell’Anima, racconta le vite di personaggi famosi e dimostra come le scelte decisive sono dovute appunto al daimon dal quale dipende la realizzazione del nostro destino. La teoria della ghianda di Hillman, spiega che ciascuno di noi possiede in sé l’essenza di ciò che è destinato ad essere, la propria vocazione. Come nella ghianda è presente la quercia che non attende altro che di esprimersi, allo stesso modo ciascun individuo è portatore di una unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima ancora di essere vissuta.
Questa “essenza” è riconosciuta anche da A. Maslow che scrive: “Le attitudini pretendono di essere sfruttate e cessano di protestare soltanto quando vengono adoperate in misura sufficiente. Vale a dire, le capacità sono bisogni, e pertanto sono pure valori intrinseci…”.
Allo stesso modo C. G. Jung sostiene che il daimon è la vocazione dell’anima, un’immagine primaria che pulsa nell’essere umano richiamandolo ai suoi talenti e alla sua chiamata interiore. Un archetipo che risiede in noi e che, nonostante i traumi, le condizioni di vita (e la crudele amnesia dell’essere umano nei suoi confronti), grida per ricordargli la motivazione per cui è al mondo.In tempi più recenti, I. Dionigi nel suo libro, Segui il tuo demone, scrive “Nozione complessa, quella del demone, «equivoca e inafferrabile» per la sua duplice appartenenza alle sfere religiosa e filosofica, e per la sua duplice dimensione esterna e interna all’uomo, già a partire da Omero e dal pensiero pitagorico. Un concetto che progressivamente slitta dal piano mistico e religioso a quello umano, senza tuttavia recidere completamente il filo che lega terra e cielo, visibile e invisibile, dentro e fuori: e che sarà alla base stessa dell’idea di «felicità» (eudaimonia): quello stato nel quale siamo assistiti da un «buon (eu) demone (daimon)», una sorta di angelo custode”.
 Ma cosa è davvero il daimon e perché è così importante?
Dal punto di vista etimologico la parola non ha un’origine certa ma l’ipotesi più accreditata vuole che derivi dal greco, letteralmente “distribuire destini”. In questa accezione il daimon è un’entità o energia che assegna all’essere umano il proprio destino personale.
Il termine fu poi adottato dalla cultura romana. In latino daemon , letteralmente “demone”. In senso figurato è inteso invece come “spirito” o “genio”, personificazione di una passione che agita il cuore dell’uomo.
Nella lingua italiana la traduzione è “demone“: una entità intermedia tra il divino e l’umano, capace di influire beneficamente o maleficamente sulle nostre azioni. Nel suo significato originario il daimon non è un essere negativo (il demonio) ma ha una duplice natura, benefica e malefica.
Il filosofo Platone nel Mito di Er raccontato nella Repubblica, ne delinea i tratti e la funzione e lo trasforma in uno degli archetipi più importanti della cultura occidentale. Il Mito di Er narra di come l’anima, prima della nascita, scelga il proprio destino come immagine primordiale da seguire. All’anima viene donato un genio tutelare che la accompagna, il daimon, la cui funzione è quella di ricordarle il suo destino e di assicurarsi che venga realizzato. Questo perché l’anima, una volta incarnata nel corpo, dimentica tutto ciò che è accaduto precedentemente e pensa di essere nata vuota. Solo grazie al daimon non perderà la memoria del proprio destino.
Gli studi di Jung e Hillman hanno fatto del daimon un concetto cardine della psicologia analitica insegnandoci l’importanza di riconoscere la vocazione come un dato fondamentale dell’esistenza umana a cui l’intera nostra vita deve tendere.
Dal rapporto con questa entità interiore, dipende la possibilità per noi esseri umani di esprimere la nostra vocazione. Nel momento in cui rifiutiamo di entrare in relazione con il nostro daimon questo ci tormenterà per la vita intera.
 Perché è così difficile stabilire un rapporto positivo con il nostro daimon?
Il mito narra che dopo la nascita l’essere umano dimentica il disegno che la sua anima ha scelto, come pure la sua vocazione, il suo genio e i suoi talenti. Molti di noi vorrebbero esprimere le proprie vocazioni e vorrebbero che i propri talenti fossero riconosciuti da chi ci circonda. Non essere in grado di esprimere il nostro daimon può causare un senso di frustrazione. Qualcuno pensa di non avere una vocazione particolare o addirittura di non averne nessuna. Solo pochi sentono chiara la voce del proprio daimon e riescono a instaurare con questo un dialogo. Chi ne è capace manifesta apertamente i propri talenti, ottenendo successo e riconoscimento.
La motivazione principale per cui questo accade è che il daimon non è parte della nostra identità sociale. Il daimon anzi è fuori da tutto ciò che comporta il rispetto delle regole sociali, familiari, culturali, etiche e morali; non desidera compiacere nessuno. Il daimon è un archetipo dell’inconscio e in quanto tale pura esplosione creativa, un’energia incompresa dalla realtà esterna.
Quello che troppo spesso facciamo è non dare ascolto al nostro daimon, non sentire la sua chiamata, rinunciando così a seguire la nostra vocazione.
0 Comments

'Compassione: emozione o sentimento?' di Dania Bertinazzi

2/7/2023

0 Comments

 
​Quando sei nella sventura e cerchi compassione dal prossimo, gli porgi una parte del tuo cuore. Ti ringrazierà, se ha buon cuore; se ha il cuore duro, ti disprezzerà
Khalil Gibran
Foto
​Il Dizionario Garzanti di Psicologia definisce la compassione come “partecipazione emotiva al dolore altrui che si esprime attraverso un sentimento di solidarietà alla base del quale c’è per A. Schopenhauer la consapevolezza della comune partecipazione al carattere doloroso dell’esistenza. […]
 
Dunque compassione, quale emozione o sentimento?
 
Secondo la suddetta definizione sembra si tratti di entrambi. Infatti, dapprima risulta essere un’emozione; quando ci si trova di fronte al dolore altrui “si muove il sangue” ovvero il sentire psichico si manifesta nel corpo sotto forma appunto di emo-zione, azione del sangue (ad esempio contrazione muscolare allo stomaco, aumento del battito cardiaco o stretta al cuore, respirazione corta, sudorazione) e poi, superata la manifestazione fisica si tramuta in sentimento quale effetto ed espressione dell’emozione sedimentata.
 
