Ci viene continuamente detto di cambiare vita, idea, lavoro, religione, partner e casa. Ma per quanto il monito al cambiamento ci arrivi da ogni parte, in realtà noi esseri umani non siamo programmati per cambiare.
Tra tutte le specie animali e vegetali, quella umana è la meno predisposta a cambiare. Se oggi ti trovi alle prese con dei cambiamenti, qualora ti risultassero difficili, sappi che non è colpa tua se non ci stai riuscendo, ma è una cosa del tutto normale.
Il cambiamento, prima di un’azione, è un pensiero.
Per pensare al cambiamento dobbiamo intenderci prima su cosa significhi davvero. Nel suo tentativo di scoprire chi sono coloro che sono più predisposti di altri a sopravvivere, Darwin ha concluso che questi non sono assolutamente coloro che sono più portati al cambiamento, ma, al contrario, coloro che si adattano, che vincono la sfida per la sopravvivenza.
Ma è intuitivo come cambiamento e adattamento siano movimenti opposti. Cambiare fa muovere, agire, fa fare la rivoluzione. L’adattarsi, invece, richiede di trovare una postura in un contesto spesso preparato da altri per noi. Sono in contraddizione tra di loro.
Da dove nasce tutto questo? Bisogna andare molto indietro nel tempo...Prima di dare la colpa alla famiglia dobbiamo tenere in considerazione alcune coordinate storiche che affondano le radici molto più indietro nel tempo, per la precisione la comparsa degli ominidi, quando le minacce erano dovunque, a differenza di adesso. Al contrario di quanto si pensa comunemente, oggi ci troviamo nell’epoca più sicura di sempre. All’epoca degli ominidi, invece, abbiamo imparato la necessità di stare insieme, perché se qualcuno avesse cambiato il programma rispetto a come uscire per procacciarsi da mangiare, isolandosi e prendendo delle iniziative, lo avrebbe pagato con la vita. Non sono bastati i millenni intercorsi per cambiare la situazione. Oggi, che siamo iperconnessi e dovremmo recuperare una dimensione di sano isolamento, non ci comportiamo diversamente dagli ominidi, perché il nostro cervello rettiliano, la parte più antica del nostro corpo, comunica ancora con i nostri antenati e ci manda il messaggio di mantenere lo status quo, di tendere all’omeostasi e di non cambiare, anche se siamo in disagio, perché abbiamo imparato che cambiare potrebbe essere ancora più pericoloso.
Perché avviene questo?
Qualcuno potrebbe dire perché l’essere umano ha una coscienza ed è consapevole che, quando cambia, ciò impatta anche sugli altri intorno a lui e questo genera senso di colpa, vergogna, impotenza.
Non penso che le cose stiano realmente così. Penso che grazie alla nostra coscienza possiamo agire ed essere autori di cambiamento, ma non lo facciamo a causa del nostro inconscio che non controlliamo.
La piramide dei bisogni di Maslow è, a tutti gli effetti, una figura geometrica attraverso la quale si vogliono far vedere i bisogni primari dell’uomo, che sono quelli alla base, fino ad arrivare al vertice, collocandoli in ordine di importanza. I profani di psicologia pensano che alla base della piramide ci siano i bisogni fisiologici legati al funzionamento del corpo, quindi: mangiare, bere, dormire e fare l’amore. Non è così: alla base dei bisogni umani c’è il senso di sicurezza. Ma questo senso di sicurezza è in evidente contraddizione con il concetto di cambiamento.
Tra tutte le specie animali e vegetali, quella umana è la meno predisposta a cambiare. Se oggi ti trovi alle prese con dei cambiamenti, qualora ti risultassero difficili, sappi che non è colpa tua se non ci stai riuscendo, ma è una cosa del tutto normale.
Il cambiamento, prima di un’azione, è un pensiero.
Per pensare al cambiamento dobbiamo intenderci prima su cosa significhi davvero. Nel suo tentativo di scoprire chi sono coloro che sono più predisposti di altri a sopravvivere, Darwin ha concluso che questi non sono assolutamente coloro che sono più portati al cambiamento, ma, al contrario, coloro che si adattano, che vincono la sfida per la sopravvivenza.
Ma è intuitivo come cambiamento e adattamento siano movimenti opposti. Cambiare fa muovere, agire, fa fare la rivoluzione. L’adattarsi, invece, richiede di trovare una postura in un contesto spesso preparato da altri per noi. Sono in contraddizione tra di loro.
