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Quanto spazio c'è nel cuore? di Gian Luca Capuzzo

6/2/2023

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Quanto spazio abbiamo nel cuore? A quante persone, animali o cose ci possiamo affezionare? Il livello di amore che si prova per una persona o un'altra riduce in modo proporzionale lo spazio del nostro cuore oppure è solo una casella di tante occupata?
Sarebbe utile poter considerare il cuore come uno strumento tecnico dove possiamo mettere amori ed affetti in modo schematico e non doverci preoccupare di quanto spazio c’è dentro, perché quando è pieno basta fare un poco di pulizia, come negli armadi in primavera, per poter ospitare altro.
Ma quanto spazio c’è? Possiamo aumentarlo?
Nella mia vita di sportivo ed apneista ho imparato che per esempio il volume polmonare può essere aumentato di parecchio se ci alleniamo nello stretching dell’apparto scheletrico/muscolare correlato all’atto respiratorio, e se potessimo espandere lo spazio nel nostro cuore?
potremmo voler bene a tutti e tutto in modo indiscriminato?

Mi sa tanto che sto facendo un volo pindarico, ma nella mia esperienza di vita sempre più mi rendo conto che ho spazi limitati per affetti ed interessi che coinvolgano i sentimenti che in modo molto romantico e poco scientifico attribuiamo poeticamente al cuore.
Come possiamo allenarci per espandere questa abilità? Ed ancora sarebbe giusto farlo o meglio lasciare le cose come sono?

Se conto tutti i punti interrogativi usciti da queste poche righe mi sento ubriaco.
Decidiamo se dirigere i nostri affetti ad una persona piuttosto che ad un'altra a seconda di tante variabili, spesso ci si affeziona di più a tizio che a caio perché troviamo delle affinità maggiori con l’uno piuttosto che con l’altro, ma penso che le affinità siano anche strettamente legate all’accettazione delle differenze tra individui, e se ancora penso che sto bene quando spingo i miei affetti verso qualcuno mi viene da chiedermi…E se volessi bene a tutti ed a tutto? Utopisticamente starei benissimo sempre e comunque?
Si! Sicuramente questo è un gran bel volo pindarico!
Ma gli interrogativi restano, stimolano molto la mia curiosità, riuscirò a trovare un buon allenamento per il cuore?
In ambito sportivo si usa spesso il detto inglese, “no pain no gain” ed infatti le delusioni affettive fanno male ma ci danno esperienza di vita.

Le domande e gli interrogativi restano, proviamo a vivere giorno dopo giorno e vedere come va?
Penso sia una strategia attuabile…
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'Schiuma dei motori, pensieri sulla felicità' di Lorenzo Manfredini

6/2/2023

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Oh, ma quanto è noioso parlare di felicità come se fosse solo un'equazione chimica nella nostra testa! La felicità è molto di più che solo un aumento di endorfine, serotonina, dopamina, ossitocina e una diminuzione di cortisolo. La felicità è un'onda montante che ti fa sentire vivo, un tripudio di sensazioni, pensieri e movimenti che ti fanno sentire in pace con il mondo. Ieri ero sulla barca e guardavo le onde sollevate dai motori. Era come se le bolle che si formavano fossero la felicità, eppure sapevo che quel momento sarebbe durato poco. Ma questo non significa che la felicità non valga la pena di essere vissuta! La felicità è una finestra che si apre e si chiude, ma ogni volta che lo fa, ci permette di guardare fuori e vedere il mondo sotto una luce diversa.

Sì, viviamo in tempi difficili, con pandemie, crisi economiche, polarizzazione politica e incertezza per il futuro che sembrano essere dappertutto. Ma nonostante tutto questo, la felicità è ancora possibile. La felicità non dipende dalle circostanze esterne, ma da come decidiamo di vederle. Sì, la vita può essere dura, ma è anche piena di benedizioni e opportunità.
È importante concentrarsi sulle cose positive, essere grati per quello che abbiamo e coltivare relazioni sane con le persone che amiamo. E poi c'è la scelta. Possiamo scegliere di impegnarci in attività che ci fanno sentire felici e soddisfatti, come leggere un libro, fare esercizio fisico o trascorrere del tempo all'aria aperta. E non dimentichiamo l'importanza di prenderci cura di noi stessi.

La felicità non può essere raggiunta se non siamo sani sia fisicamente che mentalmente; quindi, dobbiamo prenderci il tempo di nutrire il nostro corpo e la nostra mente, e di praticare l’auto cura. In definitiva, la felicità è un'avventura, un'esperienza unica che ognuno di noi vive in modo diverso. Ma questo non significa che non possiamo godercela appieno! Scegliamo di essere felici, di concentrarci sulle cose positive e di prenderci cura di noi stessi. La felicità è una bolla di schiuma sul mare della vita, ma è una bolla che vale la pena di essere vissuta.
Questo significa prenderci cura della nostra salute fisica, nutrire la mente con esperienze positive e praticare la meditazione o la riflessione per mantenere la pace interiore. In definitiva, la felicità è un'esperienza unica e personale, e dipende da molteplici fattori, tra cui le circostanze della vita, le nostre scelte e il modo in cui percepiamo le cose. Tuttavia, nonostante la vita possa essere difficile a volte, la felicità è sempre possibile se scegliamo di concentrarci sulle cose positive, di prenderci cura di noi stessi e di impegnarci in attività che ci danno gioia e soddisfazione. Quindi, amici miei, non arrendiamoci alle difficoltà della vita! Andiamo avanti, facciamo del nostro meglio, e scegliamo di essere felici!
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'A proposito di bellezza' di Monia Da Lozzo

1/2/2023

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“Perché le persone, poi, ti guardano in un certo modo…”, mi fu detto nella buon’ora di una domenica mattina, durante una colazione di caffè caldo e croissant vegano.
Lì per lì, non diedi molta importanza alle parole dette, ma nei giorni a venire cominciarono a risuonarmi nella testa.
 Scusami Orazio, ma che cosa intendevi domenica mattina con quella frase, sulle persone che ad un certo punto, mi guardano in un certo modo?
Sai Orazio, queste tue parole mi hanno fatto riflettere.
Vedi Monia, le persone apprezzano la tua bellezza e i tuoi occhi sono lo specchio della tua anima.

“La bellezza può consolare o turbare; può essere sacra o profana; può essere divertente, stimolante, ispiratrice, raggelante. Può influenzarci in infiniti modi, ma mai viene considerata con indifferenza: la bellezza esige di essere notata”.

Con queste parole, il filosofo inglese Roger Scruton, apre il suo ultimo saggio sul significato della bellezza e sul posto che occupa nella nostra vita. Ci porta a riflettere sulla nostra esperienza di bellezza e trovare il senso delle emozioni, che essa suscita in noi.
E la bellezza, ha radici che si possono ricercare nei pensatori classici, dove Platone vede il bello come una via che conduce al trascendente o, a Tommaso D’Aquino che la erge a un dono di Dio.

La bellezza è parte di noi, è parte della nostra vita e la bellezza ci aiuterà a salvare il mondo, con la sua grande capacità di sconfinare in un universo che ci accoglie.​

La vera bellezza, ha un valore autentico perché è intrinseco e indissolubile, capace di smontare lo stereotipo dell’effimero.
E la differenza, sta semplicemente negli occhi di chi la guarda.
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'Temi caldi' di Lorenzo Manfredini

29/1/2023

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Temi caldi e di interesse in ambito coaching e counseling:
  • Uso del coaching per lo sviluppo delle competenze e della leadership
  • Utilizzo del counseling per la gestione dello stress e del benessere mentale
  • Integrazione di tecniche di training mentale, mindfulness e meditazione nel coaching e nel counseling
  • Uso del coaching e del counseling per la gestione dei cambiamenti e dei transiti di vita
  • Approccio centrato sulla persona e la terapia centrata sull'esperienza
  • Utilizzo di tecniche di coaching e counseling per il successo professionale e personale
  • Comprensione e utilizzo dell'Intelligenza Emotiva nell'ambito del coaching e del counseling
  • Utilizzo della tecnologia e della comunicazione digitale per il supporto al coaching e al counseling a distanza.
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Coaching e Counseling online e a distanza 

Il coaching e il counseling online e a distanza stanno diventando sempre più popolari negli ultimi anni, offrendo una maggiore comodità e accessibilità a coloro che cercano supporto professionale. Tuttavia, come con qualsiasi metodo di supporto, ci sono pro e contro nell'uso del coaching e del counseling online e a distanza.

In primo luogo, un vantaggio del coaching e del counseling online e a distanza è la maggiore accessibilità. Con la possibilità di incontrarsi virtualmente, le persone possono accedere a supporto professionale da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, senza la necessità di spostarsi. Inoltre, per coloro che vivono in zone remote o che hanno difficoltà a spostarsi, l'opzione del coaching e del counseling online e a distanza può essere una benedizione.

Inoltre, il coaching e il counseling online e a distanza possono essere più convenienti rispetto alle opzioni tradizionali. Con la possibilità di programmare incontri virtuali, le persone possono adattare il supporto professionale alle loro esigenze e preferenze.

Un altro vantaggio del coaching e del counseling online e a distanza è che può essere meno intimidatorio per alcune persone. La possibilità di comunicare virtualmente può rendere più facile per alcune persone condividere i loro pensieri e sentimenti con un professionista.

D'altra parte, ci sono anche alcuni svantaggi nell'uso del coaching e del counseling online e a distanza. In primo luogo, la dipendenza dalla qualità della connessione internet può essere un problema. Se la connessione non è stabile, può essere difficile mantenere una comunicazione efficace tra il coach o il counselor e il cliente.

Inoltre, l'interazione fisica tra il coach o il counselor e il cliente è limitata nella terapia online e a distanza, il che può essere un problema per alcune persone. Alcune persone potrebbero sentire la necessità di avere un contatto fisico con il loro coach o counselor per sentirsi a proprio agio e per ottenere il massimo beneficio dalla terapia.

Inoltre, per alcune condizioni cliniche, come ad esempio i disturbi dell'alimentazione, il coaching e il counseling online e a distanza potrebbe non essere la scelta più appropriata. In questi casi, il coaching e il counseling tradizionali potrebbero essere più efficaci poiché il professionista ha la possibilità di valutare la situazione fisica del cliente e di fornire un supporto immediato.

In generale, il coaching e il counseling online e a distanza possono essere un'opzione valida per molte persone, soprattutto per coloro che hanno difficoltà a spostarsi o che vivono in zone remote. Tuttavia, è importante tenere presente che non tutti i clienti possono trarre beneficio dall'incontro online e a distanza e che alcune condizioni cliniche potrebbero richiedere un supporto tradizionale.

Prima di scegliere di fare coaching o counseling online e a distanza, è importante valutare le proprie esigenze e preferenze e discutere con il proprio coach o counselor per capire se questo metodo di supporto è adatto per te. Inoltre, è importante assicurarsi di scegliere un professionista qualificato e di verificare che abbia le competenze per fornire un supporto efficace attraverso l'incontro online e a distanza.