Secondo Tiffany Watt Smith (storica culturale), autrice di “Atlante delle emozioni umane”, per trovare espressione, la compassione ha bisogno di contare sulla nostra disponibilità a far emergere le parti vulnerabili di noi stessi. Per farlo è necessario un  cuore coraggioso che non ha paura di aprirsi al mondo. Inoltre è necessario disporre di saggezza per abbracciare il dolore di qualcuno senza esporre se stessi al rischio di sentirsi vulnerabili. Tale rischio non mancherebbe nemmeno nelle professioni di aiuto, dal momento che è difficile riuscire a schermare il proprio cuore al dolore che attraversa quello di qualcun altro.
La vera compassione in tali casi è associata all’abilità di sostenere le persone affinché  arrivino a trovare la forza in se stesse. Farsi coinvolgere nel dolore di un’altra persona credendo di offrire conforto non è né saggio né utile a nessuno ed espone al forte rischio di togliere alla persona la capacità di raccogliere le proprie forze per affrontare una realtà difficile. In situazioni simili l’unica cosa che è opportuno fare è semplicemente offrire con gentilezza la propria presenza, senza suggerire nulla, senza trovare soluzioni che nella maggior parte dei casi nessuno sta richiedendo. L’autenticità soggettiva viene espressa nel saper offrire all’altro i sentimenti più nobili che riescono ad emergere in noi nel momento in cui accogliamo la nostra fragilità. Questo significa non avere un cuore duro (secondo la suddetta citazione di Gibran)
0 Comments

'La comunicazione non-violenta' di Maria Agrusa

2/7/2023

0 Comments

 
Foto
​La comunicazione nonviolenta chiamata anche comunicazione empatica, comunicazione collaborativa, è un modello comunicativo basato sull’empatia. È stata ideata nel 1960 da uno psicologo statunitense Rosenberg, secondo il quale essa permette di evitare le frequenti incomprensioni che derivano da un comunicare approssimativo e di riuscire a creare contesti comunicativi win-win.
La comunicazione nonviolenta si basa sull'idea che tutti gli esseri umani siano capaci di compressione.  Qualora essi non riconoscano le strategie più efficaci per soddisfare i propri bisogni ricorrono alla violenza fisica o psicologica in modo automatico, per consuetudine culturale.
La Comunicazione non violenta è definita anche come “linguaggio giraffa e si riferisce a uno dei pupazzi-marionette che Rosenberg utilizzava nei suoi seminari e conferenze, in giro per il mondo, per spiegare i metodi di comunicazione efficaci. Rosenberg scelse questo animale perché il suo lungo collo gli permette di avere un’ampia visione, e per il fatto che ha un cuore molto grande, il più grande tra i mammiferi della terra. In contrapposizione a queste modalità efficaci, Rosenberg, mostrava una marionetta con le sembianze dello “sciacallo”, in quanto uno dei mammiferi più spietati e feroci. Tutti noi, sin da piccoli, a partire proprio dall’ambiente scolastico, siamo stati coinvolti in conflitti più o meno importanti con i nostri compagni o con gli insegnanti. Oppure ci siamo trovati coinvolti in situazioni conflittuali in ambito familiare. Nella Scuola e nella società moderne non è cambiato molto… anzi per tutta una serie di dinamiche sociali e psicologiche, oltre che per le evidenti trasformazioni del quadro relazionale interpersonale, le situazioni conflittuali spesso sono più acute e difficili. Per questo motivo oggi è importante sostenere i ragazzi, fin dalle prime esperienze, con attività pratiche che li aiutino ad apprendere modi comunicativi più rispettosi ed empatici, favorendo così realmente l’acquisizione di una “Comunicazione non-violenta”.
Secondo Marshall Rosenberg il linguaggio e il modo in cui usiamo le nostre parole hanno un ruolo cruciale nel riuscire a rimanere collegati empaticamente a noi stessi e agli altri.
La Comunicazione Nonviolenta si basa su tre aspetti:
  • Auto-empatia: l’ascolto di sé stessi;
  • Empatia: ascolto dell’altro;
  • Auto-espressione onesta: esprimere autenticamente il proprio sentire e i propri bisogni.
Chiaramente le abitudini di pensare e di parlare che portano alla manifestazione di tale violenza sono apprese attraverso la cultura, la famiglia, la società. Il quadro descritto da Marshall Rosenberg è in realtà molto attinente con quello che oggi, si manifesta nelle scuole e nelle famiglie, cioè una profonda, diffusa e gratuita “violenza” che si osserva su più livelli.
Il metodo è un processo strutturato in quattro tappe:
  1. Osservazioni: osservare senza valutare, “quando vedo… sento…”
  2. Sentimenti: Mi sento particolarmente…
  3. Bisogni: Perché ho bisogno di…
  4. Richieste: Vorrei che tu… saresti disposto a…?
Lavorare su queste modalità di relazione, potrebbe darci la possibilità di “allenarli allenando noi stessi” ad intendere semplicemente i bisogni degli altri senza percepirvi la minima critica, giudizio o attacco nei nostri confronti. Il prodotto finale sarebbe quello di far crescere, in ambito comunicativo, l’abilità e la competenza di non reagire d’ impeto, ma di ponderare le situazioni, mettendosi nei panni dell’altro e dialogando in maniera meno conflittuale ed etica.
La Comunicazione Non Violenta è caratterizzata, oltre che dalle quattro tappe viste in precedenza, da due parti: l’assertività e l’empatia.
  1. L’assertività è l’espressione sincera di sé. Essere sinceri è la possibilità di poter esprimere i propri sentimenti, senza giudizi.
  2. L’empatia o l’ascolto rispettoso per Rosenberg è “la capacità di ascoltare e di accogliere l’altro, i suoi sentimenti e suoi bisogni, senza volerlo condurre da qualche parte e senza ricordo del passato”. Vedere l’altro come un essere umano con il quale si desidera avere una relazione nutriente.
Quando ci si relaziona con l’altro con empatia e sincerità si è in grado di parlare veramente di sé, si ha la possibilità di dire in modo maturo ciò che si sente in un linguaggio che facilita la comprensione reciproca. Cercare di comprendere l’altro, i suoi sentimenti e i suoi bisogni può smorzare il conflitto, facilita l’abbassamento delle difese e apre nuovamente al dialogo.
0 Comments

'E se vi dicessi che ci stanno ingannando dicendoci che possiamo cambiare noi stessi' di Daniele Ricca

2/7/2023

0 Comments

 
​Ci viene continuamente detto di cambiare vita, idea, lavoro, religione, partner e casa. Ma per quanto il monito al cambiamento ci arrivi da ogni parte, in realtà noi esseri umani non siamo programmati per cambiare.
Tra tutte le specie animali e vegetali, quella umana è la meno predisposta a cambiare. Se oggi ti trovi alle prese con dei cambiamenti, qualora ti risultassero difficili, sappi che non è colpa tua se non ci stai riuscendo, ma è una cosa del tutto normale.
Il cambiamento, prima di un’azione, è un pensiero.
Per pensare al cambiamento dobbiamo intenderci prima su cosa significhi davvero. Nel suo tentativo di scoprire chi sono coloro che sono più predisposti di altri a sopravvivere, Darwin ha concluso che questi non sono assolutamente coloro che sono più portati al cambiamento, ma, al contrario, coloro che si adattano, che vincono la sfida per la sopravvivenza.
Ma è intuitivo come cambiamento e adattamento siano movimenti opposti. Cambiare fa muovere, agire, fa fare la rivoluzione. L’adattarsi, invece, richiede di trovare una postura in un contesto spesso preparato da altri per noi. Sono in contraddizione tra di loro.
Da dove nasce tutto questo? Bisogna andare molto indietro nel tempo...Prima di dare la colpa alla famiglia dobbiamo tenere in considerazione alcune coordinate storiche che affondano le radici molto più indietro nel tempo, per la precisione la comparsa degli ominidi, quando le minacce erano dovunque, a differenza di adesso. Al contrario di quanto si pensa comunemente, oggi ci troviamo nell’epoca più sicura di sempre. All’epoca degli ominidi, invece, abbiamo imparato la necessità di stare insieme, perché se qualcuno avesse cambiato il programma rispetto a come uscire per procacciarsi da mangiare, isolandosi e prendendo delle iniziative, lo avrebbe pagato con la vita. Non sono bastati i millenni intercorsi per cambiare la situazione. Oggi, che siamo iperconnessi e dovremmo recuperare una dimensione di sano isolamento, non ci comportiamo diversamente dagli ominidi, perché il nostro cervello rettiliano, la parte più antica del nostro corpo, comunica ancora con i nostri antenati e ci manda il messaggio di mantenere lo status quo, di tendere all’omeostasi e di non cambiare, anche se siamo in disagio, perché abbiamo imparato che cambiare potrebbe essere ancora più pericoloso.
Perché avviene questo?
Qualcuno potrebbe dire perché l’essere umano ha una coscienza ed è consapevole che, quando cambia, ciò impatta anche sugli altri intorno a lui e questo genera senso di colpa, vergogna, impotenza.
Non penso che le cose stiano realmente così. Penso che grazie alla nostra coscienza possiamo agire ed essere autori di cambiamento, ma non lo facciamo a causa del nostro inconscio che non controlliamo.
 
