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'Quei Momenti Serenamente Tristi' di Luca Giardini

2/11/2025

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“Un giorno ho visto il sole tramontare quarantatré volte!”
E dopo un po’ aggiungevi:
“Sai.. quando si è tanto tristi si amano i tramonti…”

Ho letto queste righe del “Piccolo principe” una sera a letto, e prima di spegnere la luce e addormentarmi mi è venuto spontaneo passare in rassegna i momenti tristi della mia vita analizzando il modo in cui li ho affrontati. 

Le difficoltà si presenteranno sempre alla nostra porta durante il corso dell’esistenza, e al posto di evitarli (fallendo miseramente) sarebbe interessante prendere consapevolezza delle proprie armi, capacità, alleati, per uscirne più forti di prima. O semplicemente superare il momento.

Prendi un foglio, dividilo in tre colonne. 
Nella prima scrivi un avvenimento o un preciso momento nel quale ti ricordi di essere stato triste.
Nella seconda analizza in che modo l’hai affrontato (per esempio, attraversandolo o evitandolo?).
Nella terza e ultima colonna appunta se ora potresti mettere in campo azioni o strumenti che ti facciano trasformare la “tristezza distruttiva” in “tristezza costruttiva”.

​Non ci sono schemi sbagliati, ci sono solo risposte adatte a noi stessi. Che sia un pianto liberatorio, un aperitivo con gli amici, un allenamento fino allo sfinimento… o un momento per noi mentre ci godiamo quarantatré tramonti di fila. 
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'Creare un Gruppo di Super Eroi' di Luca Giardini

2/11/2025

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Un nuovo anno sportivo è iniziato e la squadra di basket under 12, che seguiamo per quanto riguarda la preparazione mentale, ha dei nuovi arrivati. 
​Come primo allenamento abbiamo quindi proposto una modalità alternativa di presentazione individuale con l’obiettivo di imparare a raccontarsi al gruppo, conoscere i singoli componenti della squadra, scoprire le proprie potenzialità e quelle dei compagni.

Si parla di “potenzialità” perché è stato sottoposto ai ragazzi il seguente esercizio:
- abbiamo sparso per la palestra svariati oggetti sportivi (dalla racchetta da tennis al guanto da pugilato, dalla palla da football americano al cronometro) e abbiamo chiesto ai giocatori di scegliere quello che più li ispirasse, con il quale sentissero una connessione.
- successivamente hanno dovuto disegnarlo rendendolo “animato” (con gli occhi, il naso, la bocca, gli arti, ecc..) e immaginando i suoi “superpoteri”
- infine a turno hanno presentato il loro “oggetto supereroe” facendo riferimento alle sue potenzialità nelle quali si rivedono (come giocatori di basket e come esseri umani)

Tramite questo apparentemente semplice esercizio i ragazzi sono stati in grado di allenare la consapevolezza di se, dei propri poteri da mettere al servizio della squadra e hanno scoperto nuove potenzialità dei compagni. Tutto questo, divertendosi. Un gioco che li renderà più gruppo e meno individualità separate.
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'Emozioni nel Buio' di Nancy Baston

16/10/2025

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Mediante il metodo E.M.O.S. (Esplorazione, Movimento, Osservazione, Sintonizzazione) di Lorenzo Manfredini, scopro come nascono le mie emozioni. Attraverso un viaggio, fatto di ascolto profondo, pause e silenzi, dove il corpo si trasforma in un alleato e a volte la mente diventa l’antagonista, perché come in tutti i viaggi non mancano mai gli intoppi fatti di resistenze e incomprensioni.

