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'L’intelligenza emotiva per la leadership' di Daniele Ricca

20/3/2023

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La Temperantia, così chiamata dai Romani e prima ancora Sophrosine da Platone nell’antica Grecia rappresenta la capacità di condurre la propria vita frenando gli eccessi emozionali, ovvero riconoscere e gestire le proprie emozioni senza diventare schiavi di esse.
 
Daniel Goleman, famoso psicologo americano, nel suo libro “Intelligenza emotiva” ci spiega quanto la Temperanza sia tra le virtù fondamentali per raggiungere il benessere psicologico. Oltre la temperanza le qualità da allenare per diventare un leader di successo (di se stesso), sono: la consapevolezza di sé, di autoregolarsi, di motivazione, di empatia e di abilità sociali.
 
Oggi nelle aziende si sente molto parlare di modelli di Leadership ma a mio avviso i manager sono troppo concentrati a leggere fogli di excel per misurare le performance dei propri collaboratori piuttosto che ascoltare i loro bisogni. Questo approccio nella maggior parte dei casi rende incomprensibile il motivo per cui c’è una scarsa soddisfazione, una mancanza di senso di appartenenza e fiducia da parte dei dipendenti nei confronti dell’azienda e dei propri capi, di conseguenza un calo dei profitti.
 
Partire da se stessi per entrare in empatia con il proprio team.
 
La chiave di volta dell’intelligenza emotiva è “la consapevolezza dei propri sentimenti nel momento stesso in cui essi si presentano”. Si tratta della competenza emozionale fondamentale, perché su di essa si basano tutte le altre.
 
Essere consapevoli significa essere consapevoli sia del nostro stato d’animo che dei nostri pensieri su quest’ultimo.
 
Auto-consapevolezza è l’arte di capire se stessi: conoscere le proprie debolezze, i punti di forza, i driver, i valori e l'impatto che abbiamo sulle persone – la capacità di buona intuizione, essenzialmente. In pratica, questo appare come fiducia in se stessi e come capacità critica costruttiva. Se sei un manager, le scadenze imminenti potrebbero tirare fuori il peggio di te. Essere autoconsapevole emotivamente ti porta a pianificare il tempo correttamente e a gestire il lavoro in modo qualitativo in anticipo rispetto le scadenze.
 
L'autogestione è la capacità di controllare e reindirizzare gli impulsi distruttivi e i cattivi stati d'animo.
 
Ciò significa anche considerare i sentimenti degli altri, soprattutto quando si prendono decisioni importanti. L’empatia include competenza nell’ assumere e trattenere i migliori talenti, la capacità di far evolvere altre persone e la sensibilità di riconoscere le differenze culturali. Immaginate un consulente ed il suo team che cercano di attrarre un potenziale cliente straniero, ad esempio un cliente giapponese. Dopo il primo approccio commerciale il cliente diviene silenzioso ed il team interpreta questo come disapprovazione. Il consulente, tuttavia, rileva il suo interesse a causa del linguaggio del corpo e prosegue senza timore con l'incontro ottenendo il lavoro. Questo è una modalità di esprimere l'empatia. Infine, l'abilità sociale è la costruzione di un rapporto con gli altri per condurli in direzioni desiderate. Questa è influenza.
 
Ogni giorno prendiamo decisioni emotivamente importanti. Valutiamo un piano A come migliore del piano B e talvolta facciamo delle scelte in base alle nostre emozioni o sentimenti. Quando abbiamo capito l'origine e la fonte di queste emozioni, soprattutto quando si lavora in team, siamo più in sintonia con l'altro. Con la globalizzazione, l'intelligenza emotiva è più significativa che mai poiché è aumentata la complessità delle interazioni e delle emozioni cosi come il modo in cui sono espresse. In sostanza, l'intelligenza emotiva nei luoghi di lavoro si riconduce ad una corretta comprensione, espressione e gestione dei buoni rapporti cosi come la risoluzione di problemi complessi sotto pressione
 
L’intelligenza emotiva conta più del Q.I.
 
Secondo Goleman, il quoziente intellettivo (Q.I.) contribuisce solo in ragione del 20% ai fattori che determinano il successo nella vita. Il restante 80% è determinato dalla cosiddetta intelligenza emotiva, che include fattori quali la capacità di:
 
-  motivare sé stessi e di perseguire un obiettivo nonostante le difficoltà 

-  controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione 

-  gestire i propri stati d’animo 

-  essere empatici

-  sperare ed essere ottimisti
 
Per questo motivo, l’analisi del Q.I. non sembra essere un fattore predittivo affidabile per il successo delle persone. È quanto fu rilevato alla fine di uno studio che coinvolse 95 studenti di Harvard: una volta raggiunta la mezza età, gli ex studenti più brillanti ed intelligenti non avevano avuto un particolare successo nella vita e non si si sentivano più felici rispetto agli ex studenti più mediocri1.
Il problema è che l’intelligenza accademica non offre alcuna preparazione per affrontare la vita, ma le nostre scuole e la nostra cultura sono interamente focalizzate sulle capacità accademiche ed ignorano l’intelligenza emotiva.
Tutto ciò è in netta antitesi con quanto rivelato da molti dati, che testimoniano che le persone dotate di grande intelligenza emotiva si trovano avvantaggiate nella vita e hanno maggiore probabilità di essere felici ed efficaci.
 
Quali sono i benefici dell’intelligenza emotiva per un leader ?
 
Gary Yukl, un ricercatore di primo piano relativamente a temi di leadership sostiene che “L'auto-consapevolezza rende più facile comprendere i propri bisogni e le probabili reazioni se alcuni eventi si sono verificati, facilitando in tal modo la valutazione di soluzioni alternative.”
 
Bolin sostiene invece il "Bisogno di iniziare da se stessi. La gestione non si limita ad un aspetto, ce ne sono altri da considerare. Ma chi sviluppa una propria consapevolezza di sé, sarà in grado di gestire in modo più efficace gli altri. Gestione non significa necessariamente guidare gli altri. Spesso, quando qualcuno viene promosso pensa di dover guidare gli altri, anche se in realtà si tratta prima di tutto acquisire la capacità di essere leader di se stessi e ciò può venire solo con una maggiore consapevolezza di sé.
 
“I manager hanno bisogno di capire come agire nelle diverse situazioni e questo è il motivo per cui è importante iniziare da se stessi per capire come relazionarsi con gli altri. Ciò che distingue i leader di solito è il loro livello di intelligenza emotiva e tutte quelle abilità che aiutano a sviluppare un posto di lavoro più efficace.
 
“Per un Leader è essenziale sviluppare le competenze di Intelligenza Emotiva, perché le emozioni guidano le persone, e le persone guidano le PERFORMANCE.”
 
Tra le altre cose, L’intelligenza Emotiva:
 
  • Impatta per il 55% SULLE PERFORMANCE;
  • Aiuta il Leader nel People Management;
  • Sviluppa MOTIVAZIONE per lo spirito di squadra;
  • Aiuta a mantenere il Focus;
  • Aiuta a costruire RELAZIONI EFFICACI sia interni che con i fornitoti e i clienti;
  • In AZIENDA, è la base per sviluppare un clima positivo per l’eccellenza delle performance e il benessere delle persone;
  • Aiuta a gestire il work life balance;
  • Aiuta a sviluppare la resilienza e il problem solving;
  • Indispensabile per il Change Management;
  • Sviluppa l’Ottimismo, indispensabile per il personale addetto alla vendite.  
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'Il Colloquio' di Annarita Scarongella

15/3/2023

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​Il termine colloquio deriva dal latino cum loqui: parlare con, parlare insieme. 
Questo ci porta a capire che c’è uno scambio verbale e linguistico all’interno di un processo comunicativo dove ci sono almeno 2 persone; colloquio quindi come mezzo di scambio nella comunicazione quotidiana. La conoscenza tra le persone passa attraverso lo scambio di idee, opinioni e informazioni col fine più o meno esplicito di avvicinare qualcuno, di trovare un accordo, di convincere e per comunicare efficacemente. È utile pensare a chi ci si rivolge, in che contesto, l’obiettivo dato e il linguaggio utilizzato. 
Elemento centrale è l’ascolto, l’attitudine all’ascolto; ascoltare non è la stessa cosa che sentire perché comporta un processo attivo e complesso, ascoltare significa raccogliere informazioni da chi parla astenendosi dal giudicare ed assumendo un atteggiamento empatico, dimostrando attenzione in modo da incoraggiare la continuazione della comunicazione. Ed è solo facendo silenzio che io riesco ad ascoltare quello che l’altro ha intenzione di dirmi. 
Come possiamo far passare il colloquio da un semplice strumento quotidiano ad un vero e proprio strumento scientifico, metodologico? 
Grazie alla definizione di un metodo. 
Si definisce metodo un insieme che possiede al suo interno delle regole rigorose che ne definiscono la struttura e che rimangono fisse e costanti, queste regole stabili permettono l’utilizzo del metodo in diversi contesti e gli elementi di stabilità permettono il suo adeguamento a situazioni tra loro molto diverse. 
Il colloquio è un metodo e possiede numerosi ambiti di applicazione: Psicologia, Medicina, Giornalismo, Diritto, Servizio sociale, Ricerche di mercato e di marketing, Lavori aziendali, Coaching. 
Il colloquio è anche uno strumento cioè ha una funzione, serve a qualcosa ed è anche uno strumento di misura (quantificazione). 
All’interno di una situazione di colloquio possiamo individuare alcuni elementi generali: 
  • Un fine o uno scopo 
  • Un oggetto o argomento di cui parlare
  • Un accordo comune 
  • Un clima di agevolazione della conversazione 
  • La presenza di due persone di cui una pone questioni mentre l’altra risponde 
 “Il colloquio come strumento psicologico” di Lis, Venuti e De Zordo definisce il colloquio così: 
Il colloquio è un particolare tipo di strumento caratterizzato da uno scambio verbale in una situazione dinamica di interazione psichica (azione, influenza reciproca) che permetta lo svilupparsi di un processo di conoscenza, per raggiungere tale obiettivo ci si basa sul consenso tra conduttore e partecipante a discutere, parlare, trattare insieme un tema o un argomento. 
- Il processo di consenso si riferisce al trovare un accordo tramite il confronto su differenti esperienze e punti di vista individuali. 
- Il consenso implica un clima collaborativo ed il rispetto reciproco degli individui, il condividere tutti i passaggi dello scambio, il rispettare e coltivare la ricchezza del punto di vista altrui senza prevaricare sull’altro, tenendo sempre in considerazione le dinamiche relazionali e di potere che possono attivarsi. 
- Per facilitare la comunicazione, il conduttore usa tecniche non direttive, consente al soggetto di sentirsi valorizzato, non sottoposto a giudizio valutativo, trattato come una persona da un’altra persona di cui percepisce la disponibilità. 
- DIVERSAMENTE, ritengono che la situazione dinamica e motivazionale del colloquio non debba essere necessariamente centrata sul rapporto emotivo. 
- Si può creare anche su basi prevalentemente cognitive (ad es., nel colloquio di ricerca che approfondisce alcune tematiche). 
Anche il colloquio di coaching può essere considerato un metodo, un metodo con cui attraverso una serie di incontri individuali, stimola nel coachee un processo di autosviluppo, che lo accompagna verso il raggiungimento di obiettivi professionali e personali. 
L’esplorazione col chunking (nella psicologia cognitiva il termine chunk viene utilizzato per indicare un’unità di informazione, di conseguenza il chunking è il processo che permette di acquisire tale unità di informazione) serve anche a fornire una prima descrizione del sistema in cui il coachee agisce nonché dei suoi partecipanti. 
Le domande circolari sono utili per costruire una mappa sistemica delle relazioni in cui il cliente deve conseguire un obiettivo. Per mezzo di domande circolari si aggira l’inevitabile egocentrismo del soggetto accompagnandolo verso altre posizioni percettive e altri panorami nella sua mappa. Tanto il coachee quanto il coach, attraverso le domande, cambiano costantemente sulla base dell’informazione offerta dell’altro. La circolarità è indispensabile allo sviluppo di una concreta visione sistemica. 
Mentre alla fine o all’inizio di ogni sessione, oppure dopo insight importanti, le domande riflessive aiutano il coachee a capitalizzare ed elaborare.  
Questi strumenti linguistici sono elementi essenziali in un colloquio di cambiamento, sia per le informazioni che forniscono, sia per gli insight che procurano, sia perché sono il punto di partenza per costruire riformulazioni di particolare efficacia. 
Questi passaggi di colloquio iniziano con domande su un particolare schema e lì tornano alla fine, in modo che il coachee possa ridefinire i passaggi via via che acquisisce nuove informazioni. Dunque, hanno un andamento circolare, dove a ogni giro gli elementi nuovi arricchiscono il ciclo successivo.  
Tecnicamente, una struttura ricorsiva; la scelta della sequenza tra i vari passaggi è decisa di volta in volta dal coach in base a come si sviluppa la sessione.  
Usando l’arte della dialettica nel dialogo si piantano e 
si seminano parole non sterili: poiché racchiudono in sé 
un germe da cui nuove parole germogliano in altre 
persone, esse sono capaci di rendere questo seme 
immortale e rendono beato chi lo possiede. Platone, Fedro 
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'ON AIR - L'intervista' di Cinzia Zocca

15/3/2023

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Nei giorni scorsi ho ricevuto un invito a partecipare al programma Story Time di Canale Italia per raccontarmi e raccontare cos'è MYA Studio ed i servizi offerti.
 