La piramide dei bisogni di Maslow è, a tutti gli effetti, una figura geometrica attraverso la quale si vogliono far vedere i bisogni primari dell’uomo, che sono quelli alla base, fino ad arrivare al vertice, collocandoli in ordine di importanza.
I profani di psicologia pensano che alla base della piramide ci siano i bisogni fisiologici legati al funzionamento del corpo, quindi: mangiare, bere, dormire e fare l’amore. Non è così: alla base dei bisogni umani c’è il senso di sicurezza. Ma questo senso di sicurezza è in evidente contraddizione con il concetto di cambiamento. 
Foto
Al vertice della piramide, come ultimo, c’è il bisogno di autorealizzazione, che è spesso sinonimo di cambiamento, inteso come “divento me, compio il mio sé in accordo alle aspettative e indicazioni altrui”. Inganno dopo inganno, propaganda dopo l’altra, questo ci insegna che, ad esempio, l’amore può tutto e che se amiamo qualcuno possiamo arrivare a cambiare noi stessi e la nostra vita pur di stare insieme a quella persona, finendo per pensare che se quella persona non mantiene la promessa di amore fatta vuol dire che ci ha mentito.
Non è così. È una questione di bisogni, in cui il bisogno di sicurezza regge e costituisce la base di tutti gli altri.
 
Ve lo spiego meglio. Alcune persone hanno bisogno di non far soffrire gli altri quindi, magari, si sono innamorate di qualcuno, ma restano con la persona con cui stanno perché trovano intollerabile provocarle un dolore. Trovano, invece, più tollerabile dare un dolore a sé stessi o alla persona di cui sono innamorate, pensando che sia sufficiente la dichiarazione del loro sentimento fatta loro per alleviare tale dolore. Ma non chiediamogli di cambiare vita e non sarà vero che stanno mentendo, ma hanno bisogno di sentirsi delle brave persone.
Questo lo hanno imparato in casa: nella storia dell’umanità, il nucleo familiare è sempre stato descritto come il posto più sicuro dove stare. Quando invece è il più pericoloso, a volte lo è in modo esplicito, come nelle famiglie maltrattanti, altre in maniera più subdola, come nelle famiglie di tutti noi, in cui cresciamo i nostri figli dentro a stereotipi e ruoli di genere che ancora oggi fanno sì che più del 60% delle donne dopo il secondo figlio smetta di lavorare per stare a casa.
Gli uomini, nonostante stiano cercando di attivare una rivoluzione emotiva, sono ancora convinti di non potersi far vedere fragili in pubblico, perché quello è un atteggiamento femminile, e così il loro modo di essere padri non sempre riesce a fare a metà con le proprie compagne con le quali hanno avuto un figlio, perché dentro hanno il modello del padre provider che porta a casa lo stipendio.
Ma i bambini così imparano che si procureranno e garantiranno il bene degli altri a seconda di quello che fanno. Invece meritiamo di ricevere il bene per quello che siamo, perché più veniamo accolti e amati per chi siamo e più ci comportiamo bene. Non è il contrario, non è che se ci comportiamo bene ci garantiremo di essere accolti dal gruppo, anche se è quello che insegniamo ai nostri figli perché è ciò che è stato insegnato a noi.
 
Cambiare è difficile e non è per la specie umana di cui facciamo parte.
 
Ho letto una storia che racconta di una ragazza della cui famiglia è famosa la ricetta del pollo, che cucinano rigorosamente con le zampe legate verso l’alto e immerso nella pentola. La ragazza chiede alla madre il segreto di quella ricetta e lei risponde: “Perché mia madre faceva così”. Allora la ragazza chiede alla nonna che le risponde lo stesso della madre. La ragazza va dalla bisnonna per chiederle come mai avessero iniziato a cucinare il pollo in quel modo e lei risponde perché la pentola era troppo stretta e altrimenti il pollo non ci stava.
È evidente che è molto più facile fare quello che gli altri hanno fatto prima di noi, senza metterlo in discussione e senza creare un pensiero originale sul come fare diversamente. Questo ci garantisce sia un senso di sicurezza sia un senso di appartenenza, che ci fa sentire al sicuro.
Tipica, per mantenere stereotipi e ruoli di genere, è l’idea che se vuoi bene a qualcuno devi sacrificare qualcosa per lui, che a volte è la tua stessa vita perché c’è l’idea che amore sia sinonimo di sacrificio.
Se non soffri, se non dai pezzi di te, allora vuol dire che non stai dimostrando quanto ci tieni.
Capita, allora, che le mamme lascino il lavoro, le coppie perdano sé stesse, il tempo prima dedicato alle amiche venga poi dedicato solo ai figli.
Siamo convinti che per essere una buona madre bisogna per forza seguire un comportamento già prescritto e chi prova a fare qualcosa di diverso viene percepito come una minaccia, perché dà l’idea ad altri che si possa fare diversamente e questo attenta all’ordine precostituito, che magari non ci piace, però è familiare.
E qualsiasi cosa che risulta essere familiare sarà sempre preferibile.
 
Ma così diamo noi stessi per i nostri figli, trasmettendogli che questi sono i modi giusti per stare in relazione. E succederanno due cose: la prima è che nostro figlio imparerà e dovrà fare lo stesso con noi; la seconda, apparentemente uguale ma più subdola, è che noi ci presteremo a mettere da parte noi stessi perché pensiamo che un giorno nostro figlio farà lo stesso con noi.

Questo è il motivo per cui nel 2023 i figli adulti non possono immaginare di dare dispiaceri ai loro genitori: di andare a vivere all’estero, di ristrutturare la casa senza il loro permesso, con l’idea di farli rimanere male. E se gli viene chiesto il perché loro rispondono: “Perché è brutto”.
Questo inganno, che è il peggiore, è che ci hanno insegnato che l’egoismo è l’atteggiamento di chi si preoccupa unicamente di sé stesso e del suo benessere.