In generale, l'incontro online e a distanza può essere una valida opzione per coloro che cercano supporto professionale, ma è importante valutare i propri bisogni e discuterne con un professionista qualificato per determinare se è la scelta giusta per te.
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I nostri ospiti indesiderati: i «tasti dolenti», di Cosimo D'Ambrosio

28/1/2023

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​Quante volte ci è capitato di avere comportamenti inadeguati o reazioni impulsive causati da parole o commenti altrui, apparentemente banali, che hanno improvvisamente risvegliato in noi emozioni negative, quali rabbia, frustrazione o vergogna?
Si tratta dei c.d. tasti dolenti, ovvero di condensati emotivi e psicologici collegati ai vissuti della nostra infanzia, che fanno riemergere esperienze dolorose, capaci di influenzare negativamente le relazioni con noi stessi e con gli altri, soprattutto quando si vivono episodi conflittuali.
In altri termini, i tasti dolenti sono quelle risonanze che ci fanno stare talmente male da non permetterci di gestire un conflitto, in quanto rievocano una ferita prolungata della vita infantile.
Ognuno di noi ha una frase particolare che lo ferisce, del tipo: “Non ce la farai mai…”; “Con te non si può parlare…”; “Appena c’è un problema, tu molli…”.
Sono parole o frasi che, nell’intenzione di chi le pronuncia, non devono necessariamente avere il significato di un’offesa e, tuttavia, esse hanno il potere di raggiungerci diritte alla pancia, ci fanno male e ci provocano sensazioni pesanti e difficili da elaborare.
A ben vedere, non si tratta semplicemente di parole o commenti che non ci piacciono, ma di frasi che ci lasciano storditi e a disagio, frustrati e impotenti. Esse rappresentano un magma emotivo e biografico, che si muove all’interno delle nostre percezioni e proiezioni della realtà, e che va posto in relazione a tempi lontani, quando cercavamo di farci notare dai nostri genitori, sforzandoci di dimostrare che valevamo qualcosa, anche se ci sentivamo rispondere: “Se non sai farti rispettare…”; oppure: “Taci, che è meglio!”.
Queste parole, quando ci capita di riascoltarle, hanno il potere di risvegliare reazioni di rabbia e di sconforto, perché appartengono ad un sottofondo della nostra anima, e cioè a quella parte della nostra storia che riemerge di tanto in tanto. Diventa importante, quindi, saper gestire questi «nervi scoperti», imparando, prima di tutto, a riconoscerli e, poi, a capire come governarli.
Si tratta, a ben vedere, di piccole “falle” che drenano energie ed emozioni; è un terreno che non conosciamo bene e su cui non siamo in grado di esercitare né una consapevolezza né un vero e proprio cambiamento. Per questo dobbiamo imparare a riconoscere quello che ci sta alle spalle, cercando di superare gli ostacoli che la vita ci presenta.
Abbiamo bisogno di percorsi che rispondano alle nostre necessità emotive più profonde e che rappresentino i bisogni di risarcimento e di compensazione rispetto alle mancanze subite in passato. Tuttavia, dobbiamo prestare attenzione al fatto che l’attivazione di un tasto dolente, imponendoci di “difendere” il bambino ferito che è dentro di noi, crea - a livello inconscio - un desiderio di ottenere giustizia che, però, sortisce l’opposto effetto di deformare la realtà.
Peraltro, se è vero che in alcune situazioni riusciamo a controllare e ad addomesticare il tasto dolente, in altre esso prende il sopravvento, trasformandosi in furia, in refrattarietà, in paura o in altre modalità emotive che non ci consentono di affrontare adeguatamente le relazioni con gli altri.
Il rischio, quindi, è che ne nascano comportamenti disfunzionali motivati dal bisogno di difendere la piccola vittima di un “torto” che, a distanza di molto tempo, rimane incistato nel profondo, aspettando un risarcimento. 
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'M15 - Master in Mental Training e Coaching' di Lorenzo Manfredini

31/12/2022

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Il 21/22 Gennaio 2023 inizia il Master M15
Il Master in Mental Training e Coaching è un corso di formazione di livello avanzato progettato per aiutare i partecipanti a sviluppare le competenze necessarie per diventare Mental Trainer e Coach professionisti.
Per capire la varietà e la qualità dei programmi precedenti si consultino gli approfondimenti dei corsi M13 e M14.
Durante il corso M15, i partecipanti impareranno le tecniche più innovative e efficaci di Mental Training e Coaching, sviluppate dai nostri esperti nel campo.

Il Mental Training è una disciplina che si occupa di sviluppare le prestazioni mentali di un individuo, sia a livello personale che professionale. Utilizza tecniche di visualizzazione, concentrazione, motivazione, gestione dello stress e altre ancora per aiutare le persone a raggiungere il massimo potenziale.

Il Coaching, d'altra parte, è una disciplina che si occupa di aiutare le persone a raggiungere i loro obiettivi personali e professionali attraverso il supporto e il mentoring. Un Coach professionista lavora con i clienti per aiutarli a sviluppare le competenze e le strategie necessarie per raggiungere i loro obiettivi.

Il Master in Mental Training e Coaching è progettato per aiutare gli individui a sviluppare le competenze necessarie per diventare esperti in entrambe le discipline. Durante il corso, i partecipanti impareranno le tecniche avanzate di Mental Training e Coaching e svilupperanno le competenze necessarie per aiutare gli altri a raggiungere il massimo potenziale.

Il corso è strutturato in modo da offrire una formazione pratica e coinvolgente, con lezioni teoriche, esercitazioni pratiche e casi studio. I partecipanti avranno l'opportunità di mettere in pratica le tecniche appena imparate e di ricevere il feedback degli esperti del nostro team.

Il Master in Mental Training e Coaching è adatto a chiunque sia interessato a sviluppare le proprie competenze in queste discipline e a utilizzarle per aiutare gli altri a raggiungere il massimo potenziale. Non è necessario avere alcun background specifico per partecipare al corso; tuttavia, è richiesta una forte motivazione a imparare e a mettere in pratica le tecniche di Mental Training e Coaching.

Al termine del corso, i partecipanti avranno sviluppato le competenze necessarie per diventare Mental Trainer e Coach professionisti. Saranno in grado di utilizzare le tecniche di Mental Training e Coaching per aiutare gli altri a raggiungere il massimo potenziale e a superare gli ostacoli che si presentano nel percorso verso il successo.

Se sei interessato a diventare un Mental Trainer o un Coach professionista e a imparare le tecniche avanzate di Mental Training e Coaching, il Master in Mental Training e Coaching è il corso perfetto per te. Iscriviti oggi stesso e inizia il tuo percorso verso il successo.

Il programma è consultabile alla pagina/link M15: 
​https://stepc-academy.thinkific.com/courses/master-in-mental-training-e-coaching
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'Inversione dell'onere della prova' di Enrico Cavallari

31/12/2022

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Mi sono imbattuto qualche tempo fa in questa definizione tipica della retorica e con connessioni in campo legale, un po’ astrusa, che mi ha fatto riflettere molto sulle attuali dinamiche sociali.

L’inversione dell’onere della prova è una fallacia logica. Funziona così: qualcuno fa un’affermazione non provata e chiede al suo interlocutore dubbioso di provare che quell’affermazione è falsa.
Capita sovente di riconoscere questa dinamica provocatoria tipicamente quando si affrontano temi ideologici  non scientifici come ad esempio conflitti sul tema del complottismo (negazionismi come no vax, no Covid, scie chimiche, no war , ecc.) e altrettanto tipicamente si innescano dinamiche non inerenti il tema in sè, ma che sfociano in psichiatriche esigenze dell’esercizio dell’Io in modo suprematista.
Perché oggi questo accade sempre più spesso?
Probabili trigger sono innescati dalla paura e dalla necessità di rifugio rispetto ad un contesto sempre più stressante e incerto. Le fonti di stimolo peraltro sono sistemiche, specchio di una società inquieta e disagiata: i social, che in una logica primevamente democratica non filtrano (ancora) sulla veridicità o autenticità delle informazioni, o i grandi manipolatori (Donald Trump ne è un fulgido esempio, interpretando alla lettera il concetto di cui sopra, negando ogni evidenza, rispedendo al mittente ogni accusa e falsificando artatamente la realtà personale e ideologica, come ad esempio la sua campagna di negazione dello riscaldamento climatico globale).
Assistiamo ad un medioevo oscurantista culturale, dove la fiducia nelle competenze, la specializzazione, lascia spazio a paura e dissociazione disidentificazione dal sistema sociale in una logica di isolamento 
Che fare quindi? In particolare per la cintura sociale di riferimento, accettare e accogliere il cambiamento dei propri cari, evitando il conflitto ed esercitare/proporre esercizi di mindfulness e cioè di consapevolezza, ove possibile.
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'Storytelling' di Stefano Orlandini

31/12/2022

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​La narrazione è la più antica forma di insegnamento. Ha legato le prime comunità umane, dando ai bambini le risposte alle più grandi domande della creazione, della vita e dell’aldilà.
Le storie ci definiscono, ci modellano, ci controllano e ci rendono umani. Non tutte le culture umane del mondo sono alfabetizzate, ma ogni singola  cultura racconta storie.
Le storie sono strumenti efficaci per l’apprendimento grazie alla loro capacità di facilitare i seguenti processi cognitivi.
Concretizzazione : le storie ci aiutano a dare un senso a quello che altrimenti potrebbe essere un soggetto astratto o complesso attraverso la fornitura di collegamenti con esempi tangibili, o concreti.
Assimilazione : l’apprendimento è un processo costante di integrazione di nuove informazioni con le informazioni attuali e le strutture cognitive. L’uso di una storia può essere un modo efficace per introdurre un nuovo argomento a un gruppo , o per consentire loro di vedere le informazioni precedenti attraverso una nuova prospettiva.
Strutturazione : l’uso di storie può supportare il personale o un gruppo nell’applicazione dei concetti che gli sono stati insegnati in altre situazioni, non direttamente legate al contesto iniziale.
Raccontare storie è il “metodo” che usiamo naturalmente per raccontare agli altri le nostre esperienze. Lo storytelling è l’attività sociale e culturale di condivisione di storie, spesso con l’improvvisazione, la teatralità o l’abbellimento.
Gli elementi cruciali delle storie e della narrazione includono la trama, i personaggi e il punto di vista narrativo. Il termine “storytelling” è usato in senso stretto per riferirsi specificatamente alla narrazione orale e anche in senso più ampio per riferirsi alle tecniche usate in altri media per spiegare o rivelare la narrazione di una storia.
I vantaggi più importanti della narrazione possono essere riassunti:
Le storie sono motivanti e divertenti e possono aiutare a sviluppare atteggiamenti positivi verso un argomento. Possono creare il desiderio di continuare a imparare o di essere coinvolti in un argomento.
Le storie esercitano l’immaginazione. Gli ascoltatori vengono coinvolti in prima persona in una storia mentre si identificano con i personaggi e cercano di interpretare la narrazione e le illustrazioni. Questa esperienza immaginativa aiuta a sviluppare il proprio potere creativo.
Ascoltare storie in gruppo è un’esperienza sociale condivisa. La narrazione di storie provoca una risposta condivisa di risate, tristezza, eccitazione e può aiutare a costruire la fiducia degli ascoltatori e incoraggiarne lo sviluppo sociale ed emotivo.
Il pubblico si diverte ad ascoltare le storie più e più volte. Questa ripetizione frequente permette di acquisire alcuni elementi mentre gli altri vengono eccessivamente rinforzati. Le storie contengono la naturale ripetizione di strutture chiave. Questo aiuta a incoraggiare la partecipazione alla narrazione.
L’ascolto delle storie permette al narratore di introdurre o rivedere le narrazioni, che arricchiranno il pensiero dei gruppi e gradualmente entreranno nella loro dimensione.
L’ascolto delle storie sviluppa le capacità di ascolto e di concentrazione attraverso, gli indizi visivi(per esempio , immagini e illustrazioni), la loro precedente conoscenza del funzionamento del linguaggio, la loro conoscenza generale.
Questo permette al pubblico di comprendere il significato complessivo di una storia e di metterla in relazione con la propria esperienza personale.
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'Il Metodo Gordon' di Stefano Orlandini