Arrivo all'appuntamento con un buon anticipo, amo la puntualità.
Lungo tutto il tragitto da casa a Padova penso a ciò che voglio dire, al profilo che voglio dare alla presentazione ed al modo in cui pormi, mentre nella testa mi risuonano i consigli sul public speaking  e la postura di Daniele Trevisani. Non voglio farmi sopraffare dall’ansia.
Il fatto è che non mi piace essere al centro dell'attenzione e preferisco osservare silenziosamente, però è una bella opportunità e sono onorata che mi abbiano scelto per questa intervista, quindi mi predispongo senza alcuna aspettativa, la mente aperta e il cuore leggero. Decido che respirerò e lascerò semplicemente accadere.
Vengo subito accolta con entusiasmo ed accompagnata in una saletta per il disbrigo delle formalità, respiro l’euforia del momento e mi lascio fluire.
Oggi mi guardo nella foto scattata qualche attimo prima della registrazione ed il mio giudice interiore inizia l'intervista.

Giudice: Ti sei pettinata prima di uscire di casa?
IO: Ehm....si, ho messo anche il super balsamo per ammorbidire i capelli e mi sembra di sentire parlare mia mamma.
Giudice: Hai scelto il colore della giacca per essere in tinta con il logo del programma?
IO: Beh...il verde è il colore del chakra del cuore, sentivo che avevo bisogno di accoglienza e integrità per avere presenza. Ho messo anche la collana con l'agata verde, che infonde sicurezza e allontana la sfortuna. L'armonia dei colori è sempre piacevole.
Giudice: Spiegami una cosa: tutti i professionisti olistici indossano colori chiari perché ricordano l’anima e la purezza. Tu perché indossi un abito nero?
IO: Il nero sta bene con il verde (vedi sopra), ma in una chiave di lettura spirituale il nero riporta al buio ed è solo nell’ombra che puoi vedere la tua anima e quindi espandere la tua luce.
Giudice: Dici che sei un consulente e che sei un professionista olistico. Come definiresti l’attività di MYA Studio e la tua professione?
IO: Preferirei non rispondere, non amo le etichette perché ti imprigionano dentro un ruolo che in questi tempi mutevoli muta continuamente. 
Il mio giudice interiore è severo, polemico ed esigente, talvolta irritante (ma va….?).
Come in tutte le prime volte, ho trascorso tutto il viaggio di ritorno chiedendomi se avevo detto questa o quella cosa, pensando che avrei potuto spiegare meglio, che avrei dovuto dire di più, che avrei potuto essere più incisiva con il tono della voce o la postura.
Ora penso che è andata esattamente così come doveva andare.
Se i miei capelli sono ribelli, se mi piace andare contro corrente e non darmi etichette, è solo perchè sono uno spirito libero e una donna "selvaggia".
E va bene così, accolgo la persona che sono e abbraccio l’opportunità di essere autenticamente vera con tutte le qualità che porto e la curiosità di esprimere quelle che ancora non so di avere.
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'L'importanza del contatto' di Monia Da Lozzo

9/3/2023

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Diverse sono le esperienze che questo Master mi permette di vivere, ad ogni incontro.
Esperienze, che hanno il potere di far emergere quelle emozioni, che per qualche motivo, sono state cacciate nell’inconscio più profondo e, che a volte ci fanno piangere, o ci fanno ridere, oppure ci liberano da pesanti fardelli. Ma, soprattutto, ci fanno stare meglio.

Poi, ci sono quelle esperienze vissute nelle calde acque termali, che attraverso degli esercizi di consapevolezza del proprio corpo, hanno il potere di sorprenderci nella bellezza di un contatto. E, la sorpresa di tale bellezza, sta racchiusa nell’importanza che assume il contatto fisico.

Non tutte le sensazioni da esso stimolate, vengono percepite allo stesso modo, dove alcune possono essere più chiare e precise, mentre altre più sorde e profonde.
Così, questo contatto fisico e mentale, diventa una comunicazione che si dispone a diversi livelli e prende il nome di comunicazione non verbale. E assume, estrema importanza, per stabilire equilibrio e salute.

L’evoluzione della nostra vita, è costellata di contatti umani che nutrono di buono la nostra mente e il nostro corpo e questa esigenza, va ricercata nel grembo materno.

L’embrione umano si sviluppa a partire da tre foglietti germinativi o embrionali, che si distinguono in endoderma, mesoderma e ectoderma, ognuno dei quali da origine ai vari tessuti, organi, sistemi.
Nell’ectoderma, il foglietto che compare nella terza settimana di vita dell’embrione, origina la pelle e le sue strutture, insieme ai diversi sistemi nervosi.​

L’esigenza primordiale del contatto fisico, nasce da qui.
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'La palestra della mente' di Steven

8/3/2023

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​Sapete.. facevo anch’io parte degli scettici che purtroppo asseriscono con desolazione “La meditazione? L’ho provata ma non ha funzionato. Forse non fa per me”. Se ci arrendessimo così in fretta anche per l'attività fisica, le poche palestre rimaste si trasformerebbero presto in ospedali! E, come con la palestra per il corpo, anche nella palestra mentale è possibile farsi del male, vedendo aspetti di noi, degli altri, del mondo circostante, o dell’esistenza, che non siamo pronti a vedere. Anche questo può essere un motivo diffuso per temere il proseguimento e tornare a rifugiarsi coi propri vizi nel mondo esterno del quotidiano. Poi ci si mettono anche i pregiudizi che la meditazione sia solo robaccia alternativa.. Ma la scienza ha confutato più volte questa ipotesi! Da quando esistono termini come mindfulness forse la cosa è diventata più digeribile anche per questa categoria. Se rimanete scettici ma incuriositi leggete avanti per qualche spunto!
 
Così come esistono pesi, pilates, step, spinning, cardio e così via, anche le pratiche mentali si suddividono in innumerevoli sottocategorie specializzate in base agli obiettivi, che possono spaziare dalla riduzione degli stimoli, al rilassamento, all’energizzazione, alla concentrazione, all’autoguarigione, all’aumento di consapevolezza interna, corporea, o esterna, all’autoanalisi ed evoluzione della proprio aspetto psicologico.
 
Io sono passato ad essere profondamente entusiasta della meditazione dopo aver trovato in essa una potente cura per un mio problema di emicranie dovute a tensione cervicale che mi dannava da anni, e avendo fatto esperienza diretta di svariati altri benefici non solo legati al rilassamento, ma anche al progresso evolutivo della psiche e al miglioramento delle relazioni interpersonali.
 
Non è un caso se le varie pratiche di meditazione, mindfulness, Yoga Nidra, e via dicendo stiano acquisendo maggiore popolarità in questa società moderna sempre più dispersiva, ansiogena e conflittuale. Anche l’evidenza scientifica dei benefici è sempre più sorprendente, con prove di effetti reali non solo sull’umore e sulla concentrazioni, ma anche di effetti fisici quali l’ispessimento della corteccia cerebrale. Questo quanto emerge dallo studio di Lazar dell’università del Massachusetts General Hospital e suoi colleghi. In seguito, un altro gruppo di ricercatori condotto dalla tedesca Hölzel ha riscontrato un aumento volumetrico della materia grigia. Ma nonostante queste sorprendenti risvolti, ci sono ancora tanti preconcetti, tanta confusione e false aspettative a riguardo.
 
Si tratta dunque di provare, cercando innanzitutto una o più guide che possano accompagnarci inizialmente nel cammino più adatto alle nostre necessità, e di fare più esperienze possibili. Anche online il materiale disponibile è in continua espansione. Oltre agli spunti classici come gli insegnamenti di S. N. Goenka, il maestro che ha portato alla massa le ideologie e pratiche buddiste della meditazione Vipassana, si possono trovare autori all'avanguardia tecnologica come l’americano Andrew Huberman. Questo neuroscienziato e professore presso Stanford University, ha contribuito molto al settore negli ultimi anni, pubblicando dei podcast approfonditi sulla scienza della meditazione, e coniando il termine NSDR “Non-Sleep Deep Rest”, una rivisitazione moderna della pratica antica del Yoga Nidra. Il NSDR permette di raggiungere uno stato mentale a bassa frequenza vicino al sonno, con l’obiettivo di accelerare processi di neuroplasticità ed ovviamente ridurre stati di ansia e conciliare il sonno.
 
Per chi si astiene dalla pratica solo per carenza di tempo, ci sono buone notizie: una volta raggiunto un discreto livello di esperienza con le tecniche, sono stati riscontrati effetti positivi anche con tempi molto ristretti.  Moore di Liverpool ha ottenuto risultati positivi in uno studio che prevedeva la meditazione di 10 minuti al giorno per 8 settimane - questo ed altri studi simili mostrano effetti migliorativi sia sull’attenzione che su stati di ansia. Sara Lazar sottolinea il valore di alternare anche con meditazioni di solo 5 minuti quando impossibilitati. In modo analogo alla palestra classica, è sicuramente necessaria una buona dose di autodisciplina per mantenere la regolarità, ma queste micro sessioni sono facilmente inseribili in contesti di vita quotidiana anche frenetica, e a lungo andare permettono di vivere ogni esperienza in maniera più presente e consapevole.
 
Una volta acquisite le tecniche di base, la pratica diventa una palestra senza orari di chiusura e persino gratuita (esatto, anche alcuni corsi molto validi lo sono!). Sarebbe un peccato per chiunque perdersi questa occasione per uno stile di vita più sano a 360 gradi, dato che ci permette di affrontare anche la malattia in maniera più proattiva, prima di ricorrere istintivamente al primo dottore di turno o ai farmaci da banco alla comparsa dei primi sintomi… mettendo in azione tecniche di meditazione e di respiro annesse che allentano il sistema nervoso simpatico, è possibile attenuare gli effetti di tanti malanni e accelerare il percorso di guarigione con poca fatica e senza effetti collaterali.
 
Un dubbio che può sorgere in molti all’inizio di questo cammino: “quando potrò cominciare a cogliere i frutti?” Per vedere progressi significativi sulla psiche i tempi sono molto soggettivi e possono protrarsi anche di mesi/anni, ma già dopo poche lezioni incentrate sulla focalizzazione sul respiro, si può imparare come recuperare anche in via istantanea stati di tensione o ansia, e anche ad alleviare la sofferenza dovuta a problematiche di salute. Quindi il ritorno dell’investimento è quasi immediato. Poi non mancano occasioni per specializzarsi, allargando l’esperienza ad altri obiettivi sempre più grandi e significativi per la crescita personale.
 