Per la psicologia l’egoismo è esattamente il contrario di come viene descritto nel dizionario, ossia significa che mi metto al centro, cioè mi tengo presente nella mia vita, che è l’unica che ho e che posso vivere, facendo in modo di soddisfarmi da sola senza dare l’onere ad un altro, lasciando contemporaneamente tutto il tempo e le risorse all’altro perché possa fare lo stesso, così che entrambi, al di là dei bisogni, iniziamo a realizzare anche dei desideri. Bisogni e desideri sono due concetti diversi, anche se spesso vengono usati come sinonimi. Il bisogno ci governa, rifugge al nostro controllo e molto spesso non ne siamo consapevoli, motivo per cui non ci rendiamo conto del motivo per cui facciamo delle cose piuttosto che altre, anche se le percepiamo come migliori per noi, perché siamo governati dal bisogno di sentirci in un certo modo.
 
Questo articolo è tratto da uno speech di Stefania Andreoli, psicoterapeuta e scrittrice italiana. 
0 Comments

'Respira e lascia accadere' di Cinzia Zocca

23/6/2023

0 Comments

 
Foto
Questa frase di Lorenzo Manfredini mi è entrata dentro e ricompare ogni volta che vivo una situazione di difficoltà o devo lanciarmi nel vuoto di nuove sfide.
E mi riconduce sempre alle stesse domande: quali sono i limiti che non vuoi superare? Qual è la tua paura? A cosa non sei disposta a rinunciare?
Ho un Master con lode in “meglio non fare”, ma oggi sono una persona diversa da qualche anno fa e mi viene naturale porre queste stesse domande a chi si lamenta che le cose non vanno come vorrebbe ma allo stesso tempo non riesce a spiegare cosa vuole nè ad agire per ottenerlo.
Viviamo in una società dove regna la paura e ne siamo inconsapevoli.
Le persone non sono educate ad ascoltarsi né ad ascoltare gli altri.
Piuttosto che condividere con gli altri le nostre difficoltà e chiedere aiuto ci rinchiudiamo a riccio nella nostra comfort zone e costruiamo la nostra realtà, fatta di tutte le storie che ci raccontiamo per non dover mostrare chi siamo veramente e per non essere giudicati.
Dovremmo prendere esempio dalla natura, che non ha paura di mostrarsi per quello che è sia nelle splendide giornate di sole che in quelle tempestose, quando si ribella dirompente per le violenze che l’uomo continua a perpetuarle.
Siamo dei fiori nel deserto delle emozioni che vogliono emergere ma che soffocano nella sabbia.
Essere visti, sentirsi riconosciuti e apprezzati, è un bisogno che appartiene all'essere umano, in ogni contesto. La paura di sbagliare ci blocca.
La paura di agire seguendo il proprio sentire e non esprimere le proprie emozioni comporta sempre la perdita di opportunità di valorizzare noi e i nostri talenti.
Ciò che importa non è tanto comprendere da dove hanno origine le nostre paure, quanto piuttosto capire che le stesse ci implorano di agire, di uscire dalla comfort zone.
E come fare a superarle e diventare sicuri di noi stessi? Come si può diventare il nostro primo alleato di noi stessi?
Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è già dentro di noi, pronto ad emergere per aprirci alla vita.
Chiudo gli occhi per un momento, riesco a sentire le mie emozioni o la mente mi induce a seguire i suoi processi senza lasciarmi intravedere gli infiniti scenari possibili nel campo delle possibilità?
Respiro, volgo lo sguardo all’interno per ritrovare quel sentire che fa nascere un sorriso ed inizio ad esplorare dentro di me.
Sento nel corpo come mi risuona e poi progetto come muovere i primi passi verso le mie scelte vincenti.
Prima di tornare alla realtà, ripeto dentro di te “non sono perfetta, posso sbagliare, ma oggi io mi do il permesso di provare ad essere felice”.
E infine, respiro e lascio accadere.
0 Comments

'Reazioni razionalizzate' di Steven

14/6/2023

0 Comments

 
Foto
“Mannaggia, ci sono cascato di nuovo!” Prima o poi capita a tutti di pentirsi di reazioni sproporzionate, anche in situazioni che normalmente ci scivolerebbero addosso, A seconda della nostra personalità possiamo essere più spesso vittime di scatti di ira, paura incontrollata, o ci offendiamo pesantemente anche per una banalità. Guardiamo ad esempio una classica scena conosciuta da ogni genitore: magari dopo aver ripetuto per 10 volte lo stesso avvertimento ai nostri figli per un comportamento immaturo, loro lanciano una sfida irrispettosa come un gesto o parola volgare.. a quel punto, specialmente in una giornata no, può capitare di causare pianti disperati ai bimbi anche solo alzando la voce a livello fuori dalla norma.
 
Cos’è che scatta in noi in quei momenti, di talmente repentino da non avere il tempo di assumere un comportamento più consono, come ad esempio l'indifferenza? Per non parlare poi di casi più estremi di cronaca nera che purtroppo non sembrano in diminuzione.
Come scoperto da Le Doux, e raccontato alla massa da Daniel Goleman nel suo best seller Intelligenza Emotiva, la risposta a queste reazioni istintive sta nell’amigdala, una sentinella delle emozioni capace di “sequestrare” all'occorrenza il cervello, mandando in cortocircuito il processo più razionale ed evoluto che passerebbe per la neocorteccia, con tempi di risposta più elevati. L’amigdala invece fa parte dell’area limbica del cervello, condivisa da tutti i mammiferi, anche i più primitivi; lavorando insieme all’ipotalamo come registro dei ricordi,  essa fa partire uno stato di emergenza che stimola l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) che a sua volta produce una risposta adrenalinica che porta alla reazione (interna o esterna). Evolutivamente parlando, questo meccanismo ha un ruolo fondamentale per la sopravvivenza, dato che permette di sfuggire a pericoli improvvisi. Il problema è che l’amigdala può essere particolarmente sensibile ed entrare in azione anche in situazioni di falso allarme tipiche della nostra società occidentale frenetica, creandoci non pochi problemi nella vita quotidiana.
 
Ma a che scopo voler razionalizzare il tutto e conoscere questi dettagli neuroscientifici? Innanzitutto possono aiutare a sentirci meno in difetto e ad accettare il fenomeno come semplice meccanica del cervello. Poi si può comprendere meglio la soluzione banale ma efficace di fare dei respiri lenti e profondi dato che si va a stimolare lo stato parasimpatico del sistema nervoso autonomo che induce il rilassamento. Se serve possiamo anche chiudere gli occhi per tagliare fuori gli stimoli neuronali visivi. Tramite l’approccio analitico possiamo anche aprirci ad approfondire le nostre conoscenze sull’impatto neurochimico di ennesimi aspetti quali stato d’animo, dieta, attività fisica.
Come al solito la pratica è molto più difficile della teoria: ci vuole un buon livello di consapevolezza, cura di sé, e costanza. Possono aiutare tecniche di meditazione mirate all'autoanalisi delle nostre reazioni impulsive, la loro accettazione, comprensione e attenuamento. Nei casi più complessi possono essere necessarie delle sedute di counseling o psicoterapie volte a ridurre lo stato di conflitto interno. Sono comunque tutti approcci volti ad allenare la neocorteccia ad entrare in gioco prima di essere sopraffatti dai nostri istinti di natura animale; quest’ultima diventa a tutti gli effetti una sorta di mediatore o alleato interno, che ci può aiutare a trovare un sano equilibrio.
0 Comments

'Sulla via dell’Essenza: Danzando tra illusioni, emozioni e Vita Piena' di Cristina Turconi

28/5/2023

1 Comment

 
Foto
​C'è un viaggio nella vita, una danza infinita di momenti che ci spingono ad abbracciare l'emozione e a scoprire la nostra essenza più profonda. Ogni passo che facciamo lungo questo cammino non è mai casuale, ma parte di un disegno magico che si svela poco a poco.
 
