L’Eudaimonia, la forza che accende il nostro fuoco interiore, ci porta direttamente al concetto di Daimon, concetto che mi affascina e che ho desiderato approfondire.
Il daimon è la voce segreta dell’anima, un richiamo che ci invia messaggi talvolta inquietanti, ma che ci induce a realizzare il nostro destino e diventare ciò che autenticamente siamo.
Il concetto di daimon è presente nel pensiero di J. Hillman, studioso delle strutture archetipiche del mito. Nel suo libro più noto, Il Codice dell’Anima, racconta le vite di personaggi famosi e dimostra come le scelte decisive sono dovute appunto al daimon dal quale dipende la realizzazione del nostro destino. La teoria della ghianda di Hillman, spiega che ciascuno di noi possiede in sé l’essenza di ciò che è destinato ad essere, la propria vocazione. Come nella ghianda è presente la quercia che non attende altro che di esprimersi, allo stesso modo ciascun individuo è portatore di una unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima ancora di essere vissuta.
Questa “essenza” è riconosciuta anche da A. Maslow che scrive: “Le attitudini pretendono di essere sfruttate e cessano di protestare soltanto quando vengono adoperate in misura sufficiente. Vale a dire, le capacità sono bisogni, e pertanto sono pure valori intrinseci…”.
Allo stesso modo C. G. Jung sostiene che il daimon è la vocazione dell’anima, un’immagine primaria che pulsa nell’essere umano richiamandolo ai suoi talenti e alla sua chiamata interiore. Un archetipo che risiede in noi e che, nonostante i traumi, le condizioni di vita (e la crudele amnesia dell’essere umano nei suoi confronti), grida per ricordargli la motivazione per cui è al mondo.In tempi più recenti, I. Dionigi nel suo libro, Segui il tuo demone, scrive “Nozione complessa, quella del demone, «equivoca e inafferrabile» per la sua duplice appartenenza alle sfere religiosa e filosofica, e per la sua duplice dimensione esterna e interna all’uomo, già a partire da Omero e dal pensiero pitagorico. Un concetto che progressivamente slitta dal piano mistico e religioso a quello umano, senza tuttavia recidere completamente il filo che lega terra e cielo, visibile e invisibile, dentro e fuori: e che sarà alla base stessa dell’idea di «felicità» (eudaimonia): quello stato nel quale siamo assistiti da un «buon (eu) demone (daimon)», una sorta di angelo custode”.
Ma cosa è davvero il daimon e perché è così importante?
Dal punto di vista etimologico la parola non ha un’origine certa ma l’ipotesi più accreditata vuole che derivi dal greco, letteralmente “distribuire destini”. In questa accezione il daimon è un’entità o energia che assegna all’essere umano il proprio destino personale.
Il termine fu poi adottato dalla cultura romana. In latino daemon , letteralmente “demone”. In senso figurato è inteso invece come “spirito” o “genio”, personificazione di una passione che agita il cuore dell’uomo.
Nella lingua italiana la traduzione è “demone“: una entità intermedia tra il divino e l’umano, capace di influire beneficamente o maleficamente sulle nostre azioni. Nel suo significato originario il daimon non è un essere negativo (il demonio) ma ha una duplice natura, benefica e malefica.
Il filosofo Platone nel Mito di Er raccontato nella Repubblica, ne delinea i tratti e la funzione e lo trasforma in uno degli archetipi più importanti della cultura occidentale. Il Mito di Er narra di come l’anima, prima della nascita, scelga il proprio destino come immagine primordiale da seguire. All’anima viene donato un genio tutelare che la accompagna, il daimon, la cui funzione è quella di ricordarle il suo destino e di assicurarsi che venga realizzato. Questo perché l’anima, una volta incarnata nel corpo, dimentica tutto ciò che è accaduto precedentemente e pensa di essere nata vuota. Solo grazie al daimon non perderà la memoria del proprio destino.
Gli studi di Jung e Hillman hanno fatto del daimon un concetto cardine della psicologia analitica insegnandoci l’importanza di riconoscere la vocazione come un dato fondamentale dell’esistenza umana a cui l’intera nostra vita deve tendere.
Dal rapporto con questa entità interiore, dipende la possibilità per noi esseri umani di esprimere la nostra vocazione. Nel momento in cui rifiutiamo di entrare in relazione con il nostro daimon questo ci tormenterà per la vita intera.
Perché è così difficile stabilire un rapporto positivo con il nostro daimon?
Il mito narra che dopo la nascita l’essere umano dimentica il disegno che la sua anima ha scelto, come pure la sua vocazione, il suo genio e i suoi talenti. Molti di noi vorrebbero esprimere le proprie vocazioni e vorrebbero che i propri talenti fossero riconosciuti da chi ci circonda. Non essere in grado di esprimere il nostro daimon può causare un senso di frustrazione. Qualcuno pensa di non avere una vocazione particolare o addirittura di non averne nessuna. Solo pochi sentono chiara la voce del proprio daimon e riescono a instaurare con questo un dialogo. Chi ne è capace manifesta apertamente i propri talenti, ottenendo successo e riconoscimento.
La motivazione principale per cui questo accade è che il daimon non è parte della nostra identità sociale. Il daimon anzi è fuori da tutto ciò che comporta il rispetto delle regole sociali, familiari, culturali, etiche e morali; non desidera compiacere nessuno. Il daimon è un archetipo dell’inconscio e in quanto tale pura esplosione creativa, un’energia incompresa dalla realtà esterna.