Da dove nasce tutto questo? Bisogna andare molto indietro nel tempo...Prima di dare la colpa alla famiglia dobbiamo tenere in considerazione alcune coordinate storiche che affondano le radici molto più indietro nel tempo, per la precisione la comparsa degli ominidi, quando le minacce erano dovunque, a differenza di adesso. Al contrario di quanto si pensa comunemente, oggi ci troviamo nell’epoca più sicura di sempre. All’epoca degli ominidi, invece, abbiamo imparato la necessità di stare insieme, perché se qualcuno avesse cambiato il programma rispetto a come uscire per procacciarsi da mangiare, isolandosi e prendendo delle iniziative, lo avrebbe pagato con la vita. Non sono bastati i millenni intercorsi per cambiare la situazione. Oggi, che siamo iperconnessi e dovremmo recuperare una dimensione di sano isolamento, non ci comportiamo diversamente dagli ominidi, perché il nostro cervello rettiliano, la parte più antica del nostro corpo, comunica ancora con i nostri antenati e ci manda il messaggio di mantenere lo status quo, di tendere all’omeostasi e di non cambiare, anche se siamo in disagio, perché abbiamo imparato che cambiare potrebbe essere ancora più pericoloso.
Perché avviene questo?
Qualcuno potrebbe dire perché l’essere umano ha una coscienza ed è consapevole che, quando cambia, ciò impatta anche sugli altri intorno a lui e questo genera senso di colpa, vergogna, impotenza.
Non penso che le cose stiano realmente così. Penso che grazie alla nostra coscienza possiamo agire ed essere autori di cambiamento, ma non lo facciamo a causa del nostro inconscio che non controlliamo.
La piramide dei bisogni di Maslow è, a tutti gli effetti, una figura geometrica attraverso la quale si vogliono far vedere i bisogni primari dell’uomo, che sono quelli alla base, fino ad arrivare al vertice, collocandoli in ordine di importanza. I profani di psicologia pensano che alla base della piramide ci siano i bisogni fisiologici legati al funzionamento del corpo, quindi: mangiare, bere, dormire e fare l’amore. Non è così: alla base dei bisogni umani c’è il senso di sicurezza. Ma questo senso di sicurezza è in evidente contraddizione con il concetto di cambiamento.
Al vertice della piramide, come ultimo, c’è il bisogno di autorealizzazione, che è spesso sinonimo di cambiamento, inteso come “divento me, compio il mio sé in accordo alle aspettative e indicazioni altrui”. Inganno dopo inganno, propaganda dopo l’altra, questo ci insegna che, ad esempio, l’amore può tutto e che se amiamo qualcuno possiamo arrivare a cambiare noi stessi e la nostra vita pur di stare insieme a quella persona, finendo per pensare che se quella persona non mantiene la promessa di amore fatta vuol dire che ci ha mentito.
Non è così. È una questione di bisogni, in cui il bisogno di sicurezza regge e costituisce la base di tutti gli altri.
Ve lo spiego meglio. Alcune persone hanno bisogno di non far soffrire gli altri quindi, magari, si sono innamorate di qualcuno, ma restano con la persona con cui stanno perché trovano intollerabile provocarle un dolore. Trovano, invece, più tollerabile dare un dolore a sé stessi o alla persona di cui sono innamorate, pensando che sia sufficiente la dichiarazione del loro sentimento fatta loro per alleviare tale dolore. Ma non chiediamogli di cambiare vita e non sarà vero che stanno mentendo, ma hanno bisogno di sentirsi delle brave persone.
Questo lo hanno imparato in casa: nella storia dell’umanità, il nucleo familiare è sempre stato descritto come il posto più sicuro dove stare. Quando invece è il più pericoloso, a volte lo è in modo esplicito, come nelle famiglie maltrattanti, altre in maniera più subdola, come nelle famiglie di tutti noi, in cui cresciamo i nostri figli dentro a stereotipi e ruoli di genere che ancora oggi fanno sì che più del 60% delle donne dopo il secondo figlio smetta di lavorare per stare a casa.
Gli uomini, nonostante stiano cercando di attivare una rivoluzione emotiva, sono ancora convinti di non potersi far vedere fragili in pubblico, perché quello è un atteggiamento femminile, e così il loro modo di essere padri non sempre riesce a fare a metà con le proprie compagne con le quali hanno avuto un figlio, perché dentro hanno il modello del padre provider che porta a casa lo stipendio.
Ma i bambini così imparano che si procureranno e garantiranno il bene degli altri a seconda di quello che fanno. Invece meritiamo di ricevere il bene per quello che siamo, perché più veniamo accolti e amati per chi siamo e più ci comportiamo bene. Non è il contrario, non è che se ci comportiamo bene ci garantiremo di essere accolti dal gruppo, anche se è quello che insegniamo ai nostri figli perché è ciò che è stato insegnato a noi.
Cambiare è difficile e non è per la specie umana di cui facciamo parte.