Il tempo si srotola come un gioco, un'illusione che ci inganna mentre ci immergiamo nella vastità dell'esistenza. Non importa quanto lunga o breve possa sembrare la strada, perché il significato di una vita piena non si misura in anni trascorsi, ma nell'intensità delle esperienze che viviamo.
Siamo protagonisti e spettatori, creatori e sognatori di questo spettacolo che è la nostra vita. I colori si mescolano, le note si fondono e noi danziamo al ritmo della nostra anima. Ogni istante è un'opportunità per abbracciare la gioia, superare le sfide e scoprire la bellezza nascosta in ogni angolo del mondo.
 
Non dobbiamo permettere che le paure e le incertezze ci imprigionino. Dobbiamo gettarci nel flusso incalzante della vita, accettando che ogni passo, ogni scelta, ogni incontro ci plasmi e ci renda chi siamo destinati ad essere. Ogni caduta è un'occasione per rialzarci, ogni sconfitta è un trampolino per il successo.
 
La vita è un caleidoscopio di emozioni che ci spinge oltre i confini del possibile. È un invito a esplorare, a crescere, a vivere pienamente. Non possiamo fermare il tempo, ma possiamo riempire ogni attimo di significato, di amore, di gratitudine. Possiamo lasciarci catturare dalla meraviglia dei tramonti, dai sorrisi dei nostri cari, dalle sfide che ci rendono più forti.
Quando il viaggio della vita giunge al termine, non importa quanto tempo abbiamo avuto a disposizione, ma come abbiamo vissuto ogni singolo istante. Le esperienze, le relazioni, le passioni che abbiamo coltivato saranno i veri tesori che porteremo con noi oltre l'orizzonte.
 
Quindi, alzati e danza nel turbine dell'esistenza. Lascia che il vento ti guidi, che il sole ti riscaldi e che la pioggia ti lavi via ogni paura. Non c'è alcun passo lungo la strada della vita che facciamo per caso. Ogni momento è un dono, un'opportunità di crescita, un'emozione da assaporare fino in fondo.
 
Vivi la tua vita senza riserve, abbraccia la bellezza che ti circonda e crea il tuo cammino. Non lasciare che il tempo ti sfugga di mano, perché ogni attimo è un'opportunità per realizzare i tuoi sogni. Lascia che il viaggio della vita sia un'epica avventura che ti porterà a scoprire l'incredibile persona che sei destinato ad essere.

1 Comment

'Progettare la vita, ecco alcune domande che possono aiutarti' di Alice De Marzi

28/5/2023

0 Comments

 
Foto
​Quando si parla di progettazione, arriva un’immagine di situazioni in giacca e cravatta, formalismi, regole, quindi pensare di applicare quegli stessi concetti alla propria vita privata potrebbe far venire l’orticaria, ma è davvero così?
Spesso incontro persone che non sanno cosa vogliono fare della loro vita, sanno definire quello che NON vogliono, ma appena faccio domande sui loro sogni e sui loro desideri compare il vuoto. Bisogna trovare una soluzione! Altrimenti il rischio è di dare la vita per scontata, "accettando le cose per come sono" il che porta solo pigrizia e apaticità.
Tutti desiderano una vita da sogno; tuttavia, solo pochi sanno quale sia la loro vita ideale e, di conseguenza, sanno da dove cominciare per manifestarla.
Ecco alcune domande che possono aiutarti a progettare meglio la tua vita ideale:
  • Riesci ad essere specifico? Se vuoi essere ricco allora dovresti sapermi dire quanto vuoi guadagnare al mese, da dove arrivano questi soldi, come hai intenzione di utilizzarli e gestirli. Facendo un altro esempio: se mi dici che vuoi essere libero allora devi essere in grado di spiegarmi nel dettaglio cos’è la libertà per te. Ancora un altro esempio più pratico: se il tuo sogno è fare il giro del mondo allora dovresti essere in grado di dirmi tutto l’itinerario, dovresti sapere quanto ti costa in termini di tempo e denaro. Nulla accade se prima non hai definito i dettagli, quindi ogni volta che ti fai delle domande inizia a scavare nei dettagli.
  • Corri dei rischi? Questo per sfatare il mito della “zona di comfort": rischiare è utile per mettere alla prova i nostri limiti, ma c’è una bella differenza tra rischiare ed essere incoscienti. Esci dalla zona di confort, ma rimani sempre in ascolto di te e, se senti che hai esagerato, hai il diritto di rivedere il tuo progetto. Valuta obiettivamente i pro e i contro, l’investimento e il guadagno e il tempo necessario: ricorda che il tempo perso non può essere recuperato e che non puoi fare tornare indietro le lancette dell’orologio.
  • Segui le persone che ti ispirano? Questo è un punto su cui insisto tantissimo. So che ti piacerebbe leggere di seguire il cammino più semplice, purtroppo io non sono di quell’idea. Il percorso facile è anche quello che seguono in molti e mi spiace dirti che è proprio quello che ti ha portato a non sapere cosa fare della tua vita. Nel marasma di influencer e starlette sono sicura che hai trovato qualcuno che ammiri e che ti piace seguire. Ti piacerebbe essere come questa persona? Riesci a definire meglio perchè ti piace, cosa ti piace e perchè lo ammiri? Ora prova ad immaginare di comportarti come quella persona, come ti fa sentire? Adesso sai che devi trovare più persone da ammirare e che le tue azioni devono rispecchiare quelle caratteristiche che ammiri in loro.
  • Riesci a puntare la bussola? Dedica del tempo ad abbozzare il sentiero della tua vita. Lasciamo un attimo da parte la regola dei dettagli, proviamo a ragionare più in grande: sei in un bivio, vuoi cambiare la tua vita, ma non sai bene come fare. Un progetto è fatto di idee e di messa in opera. L’idea a volte è fatta di immagini, di emozioni, è difficile da verbalizzare. Un ottimo esercizio per mettere la bussola è costruire una Visual Board. Ovvero un insieme di immagini che ti ispiri ogni giorno a raggiungere i tuoi obiettivi. Vuoi una vita felice? Cerca delle immagini che definiscono questa idea. Vuoi fare il giro del mondo? Cerca immagini dei posti che vorresti visitare. Vuoi cambiare lavoro? Cerca immagini che ti aiutino a visualizzare il nuovo contesto lavorativo in cui vorresti essere. Trova un posto dove poter attaccare queste foto, se non hai spazio sulle pareti le puoi mettere dentro l’anta dell’armadio o dietro una porta. L’importante è che siano accessibili ogni giorno.
  • Cosa vuoi veramente? Non scegliere la strada facile, scegli la strada migliore per te in quel momento. Ricordati sempre che per avere di più devi diventare di più: supera i limiti, rimani in contatto con il tuo bambino interiore e lasciati guidare dall’istinto. La progettazione non è fatta solo di regole e obiettivi. Se senti che quelle regole, che ieri andavano bene, oggi ti stanno strette, allora puoi decidere di cambiarle.
In conclusione progettare la vita significa essere in costante ascolto di sè, significa porsi obiettivi sfidanti, ma non eccessivi, significa conoscere i propri valori e riconoscerli in ogni azione si compie.
Solo in questo modo potrai sentirti finalmente libero.
0 Comments