Sono le 3 di notte, le bambine erano stanche, pertanto, tutti a letto presto! Io ho già dormito cinque ore filate e sono sveglissima. Fuori c’è un fortissimo vento, mi trovo in un grande campeggio sulla riva del lago di Garda. Consapevole che non mi sarei più riaddormentata decido di uscire, sono in pigiama infilo il K-way le ginniche senza calzini, pensando di fare pochi passi all’aperto. Volevo ascoltare la voce del vento, cedere a quel richiamo, per quanto soffiasse minaccioso, ero attirata dall’aria frizzantina di quella notte. Apro la porta come lo farebbe Indiana Jones in “alla scoperta dell’isola perduta”. Con un sorriso stampato in volto alzo il cappuccio, mi guardo introno, tutto tace, non c’è in giro anima viva, o almeno spero. Dopo i primi metri mi si palesa davanti uno scenario nettamente differente da quello giornaliero, i preziosi alberi che offrivano riparo dal sole nelle ore più calde, ora al posto dei rami muovono numerosi tentacoli forzando le povere foglie verdi a cadere anzitempo. I lampioni situati alle mie spalle registrano, impietosi, qualsiasi movimento, rimandandomi gigantesche ombre, mi giro di scatto! Una parte di me vorrebbe tornare indietro, ma l’altra parte era impaziente di arrivare al lago per vedere quanto fosse arrabbiato. Davanti a me una scalinata quasi completamente buia, porta alla riva, mi chiesi perché fossi li, mi serviva proprio quel brivido? percorsi velocemente con la mente tutte le possibili variabili alle quali sarei andata incontro discendendo quella scala. 
​

E     La paura mi palesò davanti gli scenari più improbabili di attacco, una finta razionalità cominciò a vagare nella memoria in cerca di possibili strategie di difesa, in caso uno sconosciuto minaccioso sbucasse all’improvviso da quegli arbusti a lato della scalinata. 
M     Tornai quasi subito con la mente alla realtà, mi trovavo in un campeggio chiuso, al sicuro, era solo la paura a proiettare queste immagini. Discesi gli scalini uno ad uno come una ad una sentivo crescere le emozioni dentro di me. Il buio non è qualcosa alla quale sono abituata o perlomeno non in questo cotesto, ero a disagio e allo stesso tempo volevo essere lì, percepii il conflitto, sentii l’ansia e per finire la confusione provocata dalla somma delle due emozioni.
O     I muscoli del mio corpo cominciarono ad irrigidirsi ma non mi opposi a quella forza. Ascoltarsi è una sfida, pensavo di essere sola con il buio, invece ero circondata da emozioni, chiesi alla paura di andarsene, supplicai l’ansia di allontanarsi, ma loro si strinsero ancor più forte a me, tanto da cambiare il mio respiro, probabilmente volevano dirmi qualcosa, avrei voluto avere la forza di ascoltarle, ma in quel frangente non ci riuscii. 
S     Arrivai alla fine della scala consapevole delle mie emozioni senza riuscire a farmele amiche, mi fermai, mi voltai, l’avevo terminata, ero arrivata giù! Che lunga quella scala vista dal basso! e che buia, ci sono passata in mezzo! pensai. Ci sono riuscita.
​

E.M.O.S. attraverso me, dentro il silenzio, in mezzo al buio, ascoltando la paura, lasciando libero il corpo, puntando all’obbiettivo, in compagnia delle mie emozioni.
Sorrisi al pensiero di essere la sola li, e mi interrogai sul motivo della mia scelta, quando avrei potuto benissimo leggere un libro in veranda o passeggiare in luoghi circoscritti e maggiormente illuminati! Ma il forte vento di quella sera aveva qualcosa da dirmi. Possibile non riuscisse a farsi sentire chiaramente, pur soffiando così forte? Oppure ero io a non voler ascoltare?! Ritornai alle mie emozioni che a quel punto mutarono: arrivò la soddisfazione, la pienezza e con un po’ d’orgoglio, mi lasciai pervadere da quel sapore mite, dal profumo delle onde che sbattevano violente sugli scogli nebulizzando sul mio viso. È questo che voglio dalla vita! Sentirla sulla pelle, io sono terra, aria, acqua. Quel rumore al quale ero abituata fino a qualche anno fa ora è diventato un frastuono insopportabile, stava spegnendo il fuoco della mia anima, in extremis sono riuscita a salvarla. Quella scalinata? La mia ancora di salvataggio, come le mie fughe settimanali nel bosco, salvagenti che mi danno la possibilità di tornare ad una dimensione più umana. 