Ho letto una storia che racconta di una ragazza della cui famiglia è famosa la ricetta del pollo, che cucinano rigorosamente con le zampe legate verso l’alto e immerso nella pentola. La ragazza chiede alla madre il segreto di quella ricetta e lei risponde: “Perché mia madre faceva così”. Allora la ragazza chiede alla nonna che le risponde lo stesso della madre. La ragazza va dalla bisnonna per chiederle come mai avessero iniziato a cucinare il pollo in quel modo e lei risponde perché la pentola era troppo stretta e altrimenti il pollo non ci stava.
È evidente che è molto più facile fare quello che gli altri hanno fatto prima di noi, senza metterlo in discussione e senza creare un pensiero originale sul come fare diversamente. Questo ci garantisce sia un senso di sicurezza sia un senso di appartenenza, che ci fa sentire al sicuro.
Tipica, per mantenere stereotipi e ruoli di genere, è l’idea che se vuoi bene a qualcuno devi sacrificare qualcosa per lui, che a volte è la tua stessa vita perché c’è l’idea che amore sia sinonimo di sacrificio.
Se non soffri, se non dai pezzi di te, allora vuol dire che non stai dimostrando quanto ci tieni. Capita, allora, che le mamme lascino il lavoro, le coppie perdano sé stesse, il tempo prima dedicato alle amiche venga poi dedicato solo ai figli.
Siamo convinti che per essere una buona madre bisogna per forza seguire un comportamento già prescritto e chi prova a fare qualcosa di diverso viene percepito come una minaccia, perché dà l’idea ad altri che si possa fare diversamente e questo attenta all’ordine precostituito, che magari non ci piace, però è familiare. E qualsiasi cosa che risulta essere familiare sarà sempre preferibile.
Ma così diamo noi stessi per i nostri figli, trasmettendogli che questi sono i modi giusti per stare in relazione. E succederanno due cose: la prima è che nostro figlio imparerà e dovrà fare lo stesso con noi; la seconda, apparentemente uguale ma più subdola, è che noi ci presteremo a mettere da parte noi stessi perché pensiamo che un giorno nostro figlio farà lo stesso con noi.
Questo è il motivo per cui nel 2023 i figli adulti non possono immaginare di dare dispiaceri ai loro genitori: di andare a vivere all’estero, di ristrutturare la casa senza il loro permesso, con l’idea di farli rimanere male. E se gli viene chiesto il perché loro rispondono: “Perché è brutto”.
Questo inganno, che è il peggiore, è che ci hanno insegnato che l’egoismo è l’atteggiamento di chi si preoccupa unicamente di sé stesso e del suo benessere.
Per la psicologia l’egoismo è esattamente il contrario di come viene descritto nel dizionario, ossia significa che mi metto al centro, cioè mi tengo presente nella mia vita, che è l’unica che ho e che posso vivere, facendo in modo di soddisfarmi da sola senza dare l’onere ad un altro, lasciando contemporaneamente tutto il tempo e le risorse all’altro perché possa fare lo stesso, così che entrambi, al di là dei bisogni, iniziamo a realizzare anche dei desideri. Bisogni e desideri sono due concetti diversi, anche se spesso vengono usati come sinonimi. Il bisogno ci governa, rifugge al nostro controllo e molto spesso non ne siamo consapevoli, motivo per cui non ci rendiamo conto del motivo per cui facciamo delle cose piuttosto che altre, anche se le percepiamo come migliori per noi, perché siamo governati dal bisogno di sentirci in un certo modo.
Questo articolo è tratto da uno speech di Stefania Andreoli, psicoterapeuta e scrittrice italiana.
Non è così. È una questione di bisogni, in cui il bisogno di sicurezza regge e costituisce la base di tutti gli altri.
Ve lo spiego meglio. Alcune persone hanno bisogno di non far soffrire gli altri quindi, magari, si sono innamorate di qualcuno, ma restano con la persona con cui stanno perché trovano intollerabile provocarle un dolore. Trovano, invece, più tollerabile dare un dolore a sé stessi o alla persona di cui sono innamorate, pensando che sia sufficiente la dichiarazione del loro sentimento fatta loro per alleviare tale dolore. Ma non chiediamogli di cambiare vita e non sarà vero che stanno mentendo, ma hanno bisogno di sentirsi delle brave persone.
Questo lo hanno imparato in casa: nella storia dell’umanità, il nucleo familiare è sempre stato descritto come il posto più sicuro dove stare. Quando invece è il più pericoloso, a volte lo è in modo esplicito, come nelle famiglie maltrattanti, altre in maniera più subdola, come nelle famiglie di tutti noi, in cui cresciamo i nostri figli dentro a stereotipi e ruoli di genere che ancora oggi fanno sì che più del 60% delle donne dopo il secondo figlio smetta di lavorare per stare a casa.