31/12/2022

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​Quando si parla di “modello (o metodo) Gordon” si identifica un particolare modello educativo fondato sul valore della Comunicazione e sull’importanza delle relazioni tra individui, ovvero sulla fiducia nel potenziale dell’altro, piuttosto che su un sapere pre-determinato  Si tratta di un sistema integrato e circolare per la creazione e il mantenimento di relazioni efficaci tra vari soggetti. Il nome deriva da Thomas Gordon, educatore e psicologo statunitense, candidato parecchie volte al Premio Nobel per la Pace, che ha ideato e realizzato un modello per “agevolare” le relazioni efficaci (e durevoli nel tempo) tra le persone, puntando sulla reciproca soddisfazione e sulla risoluzione dei conflitti.
Lo studioso Gordon comprende, in un periodo quando non era proprio facilissimo parlare di questi argomenti, che sviluppare un “clima” con un’atmosfera affettiva e relazionale favorevole (positiva) è un presupposto fondamentale per un apprendimento di qualità. Per fare questo, secondo lo psicologo americano, è necessario “elevare” la qualità del rapporto che esiste tra educatore e discente… Come farlo in modo semplice e con un approccio in gran parte intuitivo? Il suo “metodo” è basato su un sistema di facili procedure che sono in grado, se applicate con costanza e passione, di produrre autentica Comunicazione interpersonale, relazioni collaborative, negoziazione e, ovviamente, un clima più adatto per una didattica di qualità.
Per Thomas Gordon, senza nessun dubbio, l’educazione è un processo autogestito che deve spingere l’alunno a una maggiore e migliore comprensione di sé stesso. Il compito e il ruolo dell’educatore non è sminuito… anzi. E’ cambiato profondamente. Questo concetto non è stato ben “recepito” proprio a partire dagli Anni ’70 ed ha creato a Gordon non pochi problemi, soprattutto negli ambienti accademici e tra colleghi. Eppure nel corso degli ultimi trent’anni le proposte di Gordon hanno rivelato pian piano tutta la loro “profetica potenza”. Oggi, nell’ambito della nuova Scuola che spesso “subisce” e non “gestisce” le profonde trasformazioni che provengono dagli straordinari input esterni forniti dalla “rivoluzione digitale”, ecco che le proposte di Gordon sono diventate attualissime, anzi, per certi versi necessarie. Come già da lui pre-annunciato, la figura dell’insegnante è quella di un “regista” o di un “facilitatore”, che ha il compito primario di “stimolare” e “guidare” le attività (percorsi) di formazione. Il suo compito non sarà più quello di chi passa delle informazioni/nozioni a qualcun altro… o comunque lo sarà sempre di meno!
Nel modello Gordon il “facilitatore” è colui che grazie alla competenza dell’Empatia, incoraggia il processo di sviluppo e di crescita della persona… il facilitatore è necessariamente un comunicatore efficace.
Cominciamo dall’Ascolto attivo, una competenza che, molto spesso viene sottovalutata e quindi utilizzata male. Esso non consiste solo nel “prestare attenzione” lasciando parlare l’altro a ruota libera. E’ un’attività che deve coinvolgere tutto il nostro essere, con la mente e con il cuore, rispecchiandosi e rilanciando segnali di accoglienza e comprensione sia verbali che non verbali (posturali). Ad esempio riformulando, chiedendo se abbiamo compreso bene o se è necessario avere maggiori spiegazioni; oppure utilizzando la tecnica delle domande preferibilmente aperte in una fase di impatto. Insomma con l’ascolto attivo cerchiamo “connessione” con gli altri. Quali sono i suoi bisogni? Come sta cercando di comunicarcelo?
Andiamo alla tecnica del “Messaggio IO”. Gordon diceva sempre, niente di più semplice e… di più complicato allo stesso tempo. Consiste nel comunicare all’altro come ci sentiamo in una precisa circostanza, utilizzando NON il “Tu” (diretto o indiretto) bensì utilizzando l’Io…
Questo perché il nostro interlocutore non dovrebbe essere “avvezzo” (abituato) a percepire una richiesta come una pretesa, oppure il suo comportamento come “causa” di un problema. Facciamo un esempio? “E’ colpa tua… quando non mi ascolti (TU) sei un insensibile!”. E’ chiaro che abitudini linguistiche di questo tipo sono riprodotti in migliaia di schemi verbali, utilizzati da tutti noi in tantissimi contesti… ovviamente anche educativi. Gordon si è sempre chiesto con quali conseguenze.
Una delle opere di maggiore impatto a livello mondiale è stata “Insegnanti efficaci” del 1974; qui Gordon individua ed elenca le famose 12 “barriere della Comunicazione” come segni tangibili del nostro rifiuto e che limitano enormemente la “connessione” con gli altri.
Si tratta di atteggiamenti “disfunzionali” che, come spesso accade nel mondo della Comunicazione, vengono sottovalutati e che invece creano chiusura, muro, reazioni negative, pregiudizio e distanza… ecco un elenco: Ordinare ed esigere; Avvertire e minacciare; Fare la morale/la predica; Dare consigli non richiesti; Persuadere con la logica; Fare complimenti o elogi non meritati; Umiliare e ridicolizzare; Diagnosticare e analizzare comportamenti altrui; Consolare o minimizzare; Cambiare argomento; Interrogare e inquisire.
Il modello Gordon ha proposto un contributo determinante per l’argomento della “risoluzione dei conflitti”, non solo in ambito scolastico oppure familiare, ma anche per problematiche inter-culturali e razziali. La proposta dell’autore di Insegnanti Efficaci consiste proprio nella volontà di lavorare per acquisire modelli di Comunicazione alternativi a quelli classici, poco efficaci e spesso violenti già a un primo livello linguistico. Gordon ha praticamente “previsto” già quarant’ani fa come il “sistema” educativo in ambito ampiamente sociale si sarebbe evoluto. Ha compreso che la società ci avrebbe richiesto di non ricorrere solamente a metodi coercitivi o di sottomissione per risolvere le criticità e le difficoltà relazionali… anzi tutt’altro. L’esercizio del “potere” fine a se stesso non permette di esplicitare tutto il potenziale di un educatore o di un genitore (ma anche di un dirigente d’impresa) rispetto ad uno stile fondato sulla ricerca di soluzioni condivise e accettabili per ambo le parti, valorizzando abilità come il problem solving e la negoziazione. Oggi più che mai c’è sempre più bisogno di modelli che possano ispirare la leadership fondata sull’autorevolezza che, invece, modelli coercitivi fondati sull’autorità. E la Scuola sa benissimo quanto importante può risultare questa equazione. In conclusione possiamo dire che il contributo più importante, quasi senza tempo e straordinariamente attuale, che Thomas Gordon ha lasciato con la sua opera è stato quello di farci capire che i conflitti, in una dimensione sociale in rapida trasformazione come la nostra, purtroppo sempre più dominata da modelli “violenti e prevaricatori” (a tutti i livelli), è assolutamente necessario “coltivare” e “trasmettere”, soprattutto verso i giovani, modelli relazionali che siano costruttivi, non violenti, accettanti e rispettosi. E in questo, la relazione docenti-discenti ha un valore altrettanto decisivo come quello genitori-figli.

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'IKIGAI' di Stefano Orlandini

31/12/2022

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L’ikigai è un principio giapponese che può essere interpretato in italiano con le espressioni “ragione per la quale vivere” o anche “ragione della propria esistenza”. Secondo il concetto di Ikigai, ognuno possiede il suo scopo nella  vita, e dunque prima o poi diventa indispensabile ricercarlo. Acquisire consapevolezza circa il proprio scopo migliora la vita sotto moltissimi aspetti, tanti che molti esperti ritengono l’ikigai sia il segreto nascosto dietro la felicità e la longevità del popolo giapponese. Infatti, secondo tali principi, il benessere fisico è strettamente connesso al benessere mentale ed emotivo, che a loro volta sono il prodotto del possedere uno scopo nella vita.  Ken Mogu, neuroscienziato nipponico, nel suo manuale afferma che l’ikigai è un concetto molto antico, che oggi va interpretato con le espressioni “il motivo per alzarsi la mattina” oppure “svegliarsi alla gioia”.
Come capire il proprio l’ikigai
L’ikigai è la somma di fattori come la:
  • passione;
  • missione;
  • professione;
  • vocazione.
Dunque è rintracciabile nell’esatto punto dove si incrociano le seguenti 4 aree:
  • le cose per le quali si prova passione;
  • ciò di cui il mondo ha bisogno;
  • ciò in cui si è bravi
  • ciò per cui si può essere pagati.
Per capire qual è il proprio personale ikigai, è utile creare una sorta di diagramma nel quale vi sono 4 cerchi che si intersecano:
  • primo cerchio: va inserito tutto ciò in cui si è bravi, ovvero tutto ciò che è connesso a particolari talenti o capacità e di cui non si è necessariamente appassionati;
  • secondo cerchio: bisogna annotare ciò che si ama, che arreca felicità e che fa sentire appagati e realizzati;
  • terzo cerchio: va scritto tutto ciò di cui il mondo e il genere umano o la comunità hanno bisogno.
  • quarto cerchio: bisogna inserire ogni attività per la quale si può essere pagati, dunque attività e servizi per i quali c’è un mercato.
 