'Vision board: come crearne una efficace' di Alice De Marzi

28/5/2023

1 Comment

 
Foto
Da quando ho iniziato ad usare la Vision Board ho iniziato a dire molti più WOW.
Di solito viene proposta a fine anno, ma qualsiasi momento è perfetto per costruire la propria Vision Board, basta ritagliarsi un pò di tempo di qualità.
La Vision Board ti costringe a pensare agli obiettivi, focalizzarli, dargli un ordine, da qui il benessere e il senso di rilassatezza.
Quando ti capitano i momenti giù, dove ti sembra di aver smarrito la strada, sei confuso su chi sei e cosa vuoi, allora la Vision Board ti viene in aiuto: attraverso di essa puoi focalizzarti sui tuoi valori, sui tuoi obiettivi.
Avere una vision board ti ricorda ogni giorno la tua direzione! È come avere un promemoria sempre sottocchio; quando senti di star perdendo il tuo focus, alzi lo sguardo e lei è là, davanti a te per ricordarti quali sono i tuoi obiettivi e come puoi raggiungerli.
 
La vision board: cos’è e come funziona

Si tratta di un insieme di immagini che hanno lo scopo di ispirarti ogni giorno. In quelle immagini riconosci chi sei e chi vuoi diventare. Riconosci perchè ti alzi ogni mattina e fai quello che fai. Riconosci i tuoi valori e i valori che cerchi in chi ti circonda.
Nei momenti di confusione ti riporta al "qui e ora", ti aiuta a rimanere focalizzato.
La Visual Board può essere sia fisica che digitale. Puoi comprare una lavagna e appenderla in un qualsiasi luogo della casa.
Oppure puoi farla su un foglio e attaccarla dietro una porta o nell'anta dell'armadio.
L'importante è che sia facilmente raggiungibile ogni volta che ne hai bisogno. Se invece vuoi farla digitale la puoi usare come desktop del computer e come screensaver del cellulare.
Non farti ingannare dal suo aspetto: la vision board non è semplice collage di immagini e frasi motivazionali, in realtà è uno strumento potentissimo che ti permette di essere più focalizzato su chi vuoi diventare e su cosa vuoi realizzare.
Ovvio che la vision board non serve a nulla se tu non agisci: la vision board ti mantiene focalizzato, ma è solo una parte del lavoro da fare per manifestare la vita che desideri.
Realizzare una vision board aiuta sia ad avere una maggior concentrazione sull’obiettivo da raggiungere sia ad attivare l’inconscio che lavora con immagini.
Attraverso l’inconscio si attiva la creatività e le risorse personali legate ad essa. Emergono intuizioni, soluzioni nuove, risorse inesplorate.

Come fare una vision board

Vuoi che la Visual Board sia efficace? Allora prenditi del tempo per crearla. Non avere
fretta e fai ogni passaggio con i tuoi tempi. Io ci metto quasi due settimane perchè, tra un esercizio e l'altro, mi prendo del tempo per far sedimentare ciò che scrivo, per essere sicura dei progetti che scelgo e per riguardare le immagini prima di attaccarle.
Procurati carta e penna (e colori, evidenziatori, washi tape... insomma tutto quello che può ispirarti nel processo).
Prima di iniziare, crea un’atmosfera accogliente, io accendo candele e metto una playlist rilassante. Quando è tutto pronto, chiudi gli occhi, fai un bel respiro ed inizia ad immaginare!
Immagina la tua vita ideale, la tua carriera, la tua relazione, la tua casa. Immaginali nel dettaglio, senza dare nulla per scontato perché tutto questo può diventare reale.
Per aiutarti a capire i tuoi obiettivi, puoi fare come me: fatti delle domande che ti spingeranno a guardarti dentro. Questa è una fase importante perchè ti devi raccogliere in te stesso per rispondere a domande importanti.
  • Cosa vuoi veramente?
  • Cosa ti fa stare davvero bene?
  • Cosa ti piace veramente fare?
  • Come vorresti la tua casa?
  • Cosa ti rende veramente felice?
  • Cosa posso migliorare?
  • Come vorrei utilizzare il mio tempo?
  • Che direzione vorrei far prendere alla mia carriera?
  • A quali progetti vuoi dare priorità?
  • Quale desiderio vorresti realizzare nei prossimi mesi?
 
Mentre scrivi lascia che la penna scorra sul foglio, le frasi non devono essere grammaticalmente perfette, nè i pensieri devono seguire un filo logico.
L’importante è iniziare a portare alla luce i tuoi desideri.
Una volta scritto tutto, lascia passare un paio di giorni e poi rileggi ciò che è uscito dalla prima sessione: quali sono le cose che ti attirano di più? sono realmente tuoi desideri o sono condizionati da ciò che gli altri si aspettano da te? Quali sono i lavori che emergono da ciò che hai scritto? Prova a trovare 4 o 5 parole che li riassumono.
A questo punto non ti resta che trovare le immagini adatte che rappresentino ciò che hai scritto. Io mi affido ad internet, soprattutto a Pinerest ma tu, puoi anche sfogliare riviste, libri, guide di viaggio andando alla ricerca di frasi ed immagini che ti ispirano, puoi addirittura disegnare se ti piace l’idea.
Ritaglia, stampa, scarica, seleziona tutto il materiale che per te è una fonte di ispirazione positiva, mantenendo il focus che queste immagini devono rappresentare i tuoi obiettivi e rappresentare chi sei e chi vuoi diventare. Più le immagini saranno allineate a ciò che hai scritto più sarà potente la tua Vision Board, quindi non essere veloce, prenditi tutto il tempo necessario per scegliere le immagini giuste.
Hai scelto le foto, hai scelto dove attaccarle, ora non resta che costruire la Vision Board! Mentre attacchi le immagini lasciati guidare dal cuore, non importa se le immagini si sormontano o se ci saranno dei vuoti, non è nemmeno necessario utilizzare tutte le immagini che hai raccolto.
Vedrai che a poco a poco la tua vision board prenderà forma quasi come una magia.
Seppur non ci siano regole da seguire per quanto riguarda la disposizione, io preferisco mettere al centro me, i miei valori e chi voglio diventare, mentre lascio all’esterno ciò che riguarda il lavoro e le relazioni.
Trova l’angolo perfetto e non ti resta che osservarla quotidianamente! Io mi sorprendo di come sia in grado di mettere insieme i pezzi di un puzzle che altrimenti sembra senza senso.
 