Quello che troppo spesso facciamo è non dare ascolto al nostro daimon, non sentire la sua chiamata, rinunciando così a seguire la nostra vocazione.
Il daimon è la voce segreta dell’anima, un richiamo che ci invia messaggi talvolta inquietanti, ma che ci induce a realizzare il nostro destino e diventare ciò che autenticamente siamo.
Il concetto di daimon è presente nel pensiero di J. Hillman, studioso delle strutture archetipiche del mito. Nel suo libro più noto, Il Codice dell’Anima, racconta le vite di personaggi famosi e dimostra come le scelte decisive sono dovute appunto al daimon dal quale dipende la realizzazione del nostro destino. La teoria della ghianda di Hillman, spiega che ciascuno di noi possiede in sé l’essenza di ciò che è destinato ad essere, la propria vocazione. Come nella ghianda è presente la quercia che non attende altro che di esprimersi, allo stesso modo ciascun individuo è portatore di una unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima ancora di essere vissuta.
Questa “essenza” è riconosciuta anche da A. Maslow che scrive: “Le attitudini pretendono di essere sfruttate e cessano di protestare soltanto quando vengono adoperate in misura sufficiente. Vale a dire, le capacità sono bisogni, e pertanto sono pure valori intrinseci…”.
Allo stesso modo C. G. Jung sostiene che il daimon è la vocazione dell’anima, un’immagine primaria che pulsa nell’essere umano richiamandolo ai suoi talenti e alla sua chiamata interiore. Un archetipo che risiede in noi e che, nonostante i traumi, le condizioni di vita (e la crudele amnesia dell’essere umano nei suoi confronti), grida per ricordargli la motivazione per cui è al mondo.In tempi più recenti, I. Dionigi nel suo libro, Segui il tuo demone, scrive “Nozione complessa, quella del demone, «equivoca e inafferrabile» per la sua duplice appartenenza alle sfere religiosa e filosofica, e per la sua duplice dimensione esterna e interna all’uomo, già a partire da Omero e dal pensiero pitagorico. Un concetto che progressivamente slitta dal piano mistico e religioso a quello umano, senza tuttavia recidere completamente il filo che lega terra e cielo, visibile e invisibile, dentro e fuori: e che sarà alla base stessa dell’idea di «felicità» (eudaimonia): quello stato nel quale siamo assistiti da un «buon (eu) demone (daimon)», una sorta di angelo custode”.
Ma cosa è davvero il daimon e perché è così importante?
Dal punto di vista etimologico la parola non ha un’origine certa ma l’ipotesi più accreditata vuole che derivi dal greco, letteralmente “distribuire destini”. In questa accezione il daimon è un’entità o energia che assegna all’essere umano il proprio destino personale.
Il termine fu poi adottato dalla cultura romana. In latino daemon , letteralmente “demone”. In senso figurato è inteso invece come “spirito” o “genio”, personificazione di una passione che agita il cuore dell’uomo.
Nella lingua italiana la traduzione è “demone“: una entità intermedia tra il divino e l’umano, capace di influire beneficamente o maleficamente sulle nostre azioni. Nel suo significato originario il daimon non è un essere negativo (il demonio) ma ha una duplice natura, benefica e malefica.
Il filosofo Platone nel Mito di Er raccontato nella Repubblica, ne delinea i tratti e la funzione e lo trasforma in uno degli archetipi più importanti della cultura occidentale. Il Mito di Er narra di come l’anima, prima della nascita, scelga il proprio destino come immagine primordiale da seguire. All’anima viene donato un genio tutelare che la accompagna, il daimon, la cui funzione è quella di ricordarle il suo destino e di assicurarsi che venga realizzato. Questo perché l’anima, una volta incarnata nel corpo, dimentica tutto ciò che è accaduto precedentemente e pensa di essere nata vuota. Solo grazie al daimon non perderà la memoria del proprio destino.
Gli studi di Jung e Hillman hanno fatto del daimon un concetto cardine della psicologia analitica insegnandoci l’importanza di riconoscere la vocazione come un dato fondamentale dell’esistenza umana a cui l’intera nostra vita deve tendere.
Dal rapporto con questa entità interiore, dipende la possibilità per noi esseri umani di esprimere la nostra vocazione. Nel momento in cui rifiutiamo di entrare in relazione con il nostro daimon questo ci tormenterà per la vita intera.
Perché è così difficile stabilire un rapporto positivo con il nostro daimon?
Il mito narra che dopo la nascita l’essere umano dimentica il disegno che la sua anima ha scelto, come pure la sua vocazione, il suo genio e i suoi talenti. Molti di noi vorrebbero esprimere le proprie vocazioni e vorrebbero che i propri talenti fossero riconosciuti da chi ci circonda. Non essere in grado di esprimere il nostro daimon può causare un senso di frustrazione. Qualcuno pensa di non avere una vocazione particolare o addirittura di non averne nessuna. Solo pochi sentono chiara la voce del proprio daimon e riescono a instaurare con questo un dialogo. Chi ne è capace manifesta apertamente i propri talenti, ottenendo successo e riconoscimento.
La motivazione principale per cui questo accade è che il daimon non è parte della nostra identità sociale. Il daimon anzi è fuori da tutto ciò che comporta il rispetto delle regole sociali, familiari, culturali, etiche e morali; non desidera compiacere nessuno. Il daimon è un archetipo dell’inconscio e in quanto tale pura esplosione creativa, un’energia incompresa dalla realtà esterna.
Quello che troppo spesso facciamo è non dare ascolto al nostro daimon, non sentire la sua chiamata, rinunciando così a seguire la nostra vocazione.