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'La pelle confine che racconta' di Caterina Lazzarin

16/10/2025

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​C’è un luogo in cui l’uomo incontra il mondo, ogni istante della sua vita.
Non è un luogo lontano o nascosto: è la pelle.
La pelle è il confine che ci separa dall’esterno, è il ponte che ci mette in relazione con ciò che ci circonda.
 
È il nostro organo più esteso, un abito naturale che respira, che regola la temperatura, che protegge, ma anche ascolta e racconta. Pensa a quando arrossiamo per la vergogna o impallidiamo per la paura, la pelle rivela ciò che accade dentro di noi, prima ancora che le parole trovino spazio nella nostra mente.
 
La pelle non è soltanto difesa è anche conoscenza. Accoglie il caldo del sole, il freddo del vento, la carezza dell’acqua e la pressione di una mano. Ogni contatto lascia un segno, diventa esperienza, ciò che la pelle assimila diventa parte della nostra memoria interiore.
 
Si può dire che la pelle ci educa, ci trasforma, ci mette in condizione di sviluppare il nostro essere. È organo protettivo, ma allo stesso tempo percettivo e conoscitivo, è una superficie viva che registra e restituisce le informazioni apprese dall’esterno.
 
Nella nostra epoca, in cui il contatto con la natura si è ridotto e viviamo circondati da ambienti artificiali, la pelle reclama il ritorno a esperienze genuine. Ha bisogno di bagni di luce, di aria e di acqua, del calore del sole, di strofinamenti che la risveglino, perché attraverso la pelle non solo percepiamo il mondo, ma impariamo a dialogare con esso.
 
La pelle diventa un campo sperimentale e un terreno di relazione. Un organo che, più di ogni altro, ci ricorda che siamo esseri aperti. Ci insegna che la vita è incontro. Essere umani significa esporci, rischiare, conoscere.
 
La pelle, è la nostra voce silenziosa. Comunica con il mondo e con gli altri, racconta ciò che viviamo dentro e ci apre a ciò che ci arriva dall’esterno. È un organo che parla. E parla di noi.
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'Io, la Peugiottina e 1000 chilometri di coraggio' di Caterina Lazzarin

16/10/2025

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Osservando con gli occhi di oggi il mio passato, mi rendo conto di quanto impegnativo sia stato affrontare ciò che sto per raccontarvi.
Il mio obiettivo: raggiungere la Puglia in macchina con la mia Enfant Terrible.
La mia paura: percorrere 1000 chilometri da sola.
Per molti, il 2020 ha rappresentato uno spartiacque. Lavorativamente è stato un periodo difficile per ricominciare; a livello familiare, troppi lutti in poco tempo.
Sentivo il bisogno di uscire dalla mia città. In fondo avevo sempre viaggiato, fatto esperienze, e davanti a me si apriva la possibilità di conoscere un pezzetto d’Italia che ancora non avevo visto.
Fu l’invito di una conoscente a far crescere in me il desiderio di partire. Mi disse:
“Cate, vieni in Puglia, ti ospito io. La casa è a venti passi dal mare, puoi restare quanto vuoi.”
Nella mia mente si accese un immaginario: il sole, il caldo sulla pelle, il cielo azzurro, i panzerotti, la pizza, il profumo degli agrumi in fiore... e poi la curiosità di scoprire se esistevano distillatori di piante officinali  indipendenti da cui poter imparare.
La motivazione era forte, direi irresistibile, e poi quando mi sarebbe ricapitata un’occasione così!
Decisi di partire, anche se dovevo fare i conti con il fatto che non avevo mai guidato così a lungo da sola: 1000 chilometri, da Padova a Manduria, giù fino al tacco d’Italia. Era febbraio. Al Nord le nebbie e il freddo, al Sud il sole e la temperatura più mite.
Le emozioni che passavano dentro di me erano contrastanti, che bello un tempo indefinito al Sud, e subito dopo , ma sei sicura che ce la fai a guidare da sola per tutta quella strada?
 