Dalle intersezioni di questi fattori deriva che:
  • l’incrocio tra ciò che si ama e ciò in cui si è bravi dà come risultato la propria passione;
  • l’intersezione tra ciò che si ama e ciò di cui il mondo ha bisogno determina la propria missione;
  • l’incrocio tra ciò di cui il mondo ha bisogno e ciò per cui si può essere pagati produce la propria vocazione;
  • l’incrocio tra ciò in cui si è bravi e ciò per cui si può essere pagati determina la propria professione;
  • l’intersezione centrale, la più importante di tutte, determina il proprio ikigai, ovvero il proprio scopo della vita.
Dunque l’ikigai è qualcosa che nello stesso tempo appassiona, qualcosa in cui si è bravi, qualcosa di cui il mondo ha bisogno e qualcosa per il quale vi è un mercato e si può essere pagati.
Come trovare il proprio ikigai
Per riuscire a compilare il test dell’ikigai , è necessaria una fase preliminare, durante la quale bisogna rispondere a 4 domande fondamentali:
  1. Cosa ami, qual è la tua passione? La risposta a questa domanda permette di identificare ciò che motiva l’intera esistenza di ognuno. Per rispondere al meglio, ci si può anche chiedere “cosa mi piace davvero?” o “cosa sarei disposto a fare anche senza essere pagato, ma solo per la libertà di seguire i miei desideri?”.
  2. In cosa sei bravo? Con la risposta a questa domanda emerge la propria vocazione, che può coincidere o meno con la risposta alla domanda precedente. In ogni caso, ciò in cui si è bravi è un aspetto più pratico e meno emotivo, in quanto non sempre la passione coincide con il talento.
  3. Cosa vuole il mondo da te? Questa è la domanda più difficile rispetto alle altre, perché permette di scoprire qual è il proprio compito nel mondo, che deve coincidere sia con ciò che è utile all’individuo che si pone la domanda sia con ciò che è utile alle altre persone e al pianeta, perché diventi un posto migliore.
  4. Qual è la tua professione? Domanda estremamente pragmatica e che esige una risposta semplice e immediata.
Le risposte alle domande elencate potrebbero essere le più disparate e incongruenti, ma per trovare il proprio ikigai la condizione ideale sarebbe quella di riuscire a trovare un equilibrio tra tutte le quattro sfere.
Il concetto di ikigai è strutturato su una filosofia che a sua volta si basa su 5 grandi pilastri:
  • iniziare in piccolo;
  • lasciarsi andare;
  • armonia e sostenibilità;
  • provare gioia per le piccole cose;
  • vivere nel qui e ora.
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'La coppia: vivere in coppia a volte è davvero dura' di Anna Rita Scarongella

15/12/2022

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Ci sono dei momenti in cui tutto sembra andare storto, che ogni giorno tu debba lottare su un ring dove non ci sono mai né un vinto né un vincitore, ma soltanto due persone che esauste si ritirano in sé stesse e si leccano le ferite nell’attesa del prossimo round.
È un’alternanza di dubbi, passi avanti e indietro, amore e odio perché ci sono momenti in cui ami ciò che l’altro fa, come si comporta con te, quello che dice, e altri in cui solo come sorseggia il caffè al mattino non lo sopporti, il tutto tenuto insieme da un misto di tolleranza e sentimento che ti fa dire ok, andiamo avanti!
A volte pensi che forse sarebbe più facile andarsene, chiudere, liberarsi dai condizionamenti, dalle catene, dalle rinunce e dai compromessi per tornare ad essere una persona libera.
Oggi col divorzio breve nel giro di pochissimo tempo tutto ciò è possibile, infatti, secondo le stime ci sarebbero 48 divorzi ogni 100 matrimoni. Un matrimonio su due, quindi, finisce con la separazione.
Si, sarebbe più facile, ma chi ci dice che questo sarebbe la cosa migliore per noi o comunque, la cosa migliore in assoluto?
E se invece resistere e riprovarci fosse la soluzione migliore?
Resistere forse non è una scelta di vita sbagliata, anzi; forse tutto si può ricostruire, ripartendo dall’inizio magari, dal momento del corteggiamento dove tutto sembrava magico, dove c’era il batticuore e l’incertezza del risultato finale, dell’approccio giusto.
Anche la vita di coppia è fatta di fasi, di alti e di bassi dove non vi è sempre lo stesso grado di interesse e di passione.
Resistere e insistere forse è la soluzione ideale per una coppia che vorrebbe durare a lungo, resistere perché anche nei rapporti più forti e più longevi ci sono i momenti bui dove si ha voglia di mollare tutto e invece si resiste, mentre insistere significa essere tenaci nell’amore, nella gentilezza e nel rispetto dell’altro.
Nella vita di coppia non si può essere rigidi, bisognerebbe saper fare un passo indietro quando è necessario, quel passo che alla fine ti rendi conto ne vale tanti altri in avanti.
Non dovremmo portare troppo avanti qualsiasi controversia nel corso della giornata, anche aspra, perché ciò alimenta il rancore, la rabbia, è uno spreco di tempo, di energie e di amore.
Bisognerebbe non mancarsi mai di rispetto, anche se in una lite si ha ragione, mai offendersi e insultarsi perché diventerebbe una forma di violenza fisica e psicologica.
Si dovrebbe coltivare la passione, anche se questa è venuta meno col tempo, basterebbe un attimo per far sì che questa si riaccenda, magari dando un bacio, facendo un gesto gentile o una carezza.
Bisognerebbe chiudere col passato, non avere più conti aperti, dovrebbe diventare ricordo, memoria, fare in modo che tutto quello che lo riguarda non si trascini all’infinito.
Inoltre, bisognerebbe coltivare l’ascolto, ascolto dell’altro mentre ci parla dei suoi bisogni, delle sue aspettative, dei suoi sogni, senza giudicare, senza mettersi sulla difensiva, senza pensare che dietro quelle parole si nascondano delle accuse, chiedere anche durante una discussione: cosa posso fare per te, come posso aiutarti?
Per ultimo ma non meno importante dovremmo dare autonomia ove venga richiesta, difendere i propri spazi e la propria di autonomia, nel rispetto reciproco, per costruire e non per distruggere, lasciar andare e andare noi stessi per poi ritornare come fosse la prima volta e magari corteggiarsi, per riconquistarsi giorno dopo giorno, perché:
“Non esistono relazioni perfette, ci sono solo coppie che non si arrendono mai” Cit.
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'Tante possibilità, nessuna certezza' di Enrico Cavallari

4/12/2022

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Verso la fine degli anni ‘80 fu coniato un acronimo che solo pochi addetti ai lavori conoscevano ma che ora è diventato di moda:
VUCA, nato in ambiente militare per descrivere l’epoca della “guerra fredda”, che, tradotto dall’Inglese e applicabile oggi a un qualsiasi contesto di riferimento, sta per “volatile-incerto- complesso - ambiguo: ebbene, è o non è la perfetta descrizione di ciò che ci circonda in questi ultimi anni ? In una parola : “imprevedibilità “. Per quanto l’essere umano perfezioni sempre più complessi modelli previsionali, statistici, matematici e socio economici accadono avvenimenti in modo stocastico che nel macro (la pandemia, le guerre , ecc) o nel meso (eventi climatici estremi, attentati, terremoti ecc) cambiano completamente le regole del gioco, a volte in modo irreversibile, citando il sempre più attuale concetto dell’”effetto farfalla”, secondo il quale, in un mondo sempre più interconnesso, un micro effetto traumatico in una parte di una “rete” così fragile e interdipendente influisce su praticamente tutti gli altri nodi
Nella monumentale opera  in 7 volumi della “Fondazione “, l’autore di fantascienza Isaac Asimov aveva immaginato oltre 70 anni fa la psicostoriografia, una materia umanistica distillata da psicologia, sociologia e storiografia che se ben condotta poteva portare ad agire in modo previsionale su microaggiustamenti che evitavano conflitti, catastrofi sociali ecc… potendo al tempo stesso prevedere l’evoluzione sociale umana. Oggi siamo ben consapevoli che siamo una barca alla deriva di fronte a vari tipi di emergenze, e forse nemmeno dopo l’uscita dalle crisi la classe politica e l’attuale modello economico permette di attuare modifiche o aggiustamenti concretamente resilienti e risolutivi.
Oggi, qui ed ora diventa sempre più strategica la focalizzazione su se stessi con l’aiuto ad esempio della mindfulness e con percorsi di crescita interiore come il coaching

«Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare»
(Winston Churchill)
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'Recuperare il contatto con il nostro 'bambino interiore' di Cristina Turconi

14/11/2022

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Nessuno di noi nasce adulto. Dobbiamo imparare tutto mentre cresciamo. Da bambini lo facciamo in due modi incredibilmente efficaci: attraverso l'esperienza e il gioco. Poi quando diventiamo adulti, se vogliamo continuare a crescere e a imparare con gioia, se vogliamo tenere il passo con un mondo così complesso e in rapida evoluzione, potrebbe essere giunto il momento di riconnetterci con il nostro “bambino interiore”.
 
La nostra storia personale non è perfetta, come non lo è la storia degli altri. Per alcuni, riconnettersi con quel bambino potrebbe anche richiedere di affrontare alcune emozioni difficili, sentimenti a lungo nascosti o dimenticati, esperienze irrisolte che per lungo tempo si è evitato di affrontare. A volte accade che alcune delle lezioni che abbiamo imparato da bambini ancora oggi ne ostacolano l'apprendimento, il raggiungimento di traguardi importanti, o semplicemente l'adattamento al contesto in cui ci troviamo ad interagire. È qui che entra in gioco il nostro bambino interiore, quell’istanza emotiva che attende solo di essere “ascoltata” e “accolta”.
 
Da bambini, la creatività è la risorsa che utilizziamo di più per preparaci al mondo reale.
“Recitiamo” esperienze, pensieri, sentimenti e sogni attraverso il gioco. L'adolescenza è un momento di grande scoperta, ma può anche essere vissuto come un momento doloroso. Man mano che cresciamo, iniziamo a fare i conti con le aspettative del mondo e a volte, queste aspettative ci deludono. Sperimentiamo la frustrazione dei sogni che semplicemente non si materializzano e il dolore di un cuore rifiutato o infranto. Ad un certo punto, molti di noi smettono di giocare e iniziano a lasciare che il nostro vissuto, le nostre esperienze determinino chi siamo e cosa vogliamo.
 
È un confine reale che separa la vita adulta dall’infanzia? E’ solo un numero sul calendario della vita, magari quello della maggiore età? In realtà siamo sempre in perenne e costante crescita ed evoluzione. L'equilibrio cambia quando smettiamo di “giocare”. A quel punto, passiamo poco tempo a immaginare e ci concentriamo soltanto su ciò che ci dettano le nostre esperienze quotidiane. Indossiamo metaforicamente degli occhiali per guardare al mondo e agli altri che ci impediscono di vedere e sperimentare altre realtà possibili, a volte più utili e più funzionali per la nostra evoluzione.
 
Molti di noi non si prendono il tempo di riconnettersi con queste parti del nostro io interiore. Non è sempre facile comprendere l’importanza del lavoro su queste emozioni bloccate. Riconoscere che i nostri comportamenti da adulto derivano anche dalle nostre esperienze infantili e dai relativi bisogni e desideri insoddisfatti può spronarci a richiedere aiuto. Un professionista della relazione d’aiuto è la persona più idonea nell’aiutarci ad esplorare le nostre ferite di vecchia data, facilitarne l’integrazione, il prendersene cura, permettendoci così di tornare a “giocare” di nuovo.
 