Ora rimane solo da augurarvi buon allenamento!
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'Stimolo - Risposta' di Tania Tonon

8/3/2023

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Leggo di Analisi Transazionale ed emergono ricordi di studi passati di informatica teorica quando si parlava di automi a stati finiti.
“Un diagramma di stati che evolve da uno stato all’altro a seconda del valore della variabile di ingresso” ne vedo la similitudine con la transazione Stimolo-Risposta dell’AT.
E allora la mente corre…
Catalogando stati d’animo e stimoli a cui siamo sollecitati potremmo giungere ad un diagramma di stato umano…No, in realtà noi siamo un sistema complesso non troppo deterministico dove gli stati in cui ci troviamo sono frutto di altri sottoinsiemi di stati legati a diverse situazioni di vita, ed è nostra facoltà reagire anche in modo diverso ad uno stesso stimolo in momenti diversi.
E’ già più difficile riuscire a schematizzare con un diagramma una simile descrizione e ancor più difficile immaginare un’ algoritmo che possa simulare un tale comportamento.
 
Ma oggi esiste, anzi ne esistono molti, si chiamano Algoritmi di Intelligenza Artificiale. Non sono in grado di stabilire con certezza ciò che faremo ma con l’analisi di dati del comportamento passato possono ipotizzare cosa accadrà o aiutarci/guidarci verso un obiettivo.
 
Dagli anni 50 ad oggi si sono fatti passi da gigante su questo tema, si è passati dalle prime macchine di Turing alla nascita del PC, ai primi algoritmi in grado di risolvere teoremi matematici più o meno complessi, fino all’idea di riuscire a risolvere problematiche più vicine alla realtà umana ed arrivare con i primi algoritmi ad apprendimento automatico ad un computer  che nel ‘96 fu in grado di battere il grande campione di scacchi Kasparov.
 
Oggi L’IA è già parte della nostra quotidianità (Siri, Google, Chatbot, riconoscimento immagini, prevenzione frodi, suggerimenti d’acquisto…).
Si parla di Metaverso, siamo vicini all’interazione tra vita fisica e virtuale.
 
Molti libri e film ci propongono una visione apocalittica dell’umanità che soccombe a tutto questo in attesa di un supereroe che la salvi.
 
Ma chi è questo Super-Eroe? sarà necessario? In realtà sappiamo che il progresso tecnologico aiuta l’uomo in diversi ambiti. Possiamo realmente soccombere ad una macchina? o è il caso di pensare che l’uomo può soccombere solo a stesso?
 
Da circa 10 anni si susseguono dibattiti etici sul condizionamento che gli algoritmi di IA possono avere su esseri umani, società, ambiente.
 
Organizzazioni Mondiali (Unesco), Governi, Istituzioni private hanno prodotto diversi documenti con Raccomandazioni, Regolamenti e Linee Guida per la valutazione dei livelli di Rischio dell’uso di un algoritmo di IA piuttosto che un altro. Il tutto è basato su principi etici e valori che preservano la dignità Umana. Ma questo può bastare a tutelare la dignità umana?
 
E allora si! C’è bisogno di un Supereroe. Perché non dobbiamo rinunciare al progresso tecnologico, dobbiamo amarlo e pretenderlo ma a nulla servirà l’etica dell’IA alla tutela dell’umanità se ogni singolo individuo non sceglie di diventare quel supereroe i cui superpoteri restano “solo” il libero pensiero e la voglia di emozionarsi. 🙂
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'Noi e il Mago di OZ' di Alma Marzia Maisto

19/2/2023

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Chi da piccolo non ha visto almeno una volta Il mago di Oz? E chi da adulto non ha avuto la curiosità di riguardarlo? Non è difficile imbattersi in questo film musicale. Nel tempo è divenuto un classico del palinsesto televisivo italiano durante il periodo delle feste natalizie. Stiamo parlando della versione cinematografica del 1939. Il regista è Victor Fleming, quello di Via col vento, e la protagonista femminile è una giovanissima Judy Garland che interpreta il ruolo di Dorothy Gale. Il film è tratto dal celebre romanzo per ragazzi Il meraviglioso mago di Oz di L. Frank Baum che venne pubblicato per la prima volta il 17 Maggio del 1900. A quei pochi che non hanno mai visto il film sono certa che, almeno la canzone vincitrice di un Oscar, Somewhere over the rainbow dica qualcosa. Questa canzone divenne un cavallo di battaglia del repertorio della Garland e fonte d’ispirazione per numerose cover nel corso degli anni. Si ascolti ad esempio la meravigliosa versione fatta con l’ukulele dall’hawaiano Israel Kamakawiwo’Ole.

Il mago di Oz è davvero interessante perché, se si osserva più da vicino la storia raccontata, riesce ad offrirci diversi spunti di riflessione.
Pensiamo ad esempio ai tre personaggi che Dorothy incontra lungo il sentiero fatto di mattoncini dorati: lo Spaventapasseri, l’Uomo di Latta, il Leone. Lo Spaventapasseri soffre per il fatto di avere solo della paglia al posto del cervello. Si sente uno stupido. A quanti di noi è capitato di sentirsi come lo Spaventapasseri? Ovvero non abbastanza intelligenti e brillanti? Quante volte non ci siamo sentiti all’altezza di una situazione che stavamo vivendo?
L’Uomo di Latta è un falegname con il corpo di latta dentro al quale non ha un cuore e questo lo fa sentire vuoto di sentimenti. Quante volte anche noi, come l’Uomo di Latta, ci siamo chiesti se siamo in grado di amare davvero? Se il nostro cuore riesce a battere per qualcosa o per qualcuno?

Il Leone ha paura. Teme tutto, perfino la sua stessa ombra, e vorrebbe tanto smettere di essere così pauroso. Quante volte anche noi abbiamo provato paura e siamo scappati davanti alle difficoltà convinti di non riuscire a farcela? Quante volte abbiamo desiderato essere più coraggiosi e forti?

Questi personaggi pensano di avere una grossa mancanza interiore ed è proprio questa presunta mancanza a farli sentire incompleti e quindi infelici. In realtà, durante le avventure vissute con Dorothy, prima per raggiungere il palazzo in cui vive il Mago di Oz, e poi per ottenere la scopa della perfida strega dell’Ovest, ognuno di loro dimostrerà di avere ciò di cui si sente carente. Lo Spaventapasseri brillerà per astuzia e intelligenza. L’uomo di Latta sarà premuroso e amorevole. Il Leone mostrerà coraggio al momento opportuno. Ci vorrà però, alla fine della storia, l’intervento del Mago di Oz per risvegliare la loro consapevolezza assopita. Egli farà infatti comprendere allo Spaventapasseri, all’Uomo di Latta e al Leone, che hanno già dentro di loro quello che cercano. Lo farà portando l’attenzione sul loro operato e assegnando ad ognuno un oggetto simbolico, ossia: un attestato che dimostra l’intelligenza allo Spaventapasseri, un orologio a forma di cuore all’Uomo di Latta, una medaglia al valore al Leone. In certe occasioni un coach dev’essere come il mago di Oz. Dev’essere in grado di far cogliere al cliente che le caratteristiche che pensa di non avere invece le possiede. Deve saper valorizzare il potenziale della persona che a lui si rivolge. Quante volte infatti è stato grazie allo sguardo di un osservatore esterno che ci siamo resi conto di quanto ci sbagliassimo sul nostro conto? Di quanto ci giudicassimo duramente causandoci da soli tanta inutile frustrazione e sofferenza? A volte, per stare bene con noi stessi, occorre che qualcuno di saggio ci mostri che abbiamo già dentro di noi quello che ci serve. A volte avere con sé qualcosa di simbolico da guardare può ricordarci quello che, da soli, dimentichiamo di possedere. Può essere ad esempio: un tatuaggio sul corpo, un gioiello particolare, una foto di un nostro successo o un diploma appeso al muro.

Il mago di Oz è sicuramente anche una storia sulla forza dell’amicizia. L’amicizia tra Dorothy e il suo cagnolino Totò dal quale lei non vuole separarsi costi quello che costi. L’amicizia tra Dorothy e lo Spaventapasseri, l’Uomo di Latta e il Leone. Tutti assieme affrontano l’avventura in questo mondo incantato. È il sostegno che si danno reciprocamente a far sì che tutto finisca bene e che ognuno possa ottenere il risultato desiderato. L’unione fa la forza infatti, non è solo un modo di dire, ma è qualcosa di reale e sperimentabile da ognuno di noi. In quante occasioni difficili l’avere accanto un amico ci ha fatto sentire meglio? Avere una rete di persone alla quale fare riferimento aiuta.

Se si segue la strada dei mattoncini dorati non ci si perde. Restare in un cammino retto e amorevole consente di non smarrirsi. I nostri eroi ascoltano le parole di Glinda, la strega buona del Nord, la quale rappresenta la protezione che proviene dal divino e che ognuno di noi possiede anche quando sembra tutto perduto. La strega dell’Est non può infatti nulla dinnanzi al buon cuore di Dorothy e al bacio di protezione che Glinda ha dato alla bambina e alla fine soccombe, con tutta la sua invidia e cattiveria, sciolta dall’acqua che tutto purifica.
Portiamo poi l’attenzione all’elemento tornado. Il tornado che colpisce la fattoria di Dorothy, e che la catapulta in un’altra realtà lontana dal Kansans, può essere paragonato ad un evento non previsto che potrebbe capitare ad ognuno di noi. All’improvviso, in un attimo, tutto può cambiare. All’imprevedibilità della vita si può reagire in modi diversi. Dorothy vive il cambiamento apportato dal tornado senza perdersi d’animo. È infatti determinata a lasciare il mondo di Oz e a tornare a casa. È disposta ad affrontare tutti gli ostacoli pur di realizzare ciò che per lei conta e lo fa senza snaturarsi ma dimostrando, in ogni occasione, la sua gentilezza e bontà.  Dorothy diventa così un esempio di come sia possibile affrontare in modo costruttivo gli accadimenti dolorosi della vita.

Un altro aspetto che si può cogliere da questa vicenda fantastica, è che essa mette in evidenza come possa capitare che sia proprio la lontananza dalla nostra solita vita a farci apprezzare ciò che già abbiamo. Dorothy trova meraviglioso il mondo di Oz e si affeziona sinceramente ai suoi nuovi amici ma sente che il suo posto è altrove, ovvero alla fattoria. Quante volte ci è capitato di desiderare di sbattere tre volte i tacchi delle nostre scarpette rosse per poterci ritrovare subito a casa e salvarci così da situazioni che in realtà non sentivamo affini a noi stessi e ai nostri bisogni? Perché spesso come dice Dorothy: ‹‹Non c’è nessun posto come la propria casa››. E se pensiamo a la casa, non solo come al luogo fisico in cui viviamo, ma anche ad una dimensione interiore di amore e sicurezza alla quale poter sempre tornare, credo che possiamo dirci tutti d’accordo con la piccola Dorothy.
​
Somewhere, over the rainbow,
Skies are blue
And the dreams that you dare to dream,
Really do come true.
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'Ansia e sani stili di vita: cosa fare?' di Lorenzo Manfredini