Significava affrontare diverse difficoltà: restare sveglia per molte ore alla guida, perché l’idea era fare il viaggio tutto d’un fiato. Non amo guidare di sera, e il momento del crepuscolo — quel passaggio dal giorno alla notte, con il cambio di luce — mi risulta sempre un po’ faticoso.
E poi, la mia Peugiottina ce l’avrebbe fatta a percorrere tutta quella strada?
Se si fosse rotta, cosa avrei fatto? Se mi fossi fermata col buio, come mi sarei comportata?
Troppe domande che mi mettevano in difficoltà.
Avevo sempre viaggiato in compagnia, e trovare risposte a questi dubbi, da sola, era più complicato.
Così, mentre meditavo su come organizzarmi — quante tappe fare, come gestire il cibo — cercavo soluzioni.
Eppure, mi dicevo: Infondo devi solo attraversare l’Italia… mica andare in Alaska!
Da viaggiatrice, questa situazione mi metteva comunque in crisi: e se non ce l’avessi fatta?
Ma quando la motivazione è più grande della paura, si trovano le soluzioni.
Idea! E se invece di fare il viaggio tutto d’un fiato lo avessi spezzato?
Già questa idea mi fece sentire meglio.
Mi misi quindi alla ricerca di un posto dove poter dormire, magari a metà strada.
In quel periodo molti alberghi e B&B erano chiusi, e per accedere ad alcuni chiedevano le credenziali. Così scoprii un mondo nuovo: piattaforme dove persone comuni offrivano un letto o un divano ai viaggiatori di passaggio.
La ricerca fu fruttuosa: trovai diverse persone disponibili a ospitarmi, tanto che avevo l’imbarazzo della scelta.
Mi imposi alcune regole: niente case di uomini soli; doveva essere a metà strada; dovevo poter cucinare per la cena e prepararmi la colazione.
Alla fine trovai una signora. E vi assicuro che lei sola meriterebbe un racconto a parte.
La vita, se sai lasciarla fluire, sa dove condurti — senza troppe pippe mentali.
Ma siamo esseri pensanti, e nella nostra mente galoppano molti cavalli imbizzarriti.
Quando trovai la soluzione, mi sentii più serena, anche se non nego che quei cavalli ripresero a correre, sollevando altre domande:
“Sarò capace di trovare la casa? Mi ospiterà davvero? Sarà accogliente? In febbraio farà abbastanza caldo? Mi porto il sacco a pelo pesante?”
A un certo punto mi dissi: basta pensieri negativi, solo pensieri positivi.
Così mi concentrai sulla preparazione dei bagagli e la registrazione dal meccanico dell’auto.
Quanto sarei rimasta in Puglia? Una settimana, un mese? Non importava.
La mia sfida era arrivare a Manduria.
Al resto avrei pensato dopo.
Lasciai la Pianura Padana nella nebbia, con il cielo grigio e l’umidità nell’aria.
Il viaggio fu emozionante. L’Italia è bellissima: la costa adriatica mi accompagnò per buona parte del tragitto, e la vista del Gran Sasso con la neve sulla cima mi riempì di emozioni.
Riuscii a trovare la casa della signora: era calda e accogliente. Tutto andò oltre le mie aspettative.
E in Puglia mi accolse un sole splendido.
La Peugiottina fu un vero bolide.
…alla fine, in Puglia ci ho vissuto tre anni.
E quella strada, l’ho fatta tante volte, tutta d’un fiato.
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"Il Tempo, la Vita e Noi" di Lorenzo Manfredini

8/10/2025

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Newsletter STEP Consapevole
Ci sono giorni in cui il tempo corre e altri in cui sembra fermarsi. Si ferma quando un amico cade in casa e il respiro di molti si blocca, si restringe quando la guarigione procede lenta, quasi immobile.
Il tempo diventa un vortice quando le relazioni si irrigidiscono e non sappiamo più come scioglierle, mentre gira in tondo quando non riusciamo a interpretarlo con apertura.