Possiamo così imparare ad essere sia l'"adulto" che il “bambino”, fornendoci amor proprio incondizionato, autocompassione e autosostegno. Con ciò, il nostro “sé adulto” può iniziare a districare i sottili meccanismi di “coping” che il nostro “sé adolescente/bambino” ha inventato per proteggersi da ulteriori esperienze dolorose o traumi. Questo tipo di lavoro è fondamentale in quanto può aiutarci a sbloccare la nostra creatività, la nostra gioia, la nostra passione e il nostro potenziale.
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'Non riesco più a sognare' di Lorenzo Manfredini

7/11/2022

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Delusioni che spengono la vita e atteggiamenti che la apprezzano.
Le cose si stanno chiarendo. Il triangolo, lei, lui e l’altra, si sta decomponendo. Le decisioni non arrivano a destinazione e niente di ciò che sta per avvenire è indolore.
Non basta mostrarsi felici e minimizzare i problemi, esprimere il proprio amore con fiumi di parole, servono decisioni e conti: 2+2 fa quattro. L’equazione è semplice. Parlare, affrontare i problemi, scegliere, decidere.
Dopo aver analizzato tutti gli eventi e le possibili situazioni non c’è più niente di cui parlare. Si ha solo voglia di rifugiarsi nella propria vita senza aspettare nessuno.
Riprodurre una nuova se stessa tridimensionale. Lanciarsi dove la porta è aperta. Lavorare e fare cose belle. Andare dove si ha voglia di andare. Investire in leggerezza e stare da sola. Questo è il nuovo ologramma di un’amante che non crede più nell’amore assoluto e che ora cerca il confronto con un amore ‘possibile’. Quello con se stessa in primis.
Dopo aver parlato per mesi dei propri sentimenti, ha solo voglia di essere lasciata in pace. Di ascoltare la propria musica preferita. Di rispondere alla propria infelicità, stanchezza e rabbia. Di cambiare qualcosa nei propri pensieri. Di intraprendere nuove avventure e tornare a vivere.
Il primo luogo della propria convalescenza è il rifugio in se stessa, nello spazio olografico di una nuova dimensione, in un mondo da ricostruire.
E’ un buon segno, anche nascondersi in un programma interiore cercando la miglior forma di autoterapia. Alla ricerca di una nuova se stessa. In un luogo magico dove ci sono insoliti teatri da frequentare.
Nella dimensione interiore tutto si muove e quella musica è tutta la nostra vita. Senza quella melodia siamo involucri vuoti: depressi.
C’è un piccolo segreto in questo: c’è sempre un bastone speciale che può sorreggerci nei momenti di cambiamento. Si preme un pulsante e via per una nuova esperienza e un nuovo destino.
Non siamo eroi, ma si tratta di diventare protagonisti di un nuovo spirito. Entrare dentro se stessi e godersi un lavoro interiore h24. Per un po’, per il tempo che serve, per sentire le proprie passioni rinascere e dare una mano a nuovi, nascenti, equilibri.

Fatti e fatterelli
Stare in silenzio: “A volte fermarsi è il miglior modo di avanzare”
'Le vicende umane non cambiano mai'
'E’ dopo ogni ogni tempesta della vita, che capiamo se ci siamo preparati abbastanza ...'

 

 
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'Facciamo l’amore?' di Cinzia Zocca

28/10/2022

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In TV passa la pubblicità di un noto brand che recita “Fate l’amore con il sapore” e comprendo che il pay off un pò malizioso è davvero centrato, perché ci sono molti modi di fare l’amore.
Fare l’amore è un gesto generalmente associato alla sessualità, ma in realtà l’amore è ovunque se il corpo è aperto a sentirlo e a riceverlo.
Ti capita mai di provare emozioni gratificanti tenendo in bocca quel cibo o quella bevanda? A me succede con i biscottini olandesi alla cannella, che ho mangiato per la prima volta durante una vacanza in Belgio. Avevo due anni e mezzo, quante emozioni! Il mio primo viaggio in aereo, il mio primo camion per la ghiaia, la prima volta in piscina, le patatine fritte e tante altre scoperte, i miei primi ricordi ed emozioni.  Ancora oggi quando mi capita di mangiare quei biscottini, riprovo quella sensazione di calore che mi porta dentro, in un luogo ed un tempo lontani intrisi di curiosità e felici, una sensazione sottile che ha la capacità di cambiare positivamente il mio approccio alla vita.
Si fa l’amore continuamente, quando si prepara la cena alle persone care, quando ci si lascia accogliere dalla natura passeggiando tra i boschi, oppure quando si indossa quel vecchio maglione infeltrito che non abbiamo il coraggio di buttare perché le trame di quel maglione raccontano delle storie che scaldano il cuore.
Tutto l’amore e la bellezza che vedo nel mondo, ovunque, li ritrovo in una pratica che porto nel cuore e che mi è stata trasmessa nella sua sacralità da una cara amica: il massaggio Kashmiro.
Questo massaggio viene attribuito alla via del Tantra Shivaita non-duale, il più antico cammino spirituale risalente ad un periodo compreso tra il 3300 e il 1300 A.C. Noto anche come Yoga del tocco, racconta la delicatezza e la purezza dell’amore in un’esperienza di con-tatto intimo e coinvolgente che pone il corpo al centro, nella sua interezza.  
È una pratica che trae ispirazione dal massaggio infantile indiano, lo Shantala, da cui ha origine il senso profondo a cui tende: la sensazione di essere cullati e protetti, avvolti dall’abbraccio affettivo della madre che dona incondizionatamente amore al proprio bambino.
Lo Yoga del Tocco è un viaggio dentro sè stessi, un percorso di consapevolezza corporea ed emozionale guidato dal respiro, dall’ascolto e dalla presenza che conducono ad un profondo rilassamento ed apertura di cuore.
Il corpo diventa uno strumento libero di esprimersi senza intenzione, giudizio o aspettative, nella sua forma di comunicazione più autentica. È un’esperienza in cui il tempo e lo spazio perdono di significato e il senso di separazione si annulla, trascendendo la forma, il colore e l’identità di genere. In questo spazio di intimità, la mente si abbandona e lascia cadere le maschere, la vergogna, il senso di colpa e l’inadeguatezza, per cedere il posto al Sé autentico.
“Ogni percezione ha la possibilità di riassorbirsi nel silenzio e porta alla Coscienza” scrive Eric Baret.
E allora, per vivere una vita piena e consapevole, fai esperienza ed impara a fare l’amore con tutto ciò che ti dona piacere e nutre le tue emozioni.
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'Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie' di Sara Giardino

23/10/2022

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Assistere al malore di una persona per strada mi porta a riflettere sulla caducità della vita, su quanto sia effimero il nostro passaggio sulla terra. Per esperienza diretta ho imparato presto che l’anzianità non è un regalo per tutti, ma assistere alla vita che se ne va porta a galla in me riflessioni dolorose.

In poco più di mezz’ora, ho scoperto della tua esistenza, della tua famiglia, della tua bambina ora medico.
Ironia della sorte, medico, proprio adesso che ci servirebbe disperatamente un medico e qui non arriva nessuno…
Il tempo scorre, dodici minuti infiniti, anche un occhio laico comprende la gravità della situazione, i colori sbiadiscono, la voce si affievolisce, mi rispondi solo più a battiti di ciglia, mi rendo conto che la vita ti sta  abbandonando…
Poi all’improvviso tutto si ferma, sembra che il tempo sia sospeso, non riesco più a percepire in te nessun movimento, nessun respiro, nulla. Finalmente in lontananza si sentono le sirene dell’ambulanza, arrivano, una dottoressa super efficiente non perde tempo, ti soccorre li sull’asfalto, una di quelle scene che credi possibile solo nei film o che al massimo possa accadere agli altri, invece no, la stai vivendo realmente.
Si susseguono mille azioni, mille “ordini” del personale medico, arriva una nonnina tremante, è tua moglie, confusa, agitata, più che preoccupata, mille domande fitte fitte “Saranno i pesi che ha portato? Sarà stanco? Avrà guidato troppo? Oggi abbiamo mangiato al ristorante, era tanto che non andavamo, ha preso i funghi ed era così felice…” L’ambulanza riparte a sirene spiegate, sistemo gli ultimi dettagli pratici, raccolgo qualche documento che nella fretta è rimasto a terra, chiudo la vostra auto, mi assicuro che tua moglie possa raggiungerti quanto prima in Pronto Soccorso.
Mi fermo e realizzo quel che è successo, visualizzo il racconto di tua moglie, la vostra giornata, le commissioni fatte, le premure di vostra figlia, il vostro pranzo nel cuneese, il vostro ultimo pranzo assieme.
Quanto accaduto mi fa pensare a tutte le volte che diamo per scontato il domani, che rimandiamo, che non viviamo nel presente godendoci ogni istante certi che quello che non viviamo oggi tanto lo possiamo fare domani.
Mi chiedo quindi se la vita che sto vivendo, lunga o breve che sia, la sto vivendo appieno? Mi sto prendendo il giusto tempo per riflettere, per meditare, per ammirare qualcosa o per me stessa? Riesco a godere tutti i giorni dell’affetto dei miei cari o lascio scorrere le giornate rincorrendo mille impegni?
Caro Nonno appena incontrato, grazie per queste riflessioni che mi hai suscitato e buon viaggio.
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'Leadership e Valori' di Stefano Pistorello

22/10/2022

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Leadership un termine usato e abusato soprattutto in questi ultimi anni. Sono convinto però che per la maggior parte della gente è un termine non compreso. Mi capita, talvolta, durante le mie attività di formazione, di chiedere alle persone presenti: “cos’è secondo voi la leadership?”. Fra i molti che non si avventurano in una risposta, chi si espone generalmente individua la leadership in qualcuno che indica una direzione. Cosa si può dedurre da questo? Che c’è un grande bisogno di leader, di guide.
Ma qui la faccenda diventa più ardua. Di persone che si ritengono leader il mondo è pieno, come di geni del resto, ma i veri leader sono merce rara.
Provo quindi a dare la mia interpretazione, fortemente plasmata dalla luce del modello HPM, alla figura del leader. Un leader deve avere valori forti, potremmo dire la schiena dritta, e deve avere la capacità di formularli in obiettivi. Ma questo non basta, entra in gioco un altro tema importante. La comunicazione.
Non a caso, già da qualche secolo, la prima preoccupazione dei leader è stata quella di trovare un adeguato canale di comunicazione. Cavour fondò il giornale “Risorgimento”, i regimi attivarono staff per organizzare la propaganda, Berlusconi acquistò tutte le tv private per avere una copertura nazionale, oggi è internet il canale che va per la maggiore…
A cosa serve quindi la comunicazione? L’etimologia della parola ne dà la spiegazione: mettere in comune. Mettere in comune i propri valori e condividere gli obiettivi, quindi questa è l’altra caratteristica che deve possedere il leader, cioè la capacità di comunicare i propri valori ai propri interlocutori, collaboratori, stakeholder e coinvolgerli nel raggiungimento degli obiettivi rendendoli obiettivi condivisi.
Ma perché qualcuno dovrebbe abbracciare questi obiettivi? Probabilmente a causa della necessità per ognuno di noi di soddisfare dei bisogni, in particolare di sicurezza e di appartenenza.
Ma perché il leader è merce rara? Forse perché c’è una crisi di valori? Probabilmente sì. I valori si svalutano e questo è fisiologico. Il tema è la capacità di rilanciare i valori o generarne di nuovi. Purtroppo, oggi il “valore” riconosciuto da tutti è il denaro. Però il denaro non è un valore, ma un mezzo.
E se fosse la cultura l’humus per i valori dei nuovi leader?
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'Scelte' di Annarita Scarongella

17/10/2022

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Dal vocabolario Treccani:
scélta s. f. [der. di scelto, part. pass. di scegliere]. – 1. a. Libero atto di volontà per cui, tra due o più offerte, proposte, possibilità o disponibilità, si manifesta o dichiara di preferirne una (in qualche caso anche più di una), ritenendola migliore, più adatta o conveniente delle altre, in base a criterî oggettivi oppure personali di giudizio, talora anche dietro la spinta di impulsi momentanei, che comunque implicano sempre una decisione.