La vision board evolve con te

La cosa bella di una vision board è che la puoi cambiare quando vuoi. Può capitare che, a distanza di tempo, ci siano alcune nuove consapevolezze, cambino gli obiettivi e ti accorgerai che vorrai cambiare le foto che avevi messo. Questo è un buon segno perchè stai cambiando e vuoi che la tua Vision board cambi con te.
Se ti capita questa sensazione hai l’occasione di esplorare domande importanti: i miei valori sono ancora validi? voglio raggiungere nuovi obiettivi?
Insomma la vision board non è qualcosa di statico, ma mutevole nel tempo, proprio come te. Non dimenticarti di utilizzarla nei momenti di caos, ti aiuterà a ricordare chi sei e la spinta che muove le tue azioni. 
1 Comment

'Gratitudine per stare bene' di Alice De marzi

28/5/2023

0 Comments

 
Foto
Tutti vogliamo essere felici e realizzati, la gratitudine è una pratica che ci aiuta in questa direzione. Essere grati migliora la salute e ci aiuta a raggiungere gli obiettivi perchè ci permette di mantenere un atteggiamento positivo nei confronti della quotidianità, spesso carica di imprevisti.
Fin qui niente di nuovo, ma che vuol dire in pratica?
Ho scritto diari della gratitudine, ho riconosciuto, visto, ritualizzato tutto ciò che arricchisce la mia vita, eppure mi ci è voluto molto tempo per comprendere pienamente quello che io ora intendo per “gratitudine”.
 
Sei sicuro di sapere che cos’è la gratitudine? 

Spesso la gratitudine è vissuta come un meccanismo: io ringrazio e sono a posto così, magari mi rimane quell’amaro in bocca che mi fa capire che in fondo in fondo mi sto adattando, che sì, sono felice, ma manca qualcosa.
La gratitudine in questo caso diventa quasi un “obbligo sociale”. Ho la salute, la famiglia, il lavoro, DEVO essere grato perchè lamentarsi diventa quasi un offesa verso chi non è fortunato come te.
Come faccio ad essere grato in questa situazione?
 
La gratitudine non può essere imposta, ma deve venire spontaneamente e liberamente dal cuore, senza obblighi. E’ necessario, quindi che ognuno esplori la gratitudine attraverso il proprio modo di percepire il mondo.
Io mi sono spesso trovata nella condizione di dover provare gratitudine perchè le circostanze della mia vita avevano tutte le carte in regola, eppure non mi sentivo grata.
A distanza di anni ho capito che proprio quella sensazione di frustrazione mi aveva spinto a cercare qualcosa per cui essere veramente grata, motivo per cui mi trovo a scrivere qui oggi, ma questa è un’altra storia…
Toriano a chiederci: cos’è la gratitudine per me? Che sensazioni avrò nel corpo, quale sarà l’espressione del mio viso, come sarà il mio respiro.
 
Praticare la gratitudine non significa solamente mettere a fuoco ciò che abbiamo: dobbiamo sentire nel profondo che quelle cose sono adatte a noi, che fanno parte del nostro essere, dobbiamo sentirle nel corpo prima ancora di vederle con gli occhi.
 
Di cosa essere grati?

​Quando compili il diario della gratitudine ti chiedono di trovare 5 motivi per essere grati per la giornata appena trascorsa. Ti giuro che io ci ho provato, eppure mi è sempre sembrato il compitino per casa.
Non dico che non fossi grata per quello che avevo, io sono una persona ottimista per natura, quindi mi è facile essere felice per quello che ho.
Nella gratitudine cercavo altro e mi ci è voluto un pò per capirlo.
Un giorno un mio amico mi ha parlato di una persona molto importante della sua vita e si dispiaceva di non essere mai stato in grado di dire a questa persona quello che realmente rappresentava per lui.
Illuminante.
Quante volte mi sono dimenticata di dire grazie alle persone che mi hanno sostenuto?
Cosa potevo fare per rimediare?
 
Allora ho iniziato a mandare messaggi e a parlare con le persone: ho ringraziato per l’amore ricevuto, per una parola gentile, per la professionalità dimostrata.
Ed ecco che ho sentito quel calore nel cuore che stavo cercando da tempo.
Non erano i sorrisi sui volti o i messaggi di amore che ricevevo in cambio, mi sarebbe bastato il silenzio: io ero grata perchè ero riuscita a esprimere i miei sentimenti e dimostrare ad un’altra persona che è importante per me.
Questa per me è gratitudine.
 
Mentre leggi queste parole prendi in mano il telefono, manda un messaggio ad una persona che per te è importante e ringrazia con sincerità per l’aiuto e il sostegno che ti sta donando.
Poi scrivi nei commenti come ti senti, è gratitudine?
0 Comments

'Sequenza micidiale di azioni per combattere la zona di comfort' di Giovanni Pavani

26/5/2023

0 Comments

 
Foto
Mi sono chiesto molte volte che cosa sia veramente la zona di comfort, e se veramente rappresenti quel buco nero  che richiama a sé le persone, inghiottendole e privandole di qualsiasi forma di successo personale o professionale.
Ci sono momenti nella vita in cui vince lei. Potente, seduttiva,..
Mi viene in mente una di quelle signore che vedi in qualche film, e che rappresentano il male. Bella, piena di rossetto, ha studiato sempre e solo due materie in vita sua: seduzione e manipolazione. È disposta a tutto pur di annientarti.
Parliamo di una lotta tra titani però!
Da un lato una poltrona, con vicino una TV, uno smartphone già aperto su Instagram, e, che ne so,.. un pacchetto di pop corn vicino. Chi gli resiste?
Dall'altro lato tu, che hai le tue ambizioni, i tuoi desideri più o meno chiari, (ma comunque un po' di "fuego", di voglia di emergere, di fare qualcosa di bello c'è sempre).
Attenzione! Ho detto titani perché nonostante il richiamo della zona di comfort sia grande,, soprattutto in certi periodi della vita, tu sei ancora più forte!
Quando ti innamori di te stesso/ te stessa, la forza di questo innamoramento non teme rivali.
Se una persona ama se stessa, e se è vero che  l'ambizione di migliorare continuamente la propria condizione di vita è insita negli esseri umani, la zona di comfort è fuori combattimento da subito.
Io, per essere sicuro che veramente esistesse la zona di comfort l'ho sperimentata per anni.
Vuoi mettere il piacere di trascorrere un pomeriggio intero seduto su una poltrona che era entrata in simbiosi con me? Eravamo tutt'uno, si era adattata alla forma del mio fondo-schiena.
Vuoi mettere il piacere di guardare tutte le puntate di Law and Order su Crime, rimanendo regolarmente sconvolto dalla cattiveria umana messa in scena? Che poi mi faceva sorridere la dicitura che compariva alla fine del telefilm: "Le scene sono frutto di pura fantasia".
 Me ne stavo ore e ore a farmi centrifugare la mente conscia e subconscia da queste "fantasie", che avevano l'unico scopo di tenermi legato alla mia poltrona, nella speranza che io guardassi la pubblicità.
La zona di comfort è molto distruttiva, crea frustrazione, ti alzi dalla poltrona e ti senti vuoto. Quando l'emotività legata alle scene schizofreniche del telefilm finisce, e ti rendi conto che non hai combinato niente, ti prende lo sconforto.
E magari questo sconforto alimenta le fughe: verso il bar, verso i gratta e vinci...
Di certo da lì non nasce nulla di buono.
E poi speri che qualcosa CAPITI,
E a volte CAPITA!
C'è un super-eroe latente dentro ognuno di noi.
Ecco la sequenza micidiale:
-CAPITA che prendi in mano un libro che parla di crescita personale,
-leggi la parola "coaching",
-vai ad informarti di cosa si tratta e ...
-nel giro di poco ti ritrovi in un aula a studiare delle tecniche per aiutare  le persone a lasciar stare la zona di comfort e ed iniziare ad agire.
Perché se non CAPITA, in qualche modo lo devi far succedere, magari con un aiutino.
La poltrona? Meglio usarla per apprendere qualcosa dai libri.