Gli uomini, nonostante stiano cercando di attivare una rivoluzione emotiva, sono ancora convinti di non potersi far vedere fragili in pubblico, perché quello è un atteggiamento femminile, e così il loro modo di essere padri non sempre riesce a fare a metà con le proprie compagne con le quali hanno avuto un figlio, perché dentro hanno il modello del padre provider che porta a casa lo stipendio.
Ma i bambini così imparano che si procureranno e garantiranno il bene degli altri a seconda di quello che fanno. Invece meritiamo di ricevere il bene per quello che siamo, perché più veniamo accolti e amati per chi siamo e più ci comportiamo bene. Non è il contrario, non è che se ci comportiamo bene ci garantiremo di essere accolti dal gruppo, anche se è quello che insegniamo ai nostri figli perché è ciò che è stato insegnato a noi.
Cambiare è difficile e non è per la specie umana di cui facciamo parte.
Ho letto una storia che racconta di una ragazza della cui famiglia è famosa la ricetta del pollo, che cucinano rigorosamente con le zampe legate verso l’alto e immerso nella pentola. La ragazza chiede alla madre il segreto di quella ricetta e lei risponde: “Perché mia madre faceva così”. Allora la ragazza chiede alla nonna che le risponde lo stesso della madre. La ragazza va dalla bisnonna per chiederle come mai avessero iniziato a cucinare il pollo in quel modo e lei risponde perché la pentola era troppo stretta e altrimenti il pollo non ci stava.
È evidente che è molto più facile fare quello che gli altri hanno fatto prima di noi, senza metterlo in discussione e senza creare un pensiero originale sul come fare diversamente. Questo ci garantisce sia un senso di sicurezza sia un senso di appartenenza, che ci fa sentire al sicuro.
Tipica, per mantenere stereotipi e ruoli di genere, è l’idea che se vuoi bene a qualcuno devi sacrificare qualcosa per lui, che a volte è la tua stessa vita perché c’è l’idea che amore sia sinonimo di sacrificio.
Se non soffri, se non dai pezzi di te, allora vuol dire che non stai dimostrando quanto ci tieni. Capita, allora, che le mamme lascino il lavoro, le coppie perdano sé stesse, il tempo prima dedicato alle amiche venga poi dedicato solo ai figli.
Siamo convinti che per essere una buona madre bisogna per forza seguire un comportamento già prescritto e chi prova a fare qualcosa di diverso viene percepito come una minaccia, perché dà l’idea ad altri che si possa fare diversamente e questo attenta all’ordine precostituito, che magari non ci piace, però è familiare. E qualsiasi cosa che risulta essere familiare sarà sempre preferibile.
Ma così diamo noi stessi per i nostri figli, trasmettendogli che questi sono i modi giusti per stare in relazione. E succederanno due cose: la prima è che nostro figlio imparerà e dovrà fare lo stesso con noi; la seconda, apparentemente uguale ma più subdola, è che noi ci presteremo a mettere da parte noi stessi perché pensiamo che un giorno nostro figlio farà lo stesso con noi.
Questo è il motivo per cui nel 2023 i figli adulti non possono immaginare di dare dispiaceri ai loro genitori: di andare a vivere all’estero, di ristrutturare la casa senza il loro permesso, con l’idea di farli rimanere male. E se gli viene chiesto il perché loro rispondono: “Perché è brutto”.
Questo inganno, che è il peggiore, è che ci hanno insegnato che l’egoismo è l’atteggiamento di chi si preoccupa unicamente di sé stesso e del suo benessere.
Per la psicologia l’egoismo è esattamente il contrario di come viene descritto nel dizionario, ossia significa che mi metto al centro, cioè mi tengo presente nella mia vita, che è l’unica che ho e che posso vivere, facendo in modo di soddisfarmi da sola senza dare l’onere ad un altro, lasciando contemporaneamente tutto il tempo e le risorse all’altro perché possa fare lo stesso, così che entrambi, al di là dei bisogni, iniziamo a realizzare anche dei desideri. Bisogni e desideri sono due concetti diversi, anche se spesso vengono usati come sinonimi. Il bisogno ci governa, rifugge al nostro controllo e molto spesso non ne siamo consapevoli, motivo per cui non ci rendiamo conto del motivo per cui facciamo delle cose piuttosto che altre, anche se le percepiamo come migliori per noi, perché siamo governati dal bisogno di sentirci in un certo modo.
Questo articolo è tratto da uno speech di Stefania Andreoli, psicoterapeuta e scrittrice italiana.