Le nostre scelte quanto influenzano il corso degli eventi?
Le nostre decisioni, quelle che prendiamo ogni giorno piccole o grandi che siano possono portare conseguenze rilevanti nella nostra vita ed in quella degli altri.
Nel nostro quotidiano siamo portati a scegliere sempre, sin dal mattino per esempio, quando ci alziamo e scegliamo cosa mangiare a colazione.
Ciò che introduciamo nel nostro corpo è cibo sano, nutriente? Ci fa bene o male?
Porta benefici o ci danneggia?
Questo vale anche per il pranzo e la cena, sappiamo le conseguenze che un certo tipo di alimentazione può portare al nostro organismo, allora perché a volte scegliamo di farci del male? Cosa spinge la nostra mente a scegliere un cibo piuttosto che un altro magari più sano e salutare per mente e corpo?
Nelle decisioni importanti invece, nel caso in cui ci accorgessimo di aver fatto delle scelte sbagliate cosa è giusto fare?
Forse sarebbe più giusto prendersi la responsabilità del nostro errore, chiedere scusa e abbandonare ciò che si è intrapreso consapevoli del fatto che quella scelta ha dato inizio ad una serie di situazioni che hanno coinvolto persone intorno a te; o forse sarebbe più giusto arrendersi al fatto che indietro a volte non si può più tornare, che bisogna guardare avanti e cercare di cogliere il buono in ciò che grazie ad una tua decisione si è venuto a creare.
Forse se ci ponessimo queste domande e capissimo cosa c’è alla base di ogni nostra decisione potremmo arrivare a modificare atteggiamenti dannosi per la nostra mente e la nostra salute con più facilità.
Ma cosa farà la differenza nella nostra vita?
Forse le persone che incontreremo nel nostro cammino, dal genitore all’insegnante, dall’amico/a al fidanzato/a, dal marito o dalla moglie oppure da ciò che studieremo, leggeremo, guarderemo alla tv, o forse la natura ci avrà dotati di un carattere che nonostante ciò che ci circonda niente e nessuno potrà influenzare le nostre scelte.
Di cosa ci stiamo nutrendo oggi?
Un amico tempo fa mi ha detto che tutto ciò che noi introduciamo nel nostro corpo a livello di sensazioni, emozioni, stati d’animo si trasforma in proteina e questa proteina diventa materia del corpo stesso.
Questo vale sia per il brutto (situazioni di rabbia, tristezza, dolore emotivo, etc.) che per il bello (guardare un’opera d’arte o un bel paesaggio, leggere un buon libro, ecc.).
E noi, di che tipo di proteina ci nutriamo?
Io penso che possiamo cambiare in ogni momento, partendo dalle piccole cose, e sono sicura che col tempo tutto attorno noi cambierà perché di conseguenza cambieranno anche le nostre scelte, saranno più libere, più conformi ai nostri più intimi desideri, valori e, chissà, forse a far crescere individui più consapevoli.

    “- Noah: Perché io voglio te... Io voglio tutto di te, per sempre... Io e te, ogni giorno della nostra vita... Vuoi fare una cosa per me, per favore? Prova ad immaginare la tua vita... Fra 30 anni, 40 anni... Come sarà? Se la vedi con lui vai, vai! Te ne sei andata una volta, sopravvivrò anche la seconda, se è quello che realmente vuoi... Ma non scegliere la strada più facile...
    - Allie: Quale strada facile? Non esiste una strada facile...Comunque finisco per ferire qualcuno.
    - Noah: Smettila di pensare a quello che vogliono gli altri! Non pensare a quello che voglio io, a quello che vuole lui o a quello che vogliono i tuoi... Tu cosa vuoi? Che cosa vuoi?”
    Ryan Gosling - Noah Calhoun
    Gena Rowlands - Allie Hamilton
Dal film “Le pagine della nostra vita”
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“Chi guarda all’esterno sogna, chi guarda all’interno si risveglia”
Carl Jung, Lettere, Vol.1

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'Linguaggio del corpo e Coaching' di Marzia Alma Maisto

16/10/2022

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La musica di un’orchestra nasce dalla combinazione di suoni emessi da diversi strumenti che interagiscono tra loro all’unisono o in tempi diversi.
La nostra comunicazione parte dall’Anima ed è come la musica di un’orchestra. Si crea grazie all’assieme di mente, parole e/o azioni.
Generalmente, quando ascoltiamo un concerto, prestiamo attenzione al suono nel suo complesso e non al suono di ogni singolo strumento coinvolto. Nella comunicazione la maggior parte delle volte accade la stessa cosa. La nostra attenzione viene catturata dall’assieme di voce e corpo. Non siamo abituati a cogliere i singoli elementi che concorrono a dar vita ad un atto comunicativo. Se proprio dobbiamo scegliere quale elemento privilegiare ci concentriamo sulle parole. Il linguaggio verbale si impone e la comunicazione espressa attraverso il corpo viene invece penalizzata. Trascurata è anche la mente. Manca infatti la consuetudine ad indagare quali pensieri e quali percorsi mentali hanno fatto nascere le parole e i gesti scelti durante la comunicazione. Si, perché, anche se non ce ne rendiamo conto, noi scegliamo in ogni istante cosa e come comunicare.
Abituarci a cogliere oltre alle parole anche il linguaggio del corpo e i processi mentali sottesi alla comunicazione è possibile.
Un modo utile e allo stesso tempo interessante di allenarci, potrebbe essere quello di avvicinarci alla forma d’arte rappresentata dal Cinema Muto.
In un cinema privo di sonoro, il corpo dell’attore diventa un’arma potentissima affinata per arrivare dritta agli occhi e al cuore dello spettatore. Non c’è spazio per una codificazione errata del linguaggio del corpo, pena la mancata riuscita del film.
Osservare il modo di recitare di attori geniali come Buster Keaton e Charlie Chaplin diventa allora un esercizio estremamente istruttivo ed anche, perché no, divertente.
Per avvicinarci maggiormente ai giorni nostri, possiamo passare un pomeriggio o una serata a guardare The Artist. Questo film è stato girato volutamente dal regista francese Michel Hazanavicius in bianco e nero e senza sonoro e ottenne il premio oscar come migliore film in concorso nel 2012.  L’attore protagonista è uno strepitoso Jean Edmond Dujardin che per la sua interpretazione vinse sia a Cannes che a Hollywood.
Ci si può recare ad esempio a Le giornate del Cinema Muto a Pordenone o si possono seguire le iniziative che la Cineteca di Bologna organizza attraverso Il Cinema Ritrovato.
Un’altra forma d’arte che può arricchire la nostra capacità di osservare il linguaggio del corpo e la sua capacità di comunicare le nostre emozioni e i nostri pensieri è quella rappresentata dalla mimica.
Artisti come Étienne Decroux, Jacques Lecoq e Marcel Marceau, dimostrano ampiamente, senza mai proferire parola, tutte le meravigliose potenzialità comunicative del nostro corpo. In rete esistono diversi video sulle loro performance e nel sito di Rai Cultura, nella sezione Teatro e Danza, si può trovare un documentario intitolato Viaggio in Italia che ha per protagonista proprio Lecoq.
Gli artisti citati e il loro lavoro possono essere usati per imparare ad osservare meglio non solo il modo di comunicare di chi ci circonda ma anche per comprendere come noi stessi comunichiamo con gli altri.
Esiste poi la possibilità di cercare nella propria città un buon corso teatrale al quale iscriversi sperimentando in prima persona tutte le ricchezze sottese ad una comunicazione consapevole. 
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'L'importanza dei micro-obiettivi' di Tommaso Rizzi

14/10/2022

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Nel mondo sportivo quando si pianifica una nuova stagione si parte da un “obbiettivo minimo” e per raggiungerlo si crea una scaletta di “micro-obbiettivi” intermedi.
Questi micro-obbiettivi sono quotidiani (ripetuti), settimanali, mensili e alcune volte trimestrali. Valutarne la propedeuticità diventa fondamentale nella fase di pianificazione e ritengo che questo sia un momento estremamente delicato e importante all’interno di una stagione sportiva soprattutto se ci sono atleti giovani da “formare”. 
I micro-obbiettivi danno una struttura al percorso e permettono di intervenire “chirurgicamente” nel momento in cui qualcosa non funziona. 
In questo momento la condivisione della pianificazione con gli atleti diventa fondamentale, permette loro di unire mente e corpo in un unica direzione. 
Il raggiungimento dei micro-obbiettivi ti da l’energia che ti porta a procedere con fiducia e determinazione.
Un cosa altrettanto importante è quella di scriverli cercando di renderli concreti, chiari e possibili.
In tutto questo procedimento la variante fondamentale è il tempo essendo l’unico elemento limitato e tangibile. Vita privata e lavoro, riposo e alimentazione, tutto ciò deve essere messo in relazione con il tempo. Soprattutto se come in questo caso si parla di un contesto, non professionistico oppure di un contesto di vita dove non posso dedicare 24 ore al giorno al raggiungimento del mio obbiettivo. 
Mantenendo valida questa struttura: obbiettivo, micro-obbiettivi (chiari, semplici e scritti) e il tempo vorrei uscire dalla sfera sportiva ed entrare in quella privata. 
Ad aprile mi ero prefissato un obbiettivo accademico con scadenza a settembre. 
Ho creato la mia tabella di marcia con una serie di micro obbiettivi da raggiungere, cercando di capire in questi 6 mesi quale sarebbe stato il tempo a cui avrei potuto dedicare questa cosa.
Sono stati mesi veramente impegnativi. Molte volte la quotidianità, gli impegni dettati dal lavoro e le relazioni con altre persone mi hanno portano a spostare le energie e l’attenzione, perdendo così il focus sull’obbiettivo, ma è qui che il modo con il quale volevo gestire il mio tempo è diventato fondamentale.
Nella mia pianificazione iniziale, mi sono dato la priorità di dedicarmi allo studio per un tempo ragionevole (in funzione al mio tempo libero) tutti i giorni e questa cosa mi ha permesso di entrare in una routine. Quando arrivavo stanco o scarico cercavo di dare del tempo al mio corpo e alla mia mente di riposare. Una priorità che mi sono dato consapevole di dover rimandare il raggiungimento di alcuni micro-obbiettivi. 
Questo fa nascere delusione accompagnata dalla frustrazione. Fanno entrambe parte di questo processo, perchè non sempre le cose vanno come pianificato. Arrivi però ad un punto dove leggi tutti i micro-obbiettivi raggiunti e pensi a quanta strada ai percorso fino a quel momento e il tuo pensiero inizia a cambiare. 
La delusione si trasforma in motivazione e la frustrazione con il tempo sparisce.
Sono arrivato alla scadenza di settembre (giorno della data della prova finale) consapevole che se tutto ciò non dovesse bastare avrei trovato un altro modo per fare la stessa cosa.
Magari con altri tempi, un’altra gestione dei micro-obbiettivi oppure con altri approcci, perchè sono fermamente convinto che se quell’obbiettivo sento che mi tocca fin nel profondo troverò una strada per poterlo raggiungere. 
Ho raggiunto il mio obbiettivo, l’ho scoperto da qualche giorno.
L’esplosione di sentimenti ed emozioni positive sono state così forti che non sono riuscito a trattenere le lacrime. 
Farò tesoro di questa esperienza perchè mi servirà per un futuro, per ogni volta che mi sentirò frustrato perchè vivrò l’illusione di vedere il mio obbiettivo troppo lontano e irraggiungibile. 
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'La differenza degli intenti' di Tommaso Rizzi