18/2/2023

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L'ansia e lo stile di vita sono strettamente intrecciati. Adottare uno stile di vita sano può aiutare a ridurre i sintomi di ansia e migliorare il benessere generale. Ecco cosa le ricerche consigliano:
  1. Equilibrare la propria dieta: Alcuni studi suggeriscono che l'assunzione di nutrienti come acidi grassi omega-3, magnesio e vitamina B può ridurre i sintomi di ansia. Evitare alimenti come caffeina, alcol e zuccheri raffinati può essere utile per alcune persone.
  2. Fare esercizio fisico regolare: L'esercizio fisico è stato dimostrato efficace nel ridurre i sintomi di ansia. Aiuta a ridurre la tensione muscolare e lo stress, migliorare l'umore e aumentare la sensazione di controllo sulla propria vita.
  3. Dormire un numero di ore adeguato: La privazione del sonno può aumentare i sintomi di ansia e lo stress. Si raccomanda di avere almeno 7-8 ore di sonno notturno di qualità per promuovere il benessere generale e ridurre l'ansia.
  4. Ridurre gli stimoli stressanti: Lo stress cronico può aumentare i sintomi di ansia e compromettere il benessere generale della persona. Tecniche di rilassamento come la meditazione, la respirazione profonda, il rilassamento muscolare progressivo e lo yoga possono essere utili per ridurre lo stress e migliorare la gestione dell'ansia.
In sintesi, uno stile di vita sano può aiutare a ridurre i sintomi di ansia e migliorare il benessere generale. Tuttavia, è importante sottolineare che l'ansia è un disturbo complesso e può richiedere un trattamento professionale, quindi è sempre importante consultare un esperto del settore.
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'Quando ascoltare è meglio che parlare' di Francesco Caligiuri

17/2/2023

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Qualche volta vi sarà certamente capitato di provare fastidio, quando un vostro interlocutore continua a interrompervi, mentre cercate di portare a compimento un discorso o quando il suo sguardo risulta distratto e assente, ritenendo di non essere ascoltati.
Proviamo a pensare ad una relazione di coppia: quando uno dei due è sovrastato dai propri impegni lavorativi, non vede, non sente e non percepisce le esigenze dell’altro, anche se queste vengono manifestate.
Ciò può condurre a vere e proprie difficoltà di comunicazione, e con il tempo, anche alla rottura della coppia.
Diversamente, si pensi ad un capo, un dirigente sportivo, un leader di un’azienda, che non ascolta un subalterno: anche detta circostanza può determinare delle difficoltà nella realizzazione di un progetto o nel raggiungimento di un obiettivo (cfr. di un atleta e/o di una squadra).
Per costruire delle relazioni positive, che siano all’interno di una coppia, interpersonali, sociali, lavorative, è necessario comunicare in maniera efficace, ma soprattutto è necessario saper ascoltare!!
Ma saper ascoltare non è da solo sufficiente, occorre infatti imparare a far delle domande in maniera umile, interagire con gli altri, costruire delle relazioni fondate sul rispetto e sulla consapevolezza, perché gli altri potrebbero essere a conoscenza di cose di cui tutti noi abbiamo bisogno di apprendere, per poter svolgere al meglio una data attività e/o migliorare un rapporto di coppia o un qualunque altro legame.
Quando il dialogo non raggiunge l’effetto sperato, le cause possono essere molteplici: si rifugge il problema, la discussione degenera in scontri verbali, si vuole soltanto manifestare la propria superiorità, etc.
In tal caso, è necessario chiedersi cosa è andato storto e cosa avremmo potuto fare per ottenere risultati migliori.
 
In pratica, per migliorare dovremmo fare tre cose:
  1. Abituarci a dire di meno;
  2. Imparare a domandare, facendolo con umilta’;
  3. Diventare ottimi ascoltatori, riconoscendo gli altri.
 
“La ragione per cui abbiamo due orecchie ed una sola bocca è che dobbiamo ascoltare di più, parlare di meno.”
– Zenone, filosofo greco
Dunque, per creare ottime relazioni occorre evitare di esprimere giudizi di valore su quanto il nostro interlocutore dice, osservare ed ascoltare, cercando di comprendere lo stato d’animo di costui.
Mettersi nei panni dell’altro e assumere il suo punto di vista è, infatti, un modo per aumentare l’empatia.
Verificare il più possibile di avere compreso quanto sta dicendo, sia a livello di contenuti, che di emozioni, componendo altresi’ domande aperte, che aiutino l’altro nell’esposizione, è molto importante, perché mette questi a proprio agio e fa nascere una vera e propria sintonia, che determinerà la relazione.
 
“Saper ascoltare l’altro ci permette di riconoscere i mille volti della realtà” - Carl Rogers
 
In conclusione:
la capacità di ascoltare è un potente strumento di comunicazione, che ci consente di entrare in sintonia con gli altri e migliorare molto le nostre relazioni.
Ci consente pure di mantenere la nostra mente aperta e creare empatia.
Un bravo ascoltatore ha più possibilità di successo nella vita, riesce ad esprimere un importante interesse nei riguardi degli altri e attira maggiormente il prossimo a sé.
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'L'importanza del benessere fisico nella felicità: un viaggio interiore tra prove e sofferenze'

8/2/2023

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Forse è la prova più difficile!
O forse ce ne saranno altre che mi metteranno in ginocchio, altre prove in cui la vita mi chiederà di rialzarmi in qualche modo, o di starmene distesa come adesso!
Vivere e soffrire! Forse è la riprova che sono viva e che per quanto sia terribile da accettare, la nostra felicità dipende soprattutto dal benessere del corpo.
Che la mente si inerpichi a volte su sentieri pericolosi, credo sia normale. Un fuoristrada che conduce a volte fra ottusi boschi dove le cime degli alberi così fitti, ci impediscono di vedere il cielo; a volte sono paludi vere e proprie e possiamo trascorrere il nostro tempo immobile nell'attesa di qualcuno che ci tenda una mano. Altre volte sono prati e distese profumate e fredde o nudi paesaggi crudi come non avremmo mai immaginato di poter sentire la terra sotto i piedi!
Ma senza il corpo che si muove anche i nostri pensieri diventano fissi!

Ripenso ai miei passi in questa esistenza, penso all'amore soprattutto che mi lascia sempre una sensazione di disagio per il terrore della perdita, del lutto o dell'abbandono; il senso vuoto di mancanza. Eppure mai come adesso, sento il bisogno di avere il mio amore condiviso, di sentire la fusione, il profumo di un angolo di pelle su cui addormentarsi che mi faccia sentire sicura.
Penso ai miei piedi, quelli che correvano veloci sotto la pioggia e mi facevano sentire invincibile; quegli stessi piedi che mi facevano nuotare in apnea fin da quando ero una bambina. Penso ai miei piedi saldi sul gommone quando navigavo per il mare alla ricerca di una baia dove pescare o godermi il sole.
Penso ai “piedi” del mio cane, alle sue zampone che mi corrono a fianco.
Penso a tutti questi passi, al sù e giù incessante davanti a una porta o attraverso un'aula, piedi mossi dall'ansia e dall'inquietudine, dal desiderio, dal divenire...dai sogni. Penso ai chilometri percorsi nel mio laboratorio di galvanica....ho costruito anche quello con la mia passione! Ora è tutto senza di me!

In questi giorni di estremo dolore, i miei piedi sono fermi, per la maggior parte delle mie infinite giornate ma i pensieri invece, quelli no!
Non so come fare, o meglio non so cosa farmene di tutto questo dolore nell'attesa di un'operazione che mi spaventa; eppure mi sento stranamente calma, rassegnata alle cose sulle quali non ho alcun controllo.
Mi accorgo che più divento consapevole di questo e più cerco di controllare tutto il resto nella misura del mio fragile mondo fra queste mura!
Centimetro su centimetro, fino all'ossessione. Scandisco le mie giornate con programmi proficui e precisi al ritmo degli antidolorifici, mi circondo di cose che posso controllare al meglio, qualcosa che forse dentro di me, spero che resti nei giorni difficili che dovrò affrontare; come se le cose che faccio oggi potessero restare vive e occupare la mia casa e i miei affetti durante la mia assenza, colmando la mia mancanza oppure il mio senso di mancanza!?

La perdita delle abitudini, delle abilità, degli scopi....la perdita del tempo buono trascorso a vivere bene, a lavorare, a inseguire degli obiettivi proficui; le persone con cui non condivido la quotidianità, il lavoro, gli allenamenti, le cene, lo sport, le passeggiate, la neve, il mare...il cielo. Certo perchè, in questi 48 giorni di dolore, la cosa che mi manca di più è alzare gli occhi al cielo.
Sprofondo nell'oscurità dei “perchè”, come in un altro incubo, un'altra malattia. Cado nel buio della solitudine che ho sempre tanto agognato: ora non so che farmene!!!
​
Nell'altalena dei sentimenti decido che non c'è niente che posso fare, non c'è nulla che posso controllare se non i miei pensieri mentre accarezzo il mio cane. Mi dedico all'amore che ho senza pensare a cosa può cambiare.
Chiudo gli occhi e immagino il cielo, penso a quando il mio amore grande mi porterà al mare!
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Quanto spazio c'è nel cuore? di Gian Luca Capuzzo

6/2/2023

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Quanto spazio abbiamo nel cuore? A quante persone, animali o cose ci possiamo affezionare? Il livello di amore che si prova per una persona o un'altra riduce in modo proporzionale lo spazio del nostro cuore oppure è solo una casella di tante occupata?
Sarebbe utile poter considerare il cuore come uno strumento tecnico dove possiamo mettere amori ed affetti in modo schematico e non doverci preoccupare di quanto spazio c’è dentro, perché quando è pieno basta fare un poco di pulizia, come negli armadi in primavera, per poter ospitare altro.
Ma quanto spazio c’è? Possiamo aumentarlo?
Nella mia vita di sportivo ed apneista ho imparato che per esempio il volume polmonare può essere aumentato di parecchio se ci alleniamo nello stretching dell’apparto scheletrico/muscolare correlato all’atto respiratorio, e se potessimo espandere lo spazio nel nostro cuore?
potremmo voler bene a tutti e tutto in modo indiscriminato?

Mi sa tanto che sto facendo un volo pindarico, ma nella mia esperienza di vita sempre più mi rendo conto che ho spazi limitati per affetti ed interessi che coinvolgano i sentimenti che in modo molto romantico e poco scientifico attribuiamo poeticamente al cuore.
Come possiamo allenarci per espandere questa abilità? Ed ancora sarebbe giusto farlo o meglio lasciare le cose come sono?

Se conto tutti i punti interrogativi usciti da queste poche righe mi sento ubriaco.
Decidiamo se dirigere i nostri affetti ad una persona piuttosto che ad un'altra a seconda di tante variabili, spesso ci si affeziona di più a tizio che a caio perché troviamo delle affinità maggiori con l’uno piuttosto che con l’altro, ma penso che le affinità siano anche strettamente legate all’accettazione delle differenze tra individui, e se ancora penso che sto bene quando spingo i miei affetti verso qualcuno mi viene da chiedermi…E se volessi bene a tutti ed a tutto? Utopisticamente starei benissimo sempre e comunque?
Si! Sicuramente questo è un gran bel volo pindarico!
Ma gli interrogativi restano, stimolano molto la mia curiosità, riuscirò a trovare un buon allenamento per il cuore?
In ambito sportivo si usa spesso il detto inglese, “no pain no gain” ed infatti le delusioni affettive fanno male ma ci danno esperienza di vita.

Le domande e gli interrogativi restano, proviamo a vivere giorno dopo giorno e vedere come va?
Penso sia una strategia attuabile…
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'Schiuma dei motori, pensieri sulla felicità' di Lorenzo Manfredini

6/2/2023

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Oh, ma quanto è noioso parlare di felicità come se fosse solo un'equazione chimica nella nostra testa! La felicità è molto di più che solo un aumento di endorfine, serotonina, dopamina, ossitocina e una diminuzione di cortisolo. La felicità è un'onda montante che ti fa sentire vivo, un tripudio di sensazioni, pensieri e movimenti che ti fanno sentire in pace con il mondo. Ieri ero sulla barca e guardavo le onde sollevate dai motori. Era come se le bolle che si formavano fossero la felicità, eppure sapevo che quel momento sarebbe durato poco. Ma questo non significa che la felicità non valga la pena di essere vissuta! La felicità è una finestra che si apre e si chiude, ma ogni volta che lo fa, ci permette di guardare fuori e vedere il mondo sotto una luce diversa.