Il tempo non è solo ciò che passa: è ciò che ci plasma.
È il modo in cui la vita ci insegna a guardare, a comprendere, a sentire la relatività delle nostre esperienze.

Negli ultimi mesi — dal Master di luglio in poi — abbiamo percepito chiaramente che anche il tempo del gruppo STEP è cambiato. Ci siamo guardati negli occhi, stupiti e commossi dalla crescita, dalla qualità delle esperienze, dalla maturità dei supervisori e dei partecipanti. In quei giorni è nata un’idea semplice e potente: raccontare a tutti — ex allievi, formatori, amici — questo cammino di evoluzione.

E così, grazie a Maurizia Pambianco, Alessandro Piazzetta e Riccardo Manfredini, che hanno dato forma organizzativa e cuore a questa spinta, abbiamo deciso di fermare il tempo per un giorno speciale: sabato 21 marzo 2026, a Padova.

PRESENZA, COSCIENZA E CAMBIAMENTO
Un convegno, ma anche una festa dell’anima. Un momento per ritrovarsi, per ascoltare le voci che negli anni hanno attraversato il nostro cammino e che oggi dialogano con le sfide del presente: la salute, la coscienza, la tecnologia, le relazioni.

Tra gli ospiti: Angelo Gemignani, psichiatra e ricercatore in neuroscienze, e Marcello Monsellato, medico, fondatore della medicina Omeosinergetica e psicoterapeuta — insieme a coach, counselor e professionisti che porteranno esperienze concrete di trasformazione personale e professionale.
Sarà un incontro di presenze, memorie e relazioni: un invito a ricordare da dove veniamo, a riconoscere cosa siamo diventati e a sognare insieme il prossimo passo.

Un autunno per ritrovarsi
Mentre l’estate ci invita al riposo, forse anche a un silenzio fertile, possiamo lasciarci ispirare da una domanda: come vogliamo abitare il tempo che ci accompagna, come individui e come comunità?

Non serve correre. Serve ascoltare. Serve ricordare che ogni cambiamento nasce da un istante di presenza, da un incontro, da un respiro condiviso.

Il cammino di STEP è sempre stato questo: una scuola di vita, un movimento continuo tra profondità e leggerezza, tra corpo e spirito, tra scienza e coscienza.
Il tempo è qui. E noi siamo il tempo che gli diamo forma.

Un caro Saluto
Lorenzo
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“Alla ricerca della bici interiore (e di un Master)” di Lorenzo Manfredini

23/9/2025

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Primo giorno di Master. Primo giorno di mappa invisibile.

Siamo qui. In un’aula. In un rito. In un inizio.
Il primo giorno di Master non è solo un’aula piena. È una stanza simbolica.
Un inizio che si attraversa insieme, con la voglia di imparare e il terrore segreto di non sapere da dove cominciare.
E mentre fuori il mondo scorre veloce, dentro ognuno di noi si affaccia una domanda antica:
“Chi sarò alla fine di questo viaggio?
Ma soprattutto… Chi sono oggi, davvero, qui?”

Insieme ai giganti (e alle nostre vocine)
Ci sono i grandi nomi, le teorie, i premi Nobel. Ma anche i premi IgNobel: quelli che nessuno premia, ma che ci insegnano tutto.
– La volta in cui siamo andati dallo psicologo per avere una conferma di una decisione già presa.
– Quel giorno in cui abbiamo perso la bici e l’abbiamo cercata ovunque, ma era già andata.
– Quella sensazione assurda di cercare il colpevole per una targhetta staccata dal campanello.
Come se ogni passante avesse una chiave, un’indicazione, un pezzo della nostra storia rubata.
Sono meccanismi piccoli, ma potentissimi. Perché ci parlano di noi.
E questo Master è anche questo: guardare quei movimenti minimi, quelle piccolezze che sono grandezze travestite da ossessioni.

E poi ci siamo noi, i camminanti.
C'è chi fa il primo passo. E lo fa davvero. Non perché sa