13/10/2022

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A Padova si svolge ormai da anni, la Fiera delle Parole. Otto giorni di appuntamenti con la letteratura, cinema, musica, scienza, arte, giornalismo e il pensiero.
Ho avuto l’occasione di vedere un paio di interventi, in compagnia della mia compagna e di mio fratello.
Il primo intervento, tenuto da X. inizia dall’etimologia delle due parole sulle quali si centra l’intervento, entra nella storia e nella filosofia e chiude nella sfera della psicologia. Porta esempi semplici e di vita quotidiana. 
Non ha come obbiettivo quello di trarre delle conclusioni, ma quello di spiegare a parole ciò che molte volte proviamo e a cui difficilmente riusciamo a dare forma.
Il secondo intervento, tenuto da Y. è di natura principalmente psicologica e sociologica, rimane per tutto il tempo nella cronaca odierna raccontando episodi che leggiamo su tutti i giornali, commentandoli e spiegando il perchè certe cose accadono. 
Ma la grande differenza tra i due interventi è stata la sensazione di aver “chiuso il cerchio” nel primo intervento, mentre nel secondo di essere rimasto in sospeso a tal punto da pensare : “e quindi, ora, che si fa?”
Ne ho avuto la prova tornando a casa dopo il secondo intervento. Ho discusso con mio fratello, per tutto il tragitto, su alcune tematiche toccate. Era palese che la lettura che avevo dato io non era la stessa che aveva dato lui. Non parlo di giusto o sbagliato, ma era come se avessimo visto lo stesso paesaggio con due occhiali da sole diversi e i colori che vedevo io non erano gli stessi che vedeva lui. 
A questo punto mi sono chiesto, qual’era l’intento di  Y? 
Qual’era l’intento comunicativo di queste due persone?
Quello di X. è stato quello di suscitare un pensiero critico a seguito di riflessioni basate sulla conoscenza e di portare all’altro quella stessa conoscenza necessaria a suscitare delle riflessioni.
L’intento comunicativo di Y. è stato quello di creare nell’altro uno sconvolgimento, metterlo “scomodo”, riportando la realtà come un fatto oggettivo, nudo e crudo, frutto di un meccanismo newtoniano di causa ed effetto non lasciando all’altro nessuno spunto metodologico in modo attivo. 
E’ come se dicesse all’altro : “Ti dico cosa vedo, ti dico quali sono state le cause che hanno portato a questo e quali possono essere i pericoli di domani. Ora sta a te decidere, come e cosa fare”. 
Nel “come” e nel “cosa” c’è spazio all’interpretazione, che non può essere uguale per tutti. L’interpretazione si basa sul piano della conoscenza e su quello pratico e quindi esperienziale e del sapere.
Le mie domande nascono da una premessa: penso che la maggioranza delle persone presenti (ad entrambi gli interventi) fossero lì per ascoltare quella persona parlare di quel tema specifico, che fossero predisposte all’ascolto e sensibili a queste tematiche.
In entrambi i casi le platee erano formate da ragazzi e ragazze giovani, adulti e anziani. Sicuramente ci saranno stati insegnanti, studenti, psicoterapeuti e molto altro. 
Fatta questa premessa penso, come può una varietà come questa elaborare un monologo come quello di Y. in maniera ponderata e costruttiva? Possiamo interpretare un episodio, una storia, un fatto, nello stesso modo se non veniamo accompagnati nell’elaborazione di questo processo? Gli strumenti che queste persone hanno sono utili o propedeutici per un’elaborazione che possa avvicinare e non aumentare le distanze?
La differenza strutturale tra i due monologhi è stata evidente e sono consapevole che sia stato voluto. 
Trovo che portare un monologo come quello di Y. ad una platea così “polarizzata”  sia rischioso perché potrebbe aumentare e rendere più concrete le distanze nelle opinioni e nel pensiero collettivo. 
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'Matrimonio che vai, comunicazione che trovi' di Jennifer Rigoldi

7/10/2022

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Con lo scorso weekend, ho preso parte all’ultimo dei tre matrimoni 2022 ai quali ero stata invitata.
Sono stati tre matrimoni diversissimi tra loro.
Il primo super colorato, molto caotico e nel corso del quale la parola libertà, di essere e di esprimersi, ha assunto un ruolo da protagonista.
Il secondo matrimonio è stato molto romantico, elegante, intenso: sposo italiano, sposa filippina, è stato un’unione di mondi e culture davvero molto diversi tra loro.
L’ultimo invece voleva riportare in un’ambientazione anni ’50 gli invitati: molto originale la scelta del tema!
Mai come in questi ultimi mesi ho sentito parlare di amore, dell’amore nelle sue infinite sfaccettature e del tema così complesso…amore e comunicazione.
Mi ha molto colpito il discorso tenuto dalla sorella della sposa nel corso dell’ultimo matrimonio al quale ho partecipato. Arrivato in coda a mille belle parole di augurio dedicate alla coppia da amici e parenti che citavano….”ho subito capito foste fatti l’uno per l’altra…” “continuate a vivere con la luce che avete oggi negli occhi”, il discorso della sorella, più pragmatico e meno sognatore, riportava un po' con i piedi per terra. “Coraggiosa!”, ho pensato, quanta schiettezza nelle sue parole.
Iniziava così: “Inutile negare che la vita in una coppia non sia sempre rose e fiori, idilliaca così come nei primi mesi…anni”, temerario il volerlo ricordare agli sposi e ai presenti in una giornata così importante.
Sottolineava in particolar modo la facilità dello stare insieme all’inizio di una relazione, la predominanza dei pregi e la gioia nella condivisione in ogni situazione. E in maniera ironica portava alla luce le mancanze che sopraggiungevano nel corso del viversi e quegli insopportabili difetti con i quali ci si sarebbe sentiti poi costretti a convivere: il rumore nel masticare le patatine, la fatica del dormire accanto ad una persona che russa, che si muove continuamente nel corso della notte, etc...
Il tema centrale del suo racconto interessava la difficoltà esistente nella comunicazione verbale per le stragrande maggioranza delle coppie, e parlava di come fraintendimenti e incomprensioni potessero alla lunga portare ad allontanamenti e quindi invitava gli sposi a riflettere sull’importanza dell’aprirsi con l’altro e dell’ascoltare. “Bisognerebbe parlare molto ed ascoltare il doppio”, quanta verità nelle sue parole!
 
Ripensavo in questi giorni alla complessità del comunicare e al 1° assioma della comunicazione, che afferma: “non si può NON comunicare”. Il fatto di non parlare, non basta per non comunicare: i gesti, le espressioni esprimono molto. E la non risposta è comunque una risposta e una forma di comunicazione, così come lo è l’assenza.
In tutti e 3 i matrimoni sono stati portati alla luce problemi nella comunicazione: nel primo lo sposo è una persona molto riservata e taciturna (un mimo praticamente!) e la sposa un’esplosione di parole: ognuno lamentava gli eccessi dell’altro; nel secondo matrimonio, sposa filippina e sposo italiano hanno raccontato delle loro difficoltà nel comprendersi proprio per l’appartenenza a due culture molto diverse e a causa dell’esprimersi in due lingue madri differenti; nel terzo matrimonio, l’ermeticità dello sposo nella vita di coppia è stata motivo ricorrente di scontro tra i due.
 
Chissà poi se esiste la ricetta della comunicazione perfetta! Ogni coppia mette in pratica “strategie” proprie, ma quanto è difficile raggiungere e mantenere un equilibrio!
E voi, quanto soddisfatti siete della comunicazione esistente all’interno della vostra relazione di coppia? Avreste bisogno di qualcosa di diverso da parte dell’altro? Potreste gestire voi meglio qualche dinamica? 
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'La biofilia e i suoi vantaggi' di Alma Maisto

1/10/2022

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Noi esseri umani, anche se tendiamo a dimenticarlo, siamo degli animali. Apparteniamo infatti ai Primati. Con gli Scimpanzé condividiamo ben il 98% del DNA. I nostri antenati vivevano letteralmente circondati dalla Natura e da essa dipendeva la loro sopravvivenza. Eravamo un tutt’uno con la Natura e con le altre specie animali.
Al giorno d’oggi le cose sono profondamente cambiate. Il nostro stile di vita e il nostro modo di rapportarci a Natura e animali ci hanno fatto dimenticare il nostro passato libero e selvaggio.
Nonostante questo mutamento, in ognuno di noi resta un anelito, mai del tutto sopito, a ricongiungerci con Madre Terra. Una sorta di bussola interiore che si attiva e ci orienta verso la ricerca di un contatto diretto con gli ambienti naturali.
Alla prima occasione buona, infatti, scappiamo dai luoghi chiusi e artificiali delle nostre città per allentare le tensioni fisiche e per riordinare i tanti pensieri che affollano la mente. L’aria aperta, il sole, l’acqua, il verde, il contatto con gli animali, fanno nascere in noi una sensazione di rilassamento profondo. Basta una passeggiata in un parco, una pedalata in campagna, del semplice lavoro svolto in orto o in giardino e ci sentiamo subito meglio. Appena possiamo organizziamo nel weekend gite fuoriporta. Prenotiamo vacanze da passare al mare o in montagna. Ci avventuriamo lontano dal nostro paese per visitare ambienti naturali a noi poco familiari ma che ci attraggono per il loro fascino. Sentiamo il desiderio di condividere la nostra quotidianità con altri esseri viventi e così decidiamo di adottare un gatto, un cane o un’altra piccola creatura. Ci appassioniamo al birdwatching. Ci immergiamo nei fondali marini per carpirne la bellezza.
Tornare alla Natura è come tornare a casa dopo un lungo e faticoso viaggio. Ci sentiamo così bene e a nostro agio perché noi, come ogni altro animale che vive su questo pianeta, apparteniamo alla Natura. A questo legame, spontaneo e amorevole, nei confronti di Madre Terra e dei suoi abitanti, il filosofo e psicologo Erich Fromm ha dato il nome di Biofilia. Anche laddove non esiste una piena consapevolezza, noi esseri umani siamo in grado di avvertire come il contatto con la Natura sia in grado di migliorare il nostro stato emotivo e fisico.
Numerosi studi negli ultimi anni attestano come questa intuizione sia in realtà un dato di fatto scientificamente provato.
La psicologa, formatrice e giornalista Marcella Danon, che insegna Ecopsicologia all’Università della Valle d’Aosta, scrive in Clorofillati:
La sintesi di queste ricerche, insieme a innumerevoli altre, si è consolidata in una vera e propria “Teoria del recupero dallo stress”, Stress Recovery Theory, che ha dimostrato che il modo più rapido ed efficace per neutralizzare gli effetti fisiologici dello stress è l’esposizione agli ambienti naturali, riconosciuti come più rigenerativi rispetto agli ambienti urbani e a quelli costruiti.
Lo stress ha una funzione legata alla sopravvivenza; il suo scopo originario è “salvarci la vita” innescando meccanismi fisiologici che ogni volta ci danno l’energia necessaria per affrontare gli imprevisti. Ma la sua attivazione è spesso non necessaria, con effetti collaterali pesanti sul piano dei sistemi immunitario, endocrino, cardiocircolatorio e muscolare. Uscire dall’ambiente abituale e fare quattro passi all’aperto è un antidoto efficace e sempre a portata di… piede per smaltire la carica ormonale inutilmente in circolazione – non possiamo scappare da una mail indesiderata o prendere a pugni un computer andato in palla – e per ridurre le conseguenze di questa iperattivazione automatica.
La Natura è, così, anche un rimedio eccezionale per contrastare le conseguenze dell’eccesso di stress che caratterizza il nostro odierno stile di vita.
 