Sì, viviamo in tempi difficili, con pandemie, crisi economiche, polarizzazione politica e incertezza per il futuro che sembrano essere dappertutto. Ma nonostante tutto questo, la felicità è ancora possibile. La felicità non dipende dalle circostanze esterne, ma da come decidiamo di vederle. Sì, la vita può essere dura, ma è anche piena di benedizioni e opportunità.
È importante concentrarsi sulle cose positive, essere grati per quello che abbiamo e coltivare relazioni sane con le persone che amiamo. E poi c'è la scelta. Possiamo scegliere di impegnarci in attività che ci fanno sentire felici e soddisfatti, come leggere un libro, fare esercizio fisico o trascorrere del tempo all'aria aperta. E non dimentichiamo l'importanza di prenderci cura di noi stessi.

La felicità non può essere raggiunta se non siamo sani sia fisicamente che mentalmente; quindi, dobbiamo prenderci il tempo di nutrire il nostro corpo e la nostra mente, e di praticare l’auto cura. In definitiva, la felicità è un'avventura, un'esperienza unica che ognuno di noi vive in modo diverso. Ma questo non significa che non possiamo godercela appieno! Scegliamo di essere felici, di concentrarci sulle cose positive e di prenderci cura di noi stessi. La felicità è una bolla di schiuma sul mare della vita, ma è una bolla che vale la pena di essere vissuta.
Questo significa prenderci cura della nostra salute fisica, nutrire la mente con esperienze positive e praticare la meditazione o la riflessione per mantenere la pace interiore. In definitiva, la felicità è un'esperienza unica e personale, e dipende da molteplici fattori, tra cui le circostanze della vita, le nostre scelte e il modo in cui percepiamo le cose. Tuttavia, nonostante la vita possa essere difficile a volte, la felicità è sempre possibile se scegliamo di concentrarci sulle cose positive, di prenderci cura di noi stessi e di impegnarci in attività che ci danno gioia e soddisfazione. Quindi, amici miei, non arrendiamoci alle difficoltà della vita! Andiamo avanti, facciamo del nostro meglio, e scegliamo di essere felici!
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'A proposito di bellezza' di Monia Da Lozzo

1/2/2023

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“Perché le persone, poi, ti guardano in un certo modo…”, mi fu detto nella buon’ora di una domenica mattina, durante una colazione di caffè caldo e croissant vegano.
Lì per lì, non diedi molta importanza alle parole dette, ma nei giorni a venire cominciarono a risuonarmi nella testa.
 Scusami Orazio, ma che cosa intendevi domenica mattina con quella frase, sulle persone che ad un certo punto, mi guardano in un certo modo?
Sai Orazio, queste tue parole mi hanno fatto riflettere.
Vedi Monia, le persone apprezzano la tua bellezza e i tuoi occhi sono lo specchio della tua anima.

“La bellezza può consolare o turbare; può essere sacra o profana; può essere divertente, stimolante, ispiratrice, raggelante. Può influenzarci in infiniti modi, ma mai viene considerata con indifferenza: la bellezza esige di essere notata”.

Con queste parole, il filosofo inglese Roger Scruton, apre il suo ultimo saggio sul significato della bellezza e sul posto che occupa nella nostra vita. Ci porta a riflettere sulla nostra esperienza di bellezza e trovare il senso delle emozioni, che essa suscita in noi.
E la bellezza, ha radici che si possono ricercare nei pensatori classici, dove Platone vede il bello come una via che conduce al trascendente o, a Tommaso D’Aquino che la erge a un dono di Dio.

La bellezza è parte di noi, è parte della nostra vita e la bellezza ci aiuterà a salvare il mondo, con la sua grande capacità di sconfinare in un universo che ci accoglie.​

La vera bellezza, ha un valore autentico perché è intrinseco e indissolubile, capace di smontare lo stereotipo dell’effimero.
E la differenza, sta semplicemente negli occhi di chi la guarda.
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'Temi caldi' di Lorenzo Manfredini

29/1/2023

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Temi caldi e di interesse in ambito coaching e counseling:
  • Uso del coaching per lo sviluppo delle competenze e della leadership
  • Utilizzo del counseling per la gestione dello stress e del benessere mentale
  • Integrazione di tecniche di training mentale, mindfulness e meditazione nel coaching e nel counseling
  • Uso del coaching e del counseling per la gestione dei cambiamenti e dei transiti di vita
  • Approccio centrato sulla persona e la terapia centrata sull'esperienza
  • Utilizzo di tecniche di coaching e counseling per il successo professionale e personale
  • Comprensione e utilizzo dell'Intelligenza Emotiva nell'ambito del coaching e del counseling
  • Utilizzo della tecnologia e della comunicazione digitale per il supporto al coaching e al counseling a distanza.
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Coaching e Counseling online e a distanza 

Il coaching e il counseling online e a distanza stanno diventando sempre più popolari negli ultimi anni, offrendo una maggiore comodità e accessibilità a coloro che cercano supporto professionale. Tuttavia, come con qualsiasi metodo di supporto, ci sono pro e contro nell'uso del coaching e del counseling online e a distanza.

In primo luogo, un vantaggio del coaching e del counseling online e a distanza è la maggiore accessibilità. Con la possibilità di incontrarsi virtualmente, le persone possono accedere a supporto professionale da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, senza la necessità di spostarsi. Inoltre, per coloro che vivono in zone remote o che hanno difficoltà a spostarsi, l'opzione del coaching e del counseling online e a distanza può essere una benedizione.

Inoltre, il coaching e il counseling online e a distanza possono essere più convenienti rispetto alle opzioni tradizionali. Con la possibilità di programmare incontri virtuali, le persone possono adattare il supporto professionale alle loro esigenze e preferenze.

Un altro vantaggio del coaching e del counseling online e a distanza è che può essere meno intimidatorio per alcune persone. La possibilità di comunicare virtualmente può rendere più facile per alcune persone condividere i loro pensieri e sentimenti con un professionista.

D'altra parte, ci sono anche alcuni svantaggi nell'uso del coaching e del counseling online e a distanza. In primo luogo, la dipendenza dalla qualità della connessione internet può essere un problema. Se la connessione non è stabile, può essere difficile mantenere una comunicazione efficace tra il coach o il counselor e il cliente.

Inoltre, l'interazione fisica tra il coach o il counselor e il cliente è limitata nella terapia online e a distanza, il che può essere un problema per alcune persone. Alcune persone potrebbero sentire la necessità di avere un contatto fisico con il loro coach o counselor per sentirsi a proprio agio e per ottenere il massimo beneficio dalla terapia.

Inoltre, per alcune condizioni cliniche, come ad esempio i disturbi dell'alimentazione, il coaching e il counseling online e a distanza potrebbe non essere la scelta più appropriata. In questi casi, il coaching e il counseling tradizionali potrebbero essere più efficaci poiché il professionista ha la possibilità di valutare la situazione fisica del cliente e di fornire un supporto immediato.

In generale, il coaching e il counseling online e a distanza possono essere un'opzione valida per molte persone, soprattutto per coloro che hanno difficoltà a spostarsi o che vivono in zone remote. Tuttavia, è importante tenere presente che non tutti i clienti possono trarre beneficio dall'incontro online e a distanza e che alcune condizioni cliniche potrebbero richiedere un supporto tradizionale.

Prima di scegliere di fare coaching o counseling online e a distanza, è importante valutare le proprie esigenze e preferenze e discutere con il proprio coach o counselor per capire se questo metodo di supporto è adatto per te. Inoltre, è importante assicurarsi di scegliere un professionista qualificato e di verificare che abbia le competenze per fornire un supporto efficace attraverso l'incontro online e a distanza.

In generale, l'incontro online e a distanza può essere una valida opzione per coloro che cercano supporto professionale, ma è importante valutare i propri bisogni e discuterne con un professionista qualificato per determinare se è la scelta giusta per te.
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I nostri ospiti indesiderati: i «tasti dolenti», di Cosimo D'Ambrosio

28/1/2023

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​Quante volte ci è capitato di avere comportamenti inadeguati o reazioni impulsive causati da parole o commenti altrui, apparentemente banali, che hanno improvvisamente risvegliato in noi emozioni negative, quali rabbia, frustrazione o vergogna?
Si tratta dei c.d. tasti dolenti, ovvero di condensati emotivi e psicologici collegati ai vissuti della nostra infanzia, che fanno riemergere esperienze dolorose, capaci di influenzare negativamente le relazioni con noi stessi e con gli altri, soprattutto quando si vivono episodi conflittuali.
In altri termini, i tasti dolenti sono quelle risonanze che ci fanno stare talmente male da non permetterci di gestire un conflitto, in quanto rievocano una ferita prolungata della vita infantile.
Ognuno di noi ha una frase particolare che lo ferisce, del tipo: “Non ce la farai mai…”; “Con te non si può parlare…”; “Appena c’è un problema, tu molli…”.
Sono parole o frasi che, nell’intenzione di chi le pronuncia, non devono necessariamente avere il significato di un’offesa e, tuttavia, esse hanno il potere di raggiungerci diritte alla pancia, ci fanno male e ci provocano sensazioni pesanti e difficili da elaborare.
A ben vedere, non si tratta semplicemente di parole o commenti che non ci piacciono, ma di frasi che ci lasciano storditi e a disagio, frustrati e impotenti. Esse rappresentano un magma emotivo e biografico, che si muove all’interno delle nostre percezioni e proiezioni della realtà, e che va posto in relazione a tempi lontani, quando cercavamo di farci notare dai nostri genitori, sforzandoci di dimostrare che valevamo qualcosa, anche se ci sentivamo rispondere: “Se non sai farti rispettare…”; oppure: “Taci, che è meglio!”.
Queste parole, quando ci capita di riascoltarle, hanno il potere di risvegliare reazioni di rabbia e di sconforto, perché appartengono ad un sottofondo della nostra anima, e cioè a quella parte della nostra storia che riemerge di tanto in tanto. Diventa importante, quindi, saper gestire questi «nervi scoperti», imparando, prima di tutto, a riconoscerli e, poi, a capire come governarli.
Si tratta, a ben vedere, di piccole “falle” che drenano energie ed emozioni; è un terreno che non conosciamo bene e su cui non siamo in grado di esercitare né una consapevolezza né un vero e proprio cambiamento. Per questo dobbiamo imparare a riconoscere quello che ci sta alle spalle, cercando di superare gli ostacoli che la vita ci presenta.
Abbiamo bisogno di percorsi che rispondano alle nostre necessità emotive più profonde e che rappresentino i bisogni di risarcimento e di compensazione rispetto alle mancanze subite in passato. Tuttavia, dobbiamo prestare attenzione al fatto che l’attivazione di un tasto dolente, imponendoci di “difendere” il bambino ferito che è dentro di noi, crea - a livello inconscio - un desiderio di ottenere giustizia che, però, sortisce l’opposto effetto di deformare la realtà.
Peraltro, se è vero che in alcune situazioni riusciamo a controllare e ad addomesticare il tasto dolente, in altre esso prende il sopravvento, trasformandosi in furia, in refrattarietà, in paura o in altre modalità emotive che non ci consentono di affrontare adeguatamente le relazioni con gli altri.
Il rischio, quindi, è che ne nascano comportamenti disfunzionali motivati dal bisogno di difendere la piccola vittima di un “torto” che, a distanza di molto tempo, rimane incistato nel profondo, aspettando un risarcimento. 
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'M15 - Master in Mental Training e Coaching' di Lorenzo Manfredini

31/12/2022

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Il 21/22 Gennaio 2023 inizia il Master M15
Il Master in Mental Training e Coaching è un corso di formazione di livello avanzato progettato per aiutare i partecipanti a sviluppare le competenze necessarie per diventare Mental Trainer e Coach professionisti.
Per capire la varietà e la qualità dei programmi precedenti si consultino gli approfondimenti dei corsi M13 e M14.
Durante il corso M15, i partecipanti impareranno le tecniche più innovative e efficaci di Mental Training e Coaching, sviluppate dai nostri esperti nel campo.

Il Mental Training è una disciplina che si occupa di sviluppare le prestazioni mentali di un individuo, sia a livello personale che professionale. Utilizza tecniche di visualizzazione, concentrazione, motivazione, gestione dello stress e altre ancora per aiutare le persone a raggiungere il massimo potenziale.