0 Comments

'L'Ascolto' di Annarita Scarongella

9/5/2023

0 Comments

 
Foto
Sigmund Freud nei suoi saggi sulla tecnica psicoanalitica ha affrontato il tema dell’ascolto raccomandando all’analista di non prendere nota di nulla, ma di porgere attenzione costante a tutto ciò che ascolta, abbandonandosi alla propria memoria inconscia.
Chi conduce un colloquio ascolta non solo le parole dell’altro ma anche i suoi silenzi e tutto il suo linguaggio non verbale.
In pratica chi conduce un colloquio non dovrebbe ascoltare nulla in particolare ma…ascoltare tutto in particolare.
Quando l’atteggiamento di chi ascolta è una combinazione di rispetto/sospetto e si vuole stare dalla parte del principio di realtà per comprendere meglio una determinata situazione, mettiamo in atto un ascolto descrittivo, mentre quando si pone l’attenzione non tanto al contenuto di ciò che la persona dice, al dato, a quello che la persona decide di raccontare bensì alla sintassi, al processo che viene attivato e al flusso associativo mettiamo in atto un ascolto soggettivo.
Nell’ascolto empatico chi ascolta si mette nei panni di chi parla, ascolta dal suo punto di vista, mentre quando c’è uno scambio dialettico tra quella che è la realtà soggettiva di chi parla e quella di chi ascolta viene attivato un ascolto intersoggettivo.
In ambito analitico ma anche in tutti i contesti in cui ci troviamo bisognerebbe mettere in campo in maniera creativa tutti questi tipi di ascolto, cercando di potenziare l’uno invece dell’altro, facendo un lavoro di progressione e adattamento a seconda dei contenuti e degli stati d’animo di chi parla.
L’ascolto è la capacità di saper ascoltare l’altro ma anche la capacità corrispondente di poter essere ascoltato dall’altro, ed è per questo motivo che si dovrebbe diventare degli artigiani della parola; è fondamentale, infatti, che al centro di un colloquio ci sia un atteggiamento di continuo ascolto sia da parte di chi lo propone sia da chi lo riceve, e deve essere un processo continuo dall’inizio alla fine.
Per le teorie di comunicazione tecnicamente ascoltare consiste nel comprendere e valutare i messaggi che ci vengono inviati dall’interlocutore attraverso un canale comunicativo, questi messaggi possono essere pensieri, idee, punti di vista e permettono di essere compresi e valutati ma permettono anche di entrare più in contatto con il mondo intimo e segreto dell’essere umano che abbiamo di fronte.
​
La Mindfulness ci indica 10 regole che faciliterebbero un ascolto consapevole:
1. Concentrazione. Non essere distratti da ciò che accade intorno a noi. Fattori come rumori forti, un uso improprio o la storpiatura di una parola, o una temperatura della stanza non confortevole, possono influenzare la nostra capacità di ascolto.
2. Evitare di interrompere. Lasciare che l’interlocutore finisca di parlare prima di fare un commento o una domanda.
3. Non finire le frasi del nostro interlocutore, nella speranza di trasmettergli l’impressione di averlo compreso. Questo non funziona. La lettura del pensiero si rivela sbagliata perché dà l’impressione che abbiamo già ascoltato decine di volte quello che ci sta dicendo. La mente del principiante unita all’ascolto consapevole significa cercare di ascoltare il nostro interlocutore come se non avessimo la minima idea di ciò che sta per dire.
4. Mantenere il contatto oculare con il nostro interlocutore.
5. Inserire segnali di assenso, come cenni del capo o una postura proiettata verso il nostro interlocutore consente di entrare in maggiore sintonia.
6. Prestare attenzione ai segnali non verbali di chi ci parla: tono di voce, espressione del viso, linguaggio del corpo, ecc.). Questi segnali possono fornire utili indizi su ciò che il nostro interlocutore ci vuole comunicare, sui suoi pensieri e sulle sue emozioni.
7. Usare espressioni di condivisione: “ciò che condivido è....”; “ritengo anch’io importante…”; “anche a me è capitato di...”; ecc.
8. Usare la parafrasi. Ripetere in altre parole ciò che abbiamo compreso, i concetti chiave della comunicazione del nostro interlocutore. Può contribuire a eliminare eventuali incomprensioni e a evitare errori futuri.
9. Approfondire la nostra conoscenza attraverso l’uso di domande aperte. Fare domande mirate se abbiamo bisogno di chiarire ciò che l'altra persona ha espresso.
10. Rispondere anziché reagire. Pensare prima di parlare o esprimere pareri impulsivamente.
Ascoltare significa infine cogliere non solo il significato di ciò che la persona ci vuole comunicare ma anche il suo eventuale disagio, le sue ansie, le sue difficoltà, così facendo sarà possibile comprendere dall’interno, empaticamente e senza giudicare, la sua posizione, i sentimenti e le emozioni da lei provati.

Come c’è un’arte di raccontare, solidamente codificata attraverso mille prove ed errori, così c’è pure
un’arte dell’ascoltare, altrettanto antica e nobile, a cui tuttavia, che io sappia, non è stata mai data norma.
(Primo Levi)
0 Comments
<<Previous
    In ogni ambito della vita solleviamo problemi, formuliamo piani e cerchiamo rimedi specifici, ma al fondo desideriamo coltivare le nostre parti più elevate.

    COACHING E MEDITAZIONE: L'ARMONIA DEL RISULTATO
    "Coaching e Meditazione: un connubio sinergico dove la guida esperta si fonde con la serenità interiore, creando un'armonia che porta a risultati davvero unici."

    COUNSELING CORPOREO E RELAZIONALE
    "Apparteniamo a una generazione capace di dichiarare: 'Ho vissuto momenti di invito e momenti di sfida, e ho trovato la forza per rispondere'. Permettimi di condividere con te la nostra esperienza nel mondo del counseling."

    IL MODELLO STEP CONSAPEVOLE
    Ogni professionista che operi per il benessere e l’equilibrio della persona, è un animatore di salute, vitalità e felicità. In altre parole, è un profondo conoscitore dell'autoregolazione a livello fisico, emotivo, mentale e relazionale. Cosa vuol dire conoscitore? Che ha sperimentato in prima persona e che sa proporre a persone e gruppi attività che portano all’equilibrio personale, al benessere e alla salute.
    Cos'è dunque il modello step consapevole? Vediamo ...

    Feed RSS

Università Popolare S.T.E.P. Consapevole a.p.s.​
Viale PO, n. 3 - 44121 Ferrara
Codice Fiscale: 93083770383 - Reg. Atti Pubblici di FE 17/01/2013 al N. 509 Sez. 3 e successive modificazioni il 18/07/2018 al N. 1938 Sez. 3
www.stepconsapevole.it
[email protected] - ​Cell. 328 7049684
Iban: IT67E0867371880000000018209