Comprendere che, tutte le volte che istintivamente ricerchiamo un contatto con la Natura e i suoi abitanti, stiamo facendo un regalo a noi stessi, può diventare una risorsa interiore alla quale ricorrere. Se realizziamo le ragioni profonde del legame d’interdipendenza tra noi e la Natura, possiamo trasformare un atto spontaneo in un’abitudine di comportamento. Un’abitudine che possiamo attuare come fosse una sorta di auto-terapia finalizzata al nostro benessere.
Ed è in questa visione del rapporto Uomo-Natura che può trovare spazio un intervento mirato da parte degli operatori olistici.
Essi potrebbero infatti contemplare, nel loro lavoro con le persone, dei momenti attraverso i quali ricreare un legame attivo e consapevole con Madre Terra. La Natura diventerebbe così un valido alleato per l’operatore olistico rendendo la sua attività di aiuto più funzionale ed efficace.
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'Il coraggio e il cuore' di Tommaso Rizzi

29/9/2022

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Come può vivere un essere umano con il cuore che ti spinge verso una direzione e la mente verso l’altra? Come può vivere un essere mano sapendo di dover trovare un equilibrio in tutto questo?
Ancora, come può vivere una essere umano con la consapevolezza che le sue scelte devono rispondere ad un impulso esterno e non interno?
Infine, come può vivere un essere umano che non si concede la possibilità di vivere i propri sentimenti e le proprie emozioni?
Le aspettative dell’ambiente e della società diventano pesanti come macigni. Le reti di rigidi e ambigui costrutti culturali e religiosi, ti intrappolano e ti costringono razionalmente e consapevolmente ad andare in una direzione opposta rispetto a quella che vorresti prendere. 
Rimani lì. 
Imbrigliato come un pesce in una rete di pescatori. 
Diventa una gara di resistenza dove si creano nuove strutture di convinzioni, dove la tua realtà cambia forma e muta perchè in tutto questo dobbiamo gonfiare i nostri polmoni e respirare per poter vivere. 
Posso solo immaginare come ci si possa sentire. Questa estate ho vissuto indirettamente esperienze complesse, di persone a cui voglio bene come fratelli e sorelle. 
Persone con le quali sono cresciuto e con le quali ho condiviso molto e che ora si trovano a vivere questo conflitto interiore. Quando ascoltavo i loro racconti e vedevo i loro occhi riempirsi di lacrime un velo di tristezza mista compassione mi avvolgeva. 
I racconti erano pieni di sentimenti ed emozioni raccontati senza timore e anche di una consapevolezza piena che chiama tutte le cose con il loro nome e che una volta contestualizzata con l’ambiente circostante crea frustrazione e dolore. 
Infine la resa totale, dove il concetto più utilizzato è stato: “non ho il coraggio di…”. Questa affermazione crea un’alibi perfetto per non fare nulla.
Ho osservato questo processo fatto di momenti “up e down” estremamente veloci e la cosa che mi affascina di più è l’utilizzo del concetto di CORAGGIO.
Credo ci voglia coraggio per dare precedenza ai propri sentimenti ed emozioni, ma anche altrettanto coraggio per metterli da parte e restare dove si è. 
La motivazione che sta alla base dell’atto che richiede coraggio, può essere la chiave e racchiude in se il significato.
Paura e malessere possono essere dei fattori motivanti, ma sembrano non bastare e allo stesso tempo il concetto di sentimento stesso viene a perdere di significato. 
Ho capito che il significato di CORAGGIO non è unico e globale perchè esistono diverse letture. Il coraggio è composto da mattoncini con significati diversi tra loro: resilienza, determinazione, responsabilità, vitalità, tenacia, integrità. Assume importanza anche il contesto in cui si utilizza. Quindi capisco che è una cosa complessa ed estremamente strutturata. 
Fermo i miei pensieri ed elaboro le mie emozioni nate dagli incontri con queste persone e penso al mio percorso in questa vita e capisco che il coraggio non è innato. E’ la somma di tanti fattori diversi tra loro. Che paura e malessere possono essere dei campanelli d’allarme, ma che da soli possono non essere sufficienti a far scoccare la scintilla.
Il coraggio come ogni cosa va scoperto, sentito, coltivato ed allenato. 
Una persona può avere coraggio in determinati contesti della vita e in altri no. 
Puoi averla in un momento specifico e in altri momenti no. 
Il termine CORAGGIO deriva dal latino coratĭcum o anche cor habeo, aggettivo derivante dalla parola composta cŏr, cŏrdis ’cuore’ e dal verbo habere ’avere’: avere cuore.
“Avere cuore”…credo sia questo il passaggio determinante per assimilare questo termine. Mettere al “centro” i nostri sentimenti e questa azione è quella che richiede più impegno e perseveranza di tutte.


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'Potenziare la motivazione' di Cristina Turconi

29/9/2022

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“Non ci sarà mai pieno accesso al nostro potenziale finché non capiamo come funziona la nostra macchina biologica e mentale, e sfruttiamo i tanti reattori di energie che nasconde.”
- Daniele Trevisani -

  
Ci sono aree della nostra vita in cui vorremmo avere una maggiore motivazione per portare a termine i nostri compiti, per raggiungere obiettivi sfidanti o tradurre i nostri sogni in progetti realizzabili. A volte non sempre siamo soddisfatti del tipo e della qualità della nostra motivazione. Cosa possiamo fare per aumentare la nostra motivazione? E anche come Coach, come possiamo aiutare i nostri clienti a ristrutturare e a dare nuovo vigore alla propria motivazione?
 
Esplorare questi 5 passi può offrirci degli spunti interessanti per aumentare sia il nostro “senso di motivazione”, sia quello dei nostri coachee:
 
  1. Identificare il contesto:
    Il primo passo utile è quello di identificare in quale area della vita, in quale contesto vorremmo avere maggior motivazione e verificare se siamo soddisfatti del tipo e della qualità della nostra motivazione.

  2. Esplorare la qualità dello “stato” di motivazione:
    Il secondo passo consiste nel verificare quel fenomeno olistico mente-corpo-emozioni, quello stato d’animo, quella condizione emotiva, quell’insieme di processi neurologici e fisici che hanno luogo dentro di noi e che creano l’attuale “stato” di motivazione.
    Alcune domande utili che possiamo utilizzare nella sessione di coaching sono:
    “Quali sono i tuoi motivi, le tue ragioni, le tue credenze, le tue emozioni che guidano la tua motivazione? Cosa provi per il risultato finale? E cosa per i singoli sforzi e i singoli passi quotidiani? Quanto sei motivato su una scala da 0 a 10?”

  3. Attivare la nostra ricchezza rappresentativa:
    Il terzo passo richiede di utilizzare la nostra mente immaginativa per arricchire le rappresentazioni sensoriali del nostro film mentale. Metaforicamente si tratta di fare un “editing” delle scene visualizzate del nostro film mentale, coinvolgendo e utilizzando tutti i nostri sensi. Il canale visivo, uditivo, cinestesico, olfattivo e gustativo. Più una persona riesce ad immedesimarsi dentro all’esperienza, più chiare sono le informazioni che ottiene. Aiutare il nostro Coachee e guidarlo ad amplificare questo stato è utile e appropriato.

  4. Aggiungere o modificare pensieri e credenze che sosterranno la motivazione in quell’area specifica:
    Possiamo chiederci e chiedere: “Quale cambiamento di credenza, o di schemi di pensiero arricchirebbe lo “stato” di motivazione e garantirebbe il tipo e la qualità di motivazione che serve veramente? Che cosa è più utile credere a questo proposito che potrebbe perfezionare la motivazione?

  5. Creare un ponte sul futuro:
    In quest’ultimo passo serve immaginare di vedersi muovere nei giorni a venire con la nuova motivazione e vedere che cosa accade di nuovo e di diverso in senso migliorativo.
 
Ripetere questi passi, questo ciclo di esperienza più e più volte, integrando la nostra ricchezza rappresentativa e potenziando credenze e prototipi cognitivi funzionali, ci può essere di grande utilità per migliorare la nostra motivazione e affinare quei mix-emotivi più fruttuosi che ci permetteranno di procedere e realizzare i nostri obiettivi e i nostri traguardi di vita.
 
Bibliografia di riferimento:
The Meta-Coaching System - Systemic Coaching at Its Best – L. Michael Hall Ph.D. - 2011
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    In ogni ambito della vita solleviamo problemi, formuliamo piani e cerchiamo rimedi specifici, ma al fondo desideriamo coltivare le nostre parti più elevate.

    ALCHIMIA COMUNICATIVA
    Come trasferire ad altri quello che sappiamo, senza essere banali spingitori di alberi sulla spiaggia o coraggiosi esploratori di foreste incontaminate, senza esperienza.

    UOVA DI GIORNATA: 'CHIAMATA O MALEDIZIONE?'
    Facciamo parte di una generazione che potrà dire: 'ho vissuto la chiamata e la maledizione. E ci ho fatto qualcosa'. Ti dico la mia.

    IL MODELLO STEP CONSAPEVOLE
    Ogni professionista che operi per il benessere e l’equilibrio della persona, è un animatore di salute, vitalità e felicità. In altre parole, è un profondo conoscitore dell'autoregolazione a livello fisico, emotivo, mentale e relazionale. Cosa vuol dire conoscitore? Che ha sperimentato in prima persona e che sa proporre a persone e gruppi attività che portano all’equilibrio personale, al benessere e alla salute.
    Cos'è dunque il modello step consapevole? Vediamo ...

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