Il Coaching, d'altra parte, è una disciplina che si occupa di aiutare le persone a raggiungere i loro obiettivi personali e professionali attraverso il supporto e il mentoring. Un Coach professionista lavora con i clienti per aiutarli a sviluppare le competenze e le strategie necessarie per raggiungere i loro obiettivi.

Il Master in Mental Training e Coaching è progettato per aiutare gli individui a sviluppare le competenze necessarie per diventare esperti in entrambe le discipline. Durante il corso, i partecipanti impareranno le tecniche avanzate di Mental Training e Coaching e svilupperanno le competenze necessarie per aiutare gli altri a raggiungere il massimo potenziale.

Il corso è strutturato in modo da offrire una formazione pratica e coinvolgente, con lezioni teoriche, esercitazioni pratiche e casi studio. I partecipanti avranno l'opportunità di mettere in pratica le tecniche appena imparate e di ricevere il feedback degli esperti del nostro team.

Il Master in Mental Training e Coaching è adatto a chiunque sia interessato a sviluppare le proprie competenze in queste discipline e a utilizzarle per aiutare gli altri a raggiungere il massimo potenziale. Non è necessario avere alcun background specifico per partecipare al corso; tuttavia, è richiesta una forte motivazione a imparare e a mettere in pratica le tecniche di Mental Training e Coaching.

Al termine del corso, i partecipanti avranno sviluppato le competenze necessarie per diventare Mental Trainer e Coach professionisti. Saranno in grado di utilizzare le tecniche di Mental Training e Coaching per aiutare gli altri a raggiungere il massimo potenziale e a superare gli ostacoli che si presentano nel percorso verso il successo.

Se sei interessato a diventare un Mental Trainer o un Coach professionista e a imparare le tecniche avanzate di Mental Training e Coaching, il Master in Mental Training e Coaching è il corso perfetto per te. Iscriviti oggi stesso e inizia il tuo percorso verso il successo.

Il programma è consultabile alla pagina/link M15: 
​https://stepc-academy.thinkific.com/courses/master-in-mental-training-e-coaching
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'Inversione dell'onere della prova' di Enrico Cavallari

31/12/2022

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Mi sono imbattuto qualche tempo fa in questa definizione tipica della retorica e con connessioni in campo legale, un po’ astrusa, che mi ha fatto riflettere molto sulle attuali dinamiche sociali.

L’inversione dell’onere della prova è una fallacia logica. Funziona così: qualcuno fa un’affermazione non provata e chiede al suo interlocutore dubbioso di provare che quell’affermazione è falsa.
Capita sovente di riconoscere questa dinamica provocatoria tipicamente quando si affrontano temi ideologici  non scientifici come ad esempio conflitti sul tema del complottismo (negazionismi come no vax, no Covid, scie chimiche, no war , ecc.) e altrettanto tipicamente si innescano dinamiche non inerenti il tema in sè, ma che sfociano in psichiatriche esigenze dell’esercizio dell’Io in modo suprematista.
Perché oggi questo accade sempre più spesso?
Probabili trigger sono innescati dalla paura e dalla necessità di rifugio rispetto ad un contesto sempre più stressante e incerto. Le fonti di stimolo peraltro sono sistemiche, specchio di una società inquieta e disagiata: i social, che in una logica primevamente democratica non filtrano (ancora) sulla veridicità o autenticità delle informazioni, o i grandi manipolatori (Donald Trump ne è un fulgido esempio, interpretando alla lettera il concetto di cui sopra, negando ogni evidenza, rispedendo al mittente ogni accusa e falsificando artatamente la realtà personale e ideologica, come ad esempio la sua campagna di negazione dello riscaldamento climatico globale).
Assistiamo ad un medioevo oscurantista culturale, dove la fiducia nelle competenze, la specializzazione, lascia spazio a paura e dissociazione disidentificazione dal sistema sociale in una logica di isolamento 
Che fare quindi? In particolare per la cintura sociale di riferimento, accettare e accogliere il cambiamento dei propri cari, evitando il conflitto ed esercitare/proporre esercizi di mindfulness e cioè di consapevolezza, ove possibile.
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'Storytelling' di Stefano Orlandini

31/12/2022

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​La narrazione è la più antica forma di insegnamento. Ha legato le prime comunità umane, dando ai bambini le risposte alle più grandi domande della creazione, della vita e dell’aldilà.
Le storie ci definiscono, ci modellano, ci controllano e ci rendono umani. Non tutte le culture umane del mondo sono alfabetizzate, ma ogni singola  cultura racconta storie.
Le storie sono strumenti efficaci per l’apprendimento grazie alla loro capacità di facilitare i seguenti processi cognitivi.
Concretizzazione : le storie ci aiutano a dare un senso a quello che altrimenti potrebbe essere un soggetto astratto o complesso attraverso la fornitura di collegamenti con esempi tangibili, o concreti.
Assimilazione : l’apprendimento è un processo costante di integrazione di nuove informazioni con le informazioni attuali e le strutture cognitive. L’uso di una storia può essere un modo efficace per introdurre un nuovo argomento a un gruppo , o per consentire loro di vedere le informazioni precedenti attraverso una nuova prospettiva.
Strutturazione : l’uso di storie può supportare il personale o un gruppo nell’applicazione dei concetti che gli sono stati insegnati in altre situazioni, non direttamente legate al contesto iniziale.
Raccontare storie è il “metodo” che usiamo naturalmente per raccontare agli altri le nostre esperienze. Lo storytelling è l’attività sociale e culturale di condivisione di storie, spesso con l’improvvisazione, la teatralità o l’abbellimento.
Gli elementi cruciali delle storie e della narrazione includono la trama, i personaggi e il punto di vista narrativo. Il termine “storytelling” è usato in senso stretto per riferirsi specificatamente alla narrazione orale e anche in senso più ampio per riferirsi alle tecniche usate in altri media per spiegare o rivelare la narrazione di una storia.
I vantaggi più importanti della narrazione possono essere riassunti:
Le storie sono motivanti e divertenti e possono aiutare a sviluppare atteggiamenti positivi verso un argomento. Possono creare il desiderio di continuare a imparare o di essere coinvolti in un argomento.
Le storie esercitano l’immaginazione. Gli ascoltatori vengono coinvolti in prima persona in una storia mentre si identificano con i personaggi e cercano di interpretare la narrazione e le illustrazioni. Questa esperienza immaginativa aiuta a sviluppare il proprio potere creativo.
Ascoltare storie in gruppo è un’esperienza sociale condivisa. La narrazione di storie provoca una risposta condivisa di risate, tristezza, eccitazione e può aiutare a costruire la fiducia degli ascoltatori e incoraggiarne lo sviluppo sociale ed emotivo.
Il pubblico si diverte ad ascoltare le storie più e più volte. Questa ripetizione frequente permette di acquisire alcuni elementi mentre gli altri vengono eccessivamente rinforzati. Le storie contengono la naturale ripetizione di strutture chiave. Questo aiuta a incoraggiare la partecipazione alla narrazione.
L’ascolto delle storie permette al narratore di introdurre o rivedere le narrazioni, che arricchiranno il pensiero dei gruppi e gradualmente entreranno nella loro dimensione.
L’ascolto delle storie sviluppa le capacità di ascolto e di concentrazione attraverso, gli indizi visivi(per esempio , immagini e illustrazioni), la loro precedente conoscenza del funzionamento del linguaggio, la loro conoscenza generale.
Questo permette al pubblico di comprendere il significato complessivo di una storia e di metterla in relazione con la propria esperienza personale.
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'Il Metodo Gordon' di Stefano Orlandini

31/12/2022

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​Quando si parla di “modello (o metodo) Gordon” si identifica un particolare modello educativo fondato sul valore della Comunicazione e sull’importanza delle relazioni tra individui, ovvero sulla fiducia nel potenziale dell’altro, piuttosto che su un sapere pre-determinato  Si tratta di un sistema integrato e circolare per la creazione e il mantenimento di relazioni efficaci tra vari soggetti. Il nome deriva da Thomas Gordon, educatore e psicologo statunitense, candidato parecchie volte al Premio Nobel per la Pace, che ha ideato e realizzato un modello per “agevolare” le relazioni efficaci (e durevoli nel tempo) tra le persone, puntando sulla reciproca soddisfazione e sulla risoluzione dei conflitti.
Lo studioso Gordon comprende, in un periodo quando non era proprio facilissimo parlare di questi argomenti, che sviluppare un “clima” con un’atmosfera affettiva e relazionale favorevole (positiva) è un presupposto fondamentale per un apprendimento di qualità. Per fare questo, secondo lo psicologo americano, è necessario “elevare” la qualità del rapporto che esiste tra educatore e discente… Come farlo in modo semplice e con un approccio in gran parte intuitivo? Il suo “metodo” è basato su un sistema di facili procedure che sono in grado, se applicate con costanza e passione, di produrre autentica Comunicazione interpersonale, relazioni collaborative, negoziazione e, ovviamente, un clima più adatto per una didattica di qualità.
Per Thomas Gordon, senza nessun dubbio, l’educazione è un processo autogestito che deve spingere l’alunno a una maggiore e migliore comprensione di sé stesso. Il compito e il ruolo dell’educatore non è sminuito… anzi. E’ cambiato profondamente. Questo concetto non è stato ben “recepito” proprio a partire dagli Anni ’70 ed ha creato a Gordon non pochi problemi, soprattutto negli ambienti accademici e tra colleghi. Eppure nel corso degli ultimi trent’anni le proposte di Gordon hanno rivelato pian piano tutta la loro “profetica potenza”. Oggi, nell’ambito della nuova Scuola che spesso “subisce” e non “gestisce” le profonde trasformazioni che provengono dagli straordinari input esterni forniti dalla “rivoluzione digitale”, ecco che le proposte di Gordon sono diventate attualissime, anzi, per certi versi necessarie. Come già da lui pre-annunciato, la figura dell’insegnante è quella di un “regista” o di un “facilitatore”, che ha il compito primario di “stimolare” e “guidare” le attività (percorsi) di formazione. Il suo compito non sarà più quello di chi passa delle informazioni/nozioni a qualcun altro… o comunque lo sarà sempre di meno!
Nel modello Gordon il “facilitatore” è colui che grazie alla competenza dell’Empatia, incoraggia il processo di sviluppo e di crescita della persona… il facilitatore è necessariamente un comunicatore efficace.
Cominciamo dall’Ascolto attivo, una competenza che, molto spesso viene sottovalutata e quindi utilizzata male. Esso non consiste solo nel “prestare attenzione” lasciando parlare l’altro a ruota libera. E’ un’attività che deve coinvolgere tutto il nostro essere, con la mente e con il cuore, rispecchiandosi e rilanciando segnali di accoglienza e comprensione sia verbali che non verbali (posturali). Ad esempio riformulando, chiedendo se abbiamo compreso bene o se è necessario avere maggiori spiegazioni; oppure utilizzando la tecnica delle domande preferibilmente aperte in una fase di impatto. Insomma con l’ascolto attivo cerchiamo “connessione” con gli altri. Quali sono i suoi bisogni? Come sta cercando di comunicarcelo?
Andiamo alla tecnica del “Messaggio IO”. Gordon diceva sempre, niente di più semplice e… di più complicato allo stesso tempo. Consiste nel comunicare all’altro come ci sentiamo in una precisa circostanza, utilizzando NON il “Tu” (diretto o indiretto) bensì utilizzando l’Io…
Questo perché il nostro interlocutore non dovrebbe essere “avvezzo” (abituato) a percepire una richiesta come una pretesa, oppure il suo comportamento come “causa” di un problema. Facciamo un esempio? “E’ colpa tua… quando non mi ascolti (TU) sei un insensibile!”. E’ chiaro che abitudini linguistiche di questo tipo sono riprodotti in migliaia di schemi verbali, utilizzati da tutti noi in tantissimi contesti… ovviamente anche educativi. Gordon si è sempre chiesto con quali conseguenze.
Una delle opere di maggiore impatto a livello mondiale è stata “Insegnanti efficaci” del 1974; qui Gordon individua ed elenca le famose 12 “barriere della Comunicazione” come segni tangibili del nostro rifiuto e che limitano enormemente la “connessione” con gli altri.
Si tratta di atteggiamenti “disfunzionali” che, come spesso accade nel mondo della Comunicazione, vengono sottovalutati e che invece creano chiusura, muro, reazioni negative, pregiudizio e distanza… ecco un elenco: Ordinare ed esigere; Avvertire e minacciare; Fare la morale/la predica; Dare consigli non richiesti; Persuadere con la logica; Fare complimenti o elogi non meritati; Umiliare e ridicolizzare; Diagnosticare e analizzare comportamenti altrui; Consolare o minimizzare; Cambiare argomento; Interrogare e inquisire.
Il modello Gordon ha proposto un contributo determinante per l’argomento della “risoluzione dei conflitti”, non solo in ambito scolastico oppure familiare, ma anche per problematiche inter-culturali e razziali. La proposta dell’autore di Insegnanti Efficaci consiste proprio nella volontà di lavorare per acquisire modelli di Comunicazione alternativi a quelli classici, poco efficaci e spesso violenti già a un primo livello linguistico. Gordon ha praticamente “previsto” già quarant’ani fa come il “sistema” educativo in ambito ampiamente sociale si sarebbe evoluto. Ha compreso che la società ci avrebbe richiesto di non ricorrere solamente a metodi coercitivi o di sottomissione per risolvere le criticità e le difficoltà relazionali… anzi tutt’altro. L’esercizio del “potere” fine a se stesso non permette di esplicitare tutto il potenziale di un educatore o di un genitore (ma anche di un dirigente d’impresa) rispetto ad uno stile fondato sulla ricerca di soluzioni condivise e accettabili per ambo le parti, valorizzando abilità come il problem solving e la negoziazione. Oggi più che mai c’è sempre più bisogno di modelli che possano ispirare la leadership fondata sull’autorevolezza che, invece, modelli coercitivi fondati sull’autorità. E la Scuola sa benissimo quanto importante può risultare questa equazione. In conclusione possiamo dire che il contributo più importante, quasi senza tempo e straordinariamente attuale, che Thomas Gordon ha lasciato con la sua opera è stato quello di farci capire che i conflitti, in una dimensione sociale in rapida trasformazione come la nostra, purtroppo sempre più dominata da modelli “violenti e prevaricatori” (a tutti i livelli), è assolutamente necessario “coltivare” e “trasmettere”, soprattutto verso i giovani, modelli relazionali che siano costruttivi, non violenti, accettanti e rispettosi. E in questo, la relazione docenti-discenti ha un valore altrettanto decisivo come quello genitori-figli.

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'IKIGAI' di Stefano Orlandini

31/12/2022

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L’ikigai è un principio giapponese che può essere interpretato in italiano con le espressioni “ragione per la quale vivere” o anche “ragione della propria esistenza”. Secondo il concetto di Ikigai, ognuno possiede il suo scopo nella  vita, e dunque prima o poi diventa indispensabile ricercarlo. Acquisire consapevolezza circa il proprio scopo migliora la vita sotto moltissimi aspetti, tanti che molti esperti ritengono l’ikigai sia il segreto nascosto dietro la felicità e la longevità del popolo giapponese. Infatti, secondo tali principi, il benessere fisico è strettamente connesso al benessere mentale ed emotivo, che a loro volta sono il prodotto del possedere uno scopo nella vita.  Ken Mogu, neuroscienziato nipponico, nel suo manuale afferma che l’ikigai è un concetto molto antico, che oggi va interpretato con le espressioni “il motivo per alzarsi la mattina” oppure “svegliarsi alla gioia”.
Come capire il proprio l’ikigai
L’ikigai è la somma di fattori come la:
  • passione;
  • missione;
  • professione;
  • vocazione.
Dunque è rintracciabile nell’esatto punto dove si incrociano le seguenti 4 aree:
  • le cose per le quali si prova passione;
  • ciò di cui il mondo ha bisogno;
  • ciò in cui si è bravi
  • ciò per cui si può essere pagati.
Per capire qual è il proprio personale ikigai, è utile creare una sorta di diagramma nel quale vi sono 4 cerchi che si intersecano:
  • primo cerchio: va inserito tutto ciò in cui si è bravi, ovvero tutto ciò che è connesso a particolari talenti o capacità e di cui non si è necessariamente appassionati;
  • secondo cerchio: bisogna annotare ciò che si ama, che arreca felicità e che fa sentire appagati e realizzati;
  • terzo cerchio: va scritto tutto ciò di cui il mondo e il genere umano o la comunità hanno bisogno.
  • quarto cerchio: bisogna inserire ogni attività per la quale si può essere pagati, dunque attività e servizi per i quali c’è un mercato.
 
Dalle intersezioni di questi fattori deriva che:
  • l’incrocio tra ciò che si ama e ciò in cui si è bravi dà come risultato la propria passione;
  • l’intersezione tra ciò che si ama e ciò di cui il mondo ha bisogno determina la propria missione;
  • l’incrocio tra ciò di cui il mondo ha bisogno e ciò per cui si può essere pagati produce la propria vocazione;
  • l’incrocio tra ciò in cui si è bravi e ciò per cui si può essere pagati determina la propria professione;
  • l’intersezione centrale, la più importante di tutte, determina il proprio ikigai, ovvero il proprio scopo della vita.
Dunque l’ikigai è qualcosa che nello stesso tempo appassiona, qualcosa in cui si è bravi, qualcosa di cui il mondo ha bisogno e qualcosa per il quale vi è un mercato e si può essere pagati.
Come trovare il proprio ikigai
Per riuscire a compilare il test dell’ikigai , è necessaria una fase preliminare, durante la quale bisogna rispondere a 4 domande fondamentali:
  1. Cosa ami, qual è la tua passione? La risposta a questa domanda permette di identificare ciò che motiva l’intera esistenza di ognuno. Per rispondere al meglio, ci si può anche chiedere “cosa mi piace davvero?” o “cosa sarei disposto a fare anche senza essere pagato, ma solo per la libertà di seguire i miei desideri?”.
  2. In cosa sei bravo? Con la risposta a questa domanda emerge la propria vocazione, che può coincidere o meno con la risposta alla domanda precedente. In ogni caso, ciò in cui si è bravi è un aspetto più pratico e meno emotivo, in quanto non sempre la passione coincide con il talento.
  3. Cosa vuole il mondo da te? Questa è la domanda più difficile rispetto alle altre, perché permette di scoprire qual è il proprio compito nel mondo, che deve coincidere sia con ciò che è utile all’individuo che si pone la domanda sia con ciò che è utile alle altre persone e al pianeta, perché diventi un posto migliore.
  4. Qual è la tua professione? Domanda estremamente pragmatica e che esige una risposta semplice e immediata.
Le risposte alle domande elencate potrebbero essere le più disparate e incongruenti, ma per trovare il proprio ikigai la condizione ideale sarebbe quella di riuscire a trovare un equilibrio tra tutte le quattro sfere.
Il concetto di ikigai è strutturato su una filosofia che a sua volta si basa su 5 grandi pilastri:
  • iniziare in piccolo;
  • lasciarsi andare;
  • armonia e sostenibilità;
  • provare gioia per le piccole cose;
  • vivere nel qui e ora.
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'La coppia: vivere in coppia a volte è davvero dura' di Anna Rita Scarongella

15/12/2022

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Ci sono dei momenti in cui tutto sembra andare storto, che ogni giorno tu debba lottare su un ring dove non ci sono mai né un vinto né un vincitore, ma soltanto due persone che esauste si ritirano in sé stesse e si leccano le ferite nell’attesa del prossimo round.
È un’alternanza di dubbi, passi avanti e indietro, amore e odio perché ci sono momenti in cui ami ciò che l’altro fa, come si comporta con te, quello che dice, e altri in cui solo come sorseggia il caffè al mattino non lo sopporti, il tutto tenuto insieme da un misto di tolleranza e sentimento che ti fa dire ok, andiamo avanti!
A volte pensi che forse sarebbe più facile andarsene, chiudere, liberarsi dai condizionamenti, dalle catene, dalle rinunce e dai compromessi per tornare ad essere una persona libera.
Oggi col divorzio breve nel giro di pochissimo tempo tutto ciò è possibile, infatti, secondo le stime ci sarebbero 48 divorzi ogni 100 matrimoni. Un matrimonio su due, quindi, finisce con la separazione.
Si, sarebbe più facile, ma chi ci dice che questo sarebbe la cosa migliore per noi o comunque, la cosa migliore in assoluto?
E se invece resistere e riprovarci fosse la soluzione migliore?
Resistere forse non è una scelta di vita sbagliata, anzi; forse tutto si può ricostruire, ripartendo dall’inizio magari, dal momento del corteggiamento dove tutto sembrava magico, dove c’era il batticuore e l’incertezza del risultato finale, dell’approccio giusto.
Anche la vita di coppia è fatta di fasi, di alti e di bassi dove non vi è sempre lo stesso grado di interesse e di passione.
Resistere e insistere forse è la soluzione ideale per una coppia che vorrebbe durare a lungo, resistere perché anche nei rapporti più forti e più longevi ci sono i momenti bui dove si ha voglia di mollare tutto e invece si resiste, mentre insistere significa essere tenaci nell’amore, nella gentilezza e nel rispetto dell’altro.
Nella vita di coppia non si può essere rigidi, bisognerebbe saper fare un passo indietro quando è necessario, quel passo che alla fine ti rendi conto ne vale tanti altri in avanti.
Non dovremmo portare troppo avanti qualsiasi controversia nel corso della giornata, anche aspra, perché ciò alimenta il rancore, la rabbia, è uno spreco di tempo, di energie e di amore.
Bisognerebbe non mancarsi mai di rispetto, anche se in una lite si ha ragione, mai offendersi e insultarsi perché diventerebbe una forma di violenza fisica e psicologica.
Si dovrebbe coltivare la passione, anche se questa è venuta meno col tempo, basterebbe un attimo per far sì che questa si riaccenda, magari dando un bacio, facendo un gesto gentile o una carezza.
Bisognerebbe chiudere col passato, non avere più conti aperti, dovrebbe diventare ricordo, memoria, fare in modo che tutto quello che lo riguarda non si trascini all’infinito.
Inoltre, bisognerebbe coltivare l’ascolto, ascolto dell’altro mentre ci parla dei suoi bisogni, delle sue aspettative, dei suoi sogni, senza giudicare, senza mettersi sulla difensiva, senza pensare che dietro quelle parole si nascondano delle accuse, chiedere anche durante una discussione: cosa posso fare per te, come posso aiutarti?
Per ultimo ma non meno importante dovremmo dare autonomia ove venga richiesta, difendere i propri spazi e la propria di autonomia, nel rispetto reciproco, per costruire e non per distruggere, lasciar andare e andare noi stessi per poi ritornare come fosse la prima volta e magari corteggiarsi, per riconquistarsi giorno dopo giorno, perché:
“Non esistono relazioni perfette, ci sono solo coppie che non si arrendono mai” Cit.
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'Tante possibilità, nessuna certezza' di Enrico Cavallari

4/12/2022

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Verso la fine degli anni ‘80 fu coniato un acronimo che solo pochi addetti ai lavori conoscevano ma che ora è diventato di moda:
VUCA, nato in ambiente militare per descrivere l’epoca della “guerra fredda”, che, tradotto dall’Inglese e applicabile oggi a un qualsiasi contesto di riferimento, sta per “volatile-incerto- complesso - ambiguo: ebbene, è o non è la perfetta descrizione di ciò che ci circonda in questi ultimi anni ? In una parola : “imprevedibilità “. Per quanto l’essere umano perfezioni sempre più complessi modelli previsionali, statistici, matematici e socio economici accadono avvenimenti in modo stocastico che nel macro (la pandemia, le guerre , ecc) o nel meso (eventi climatici estremi, attentati, terremoti ecc) cambiano completamente le regole del gioco, a volte in modo irreversibile, citando il sempre più attuale concetto dell’”effetto farfalla”, secondo il quale, in un mondo sempre più interconnesso, un micro effetto traumatico in una parte di una “rete” così fragile e interdipendente influisce su praticamente tutti gli altri nodi
Nella monumentale opera  in 7 volumi della “Fondazione “, l’autore di fantascienza Isaac Asimov aveva immaginato oltre 70 anni fa la psicostoriografia, una materia umanistica distillata da psicologia, sociologia e storiografia che se ben condotta poteva portare ad agire in modo previsionale su microaggiustamenti che evitavano conflitti, catastrofi sociali ecc… potendo al tempo stesso prevedere l’evoluzione sociale umana. Oggi siamo ben consapevoli che siamo una barca alla deriva di fronte a vari tipi di emergenze, e forse nemmeno dopo l’uscita dalle crisi la classe politica e l’attuale modello economico permette di attuare modifiche o aggiustamenti concretamente resilienti e risolutivi.
Oggi, qui ed ora diventa sempre più strategica la focalizzazione su se stessi con l’aiuto ad esempio della mindfulness e con percorsi di crescita interiore come il coaching

«Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare»
(Winston Churchill)
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'Recuperare il contatto con il nostro 'bambino interiore' di Cristina Turconi

14/11/2022

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Nessuno di noi nasce adulto. Dobbiamo imparare tutto mentre cresciamo. Da bambini lo facciamo in due modi incredibilmente efficaci: attraverso l'esperienza e il gioco. Poi quando diventiamo adulti, se vogliamo continuare a crescere e a imparare con gioia, se vogliamo tenere il passo con un mondo così complesso e in rapida evoluzione, potrebbe essere giunto il momento di riconnetterci con il nostro “bambino interiore”.
 
La nostra storia personale non è perfetta, come non lo è la storia degli altri. Per alcuni, riconnettersi con quel bambino potrebbe anche richiedere di affrontare alcune emozioni difficili, sentimenti a lungo nascosti o dimenticati, esperienze irrisolte che per lungo tempo si è evitato di affrontare. A volte accade che alcune delle lezioni che abbiamo imparato da bambini ancora oggi ne ostacolano l'apprendimento, il raggiungimento di traguardi importanti, o semplicemente l'adattamento al contesto in cui ci troviamo ad interagire. È qui che entra in gioco il nostro bambino interiore, quell’istanza emotiva che attende solo di essere “ascoltata” e “accolta”.
 
Da bambini, la creatività è la risorsa che utilizziamo di più per preparaci al mondo reale.
“Recitiamo” esperienze, pensieri, sentimenti e sogni attraverso il gioco. L'adolescenza è un momento di grande scoperta, ma può anche essere vissuto come un momento doloroso. Man mano che cresciamo, iniziamo a fare i conti con le aspettative del mondo e a volte, queste aspettative ci deludono. Sperimentiamo la frustrazione dei sogni che semplicemente non si materializzano e il dolore di un cuore rifiutato o infranto. Ad un certo punto, molti di noi smettono di giocare e iniziano a lasciare che il nostro vissuto, le nostre esperienze determinino chi siamo e cosa vogliamo.
 
È un confine reale che separa la vita adulta dall’infanzia? E’ solo un numero sul calendario della vita, magari quello della maggiore età? In realtà siamo sempre in perenne e costante crescita ed evoluzione. L'equilibrio cambia quando smettiamo di “giocare”. A quel punto, passiamo poco tempo a immaginare e ci concentriamo soltanto su ciò che ci dettano le nostre esperienze quotidiane. Indossiamo metaforicamente degli occhiali per guardare al mondo e agli altri che ci impediscono di vedere e sperimentare altre realtà possibili, a volte più utili e più funzionali per la nostra evoluzione.
 
Molti di noi non si prendono il tempo di riconnettersi con queste parti del nostro io interiore. Non è sempre facile comprendere l’importanza del lavoro su queste emozioni bloccate. Riconoscere che i nostri comportamenti da adulto derivano anche dalle nostre esperienze infantili e dai relativi bisogni e desideri insoddisfatti può spronarci a richiedere aiuto. Un professionista della relazione d’aiuto è la persona più idonea nell’aiutarci ad esplorare le nostre ferite di vecchia data, facilitarne l’integrazione, il prendersene cura, permettendoci così di tornare a “giocare” di nuovo.
 
Possiamo così imparare ad essere sia l'"adulto" che il “bambino”, fornendoci amor proprio incondizionato, autocompassione e autosostegno. Con ciò, il nostro “sé adulto” può iniziare a districare i sottili meccanismi di “coping” che il nostro “sé adolescente/bambino” ha inventato per proteggersi da ulteriori esperienze dolorose o traumi. Questo tipo di lavoro è fondamentale in quanto può aiutarci a sbloccare la nostra creatività, la nostra gioia, la nostra passione e il nostro potenziale.
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'Non riesco più a sognare' di Lorenzo Manfredini

7/11/2022

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Delusioni che spengono la vita e atteggiamenti che la apprezzano.
Le cose si stanno chiarendo. Il triangolo, lei, lui e l’altra, si sta decomponendo. Le decisioni non arrivano a destinazione e niente di ciò che sta per avvenire è indolore.
Non basta mostrarsi felici e minimizzare i problemi, esprimere il proprio amore con fiumi di parole, servono decisioni e conti: 2+2 fa quattro. L’equazione è semplice. Parlare, affrontare i problemi, scegliere, decidere.
Dopo aver analizzato tutti gli eventi e le possibili situazioni non c’è più niente di cui parlare. Si ha solo voglia di rifugiarsi nella propria vita senza aspettare nessuno.
Riprodurre una nuova se stessa tridimensionale. Lanciarsi dove la porta è aperta. Lavorare e fare cose belle. Andare dove si ha voglia di andare. Investire in leggerezza e stare da sola. Questo è il nuovo ologramma di un’amante che non crede più nell’amore assoluto e che ora cerca il confronto con un amore ‘possibile’. Quello con se stessa in primis.
Dopo aver parlato per mesi dei propri sentimenti, ha solo voglia di essere lasciata in pace. Di ascoltare la propria musica preferita. Di rispondere alla propria infelicità, stanchezza e rabbia. Di cambiare qualcosa nei propri pensieri. Di intraprendere nuove avventure e tornare a vivere.
Il primo luogo della propria convalescenza è il rifugio in se stessa, nello spazio olografico di una nuova dimensione, in un mondo da ricostruire.
E’ un buon segno, anche nascondersi in un programma interiore cercando la miglior forma di autoterapia. Alla ricerca di una nuova se stessa. In un luogo magico dove ci sono insoliti teatri da frequentare.
Nella dimensione interiore tutto si muove e quella musica è tutta la nostra vita. Senza quella melodia siamo involucri vuoti: depressi.
C’è un piccolo segreto in questo: c’è sempre un bastone speciale che può sorreggerci nei momenti di cambiamento. Si preme un pulsante e via per una nuova esperienza e un nuovo destino.
Non siamo eroi, ma si tratta di diventare protagonisti di un nuovo spirito. Entrare dentro se stessi e godersi un lavoro interiore h24. Per un po’, per il tempo che serve, per sentire le proprie passioni rinascere e dare una mano a nuovi, nascenti, equilibri.

Fatti e fatterelli
Stare in silenzio: “A volte fermarsi è il miglior modo di avanzare”
'Le vicende umane non cambiano mai'
'E’ dopo ogni ogni tempesta della vita, che capiamo se ci siamo preparati abbastanza ...'

 

 
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'Facciamo l’amore?' di Cinzia Zocca

28/10/2022

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In TV passa la pubblicità di un noto brand che recita “Fate l’amore con il sapore” e comprendo che il pay off un pò malizioso è davvero centrato, perché ci sono molti modi di fare l’amore.
Fare l’amore è un gesto generalmente associato alla sessualità, ma in realtà l’amore è ovunque se il corpo è aperto a sentirlo e a riceverlo.
Ti capita mai di provare emozioni gratificanti tenendo in bocca quel cibo o quella bevanda? A me succede con i biscottini olandesi alla cannella, che ho mangiato per la prima volta durante una vacanza in Belgio. Avevo due anni e mezzo, quante emozioni! Il mio primo viaggio in aereo, il mio primo camion per la ghiaia, la prima volta in piscina, le patatine fritte e tante altre scoperte, i miei primi ricordi ed emozioni.  Ancora oggi quando mi capita di mangiare quei biscottini, riprovo quella sensazione di calore che mi porta dentro, in un luogo ed un tempo lontani intrisi di curiosità e felici, una sensazione sottile che ha la capacità di cambiare positivamente il mio approccio alla vita.
Si fa l’amore continuamente, quando si prepara la cena alle persone care, quando ci si lascia accogliere dalla natura passeggiando tra i boschi, oppure quando si indossa quel vecchio maglione infeltrito che non abbiamo il coraggio di buttare perché le trame di quel maglione raccontano delle storie che scaldano il cuore.
Tutto l’amore e la bellezza che vedo nel mondo, ovunque, li ritrovo in una pratica che porto nel cuore e che mi è stata trasmessa nella sua sacralità da una cara amica: il massaggio Kashmiro.
Questo massaggio viene attribuito alla via del Tantra Shivaita non-duale, il più antico cammino spirituale risalente ad un periodo compreso tra il 3300 e il 1300 A.C. Noto anche come Yoga del tocco, racconta la delicatezza e la purezza dell’amore in un’esperienza di con-tatto intimo e coinvolgente che pone il corpo al centro, nella sua interezza.  
È una pratica che trae ispirazione dal massaggio infantile indiano, lo Shantala, da cui ha origine il senso profondo a cui tende: la sensazione di essere cullati e protetti, avvolti dall’abbraccio affettivo della madre che dona incondizionatamente amore al proprio bambino.
Lo Yoga del Tocco è un viaggio dentro sè stessi, un percorso di consapevolezza corporea ed emozionale guidato dal respiro, dall’ascolto e dalla presenza che conducono ad un profondo rilassamento ed apertura di cuore.
Il corpo diventa uno strumento libero di esprimersi senza intenzione, giudizio o aspettative, nella sua forma di comunicazione più autentica. È un’esperienza in cui il tempo e lo spazio perdono di significato e il senso di separazione si annulla, trascendendo la forma, il colore e l’identità di genere. In questo spazio di intimità, la mente si abbandona e lascia cadere le maschere, la vergogna, il senso di colpa e l’inadeguatezza, per cedere il posto al Sé autentico.
“Ogni percezione ha la possibilità di riassorbirsi nel silenzio e porta alla Coscienza” scrive Eric Baret.
E allora, per vivere una vita piena e consapevole, fai esperienza ed impara a fare l’amore con tutto ciò che ti dona piacere e nutre le tue emozioni.
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    In ogni ambito della vita solleviamo problemi, formuliamo piani e cerchiamo rimedi specifici, ma al fondo desideriamo coltivare le nostre parti più elevate.

    ALCHIMIA COMUNICATIVA
    Come trasferire ad altri quello che sappiamo, senza essere banali spingitori di alberi sulla spiaggia o coraggiosi esploratori di foreste incontaminate, senza esperienza.

    UOVA DI GIORNATA: 'CHIAMATA O MALEDIZIONE?'
    Facciamo parte di una generazione che potrà dire: 'ho vissuto la chiamata e la maledizione. E ci ho fatto qualcosa'. Ti dico la mia.

    IL MODELLO STEP CONSAPEVOLE
    Ogni professionista che operi per il benessere e l’equilibrio della persona, è un animatore di salute, vitalità e felicità. In altre parole, è un profondo conoscitore dell'autoregolazione a livello fisico, emotivo, mentale e relazionale. Cosa vuol dire conoscitore? Che ha sperimentato in prima persona e che sa proporre a persone e gruppi attività che portano all’equilibrio personale, al benessere e alla salute.
    Cos'è dunque il modello step consapevole? Vediamo ...

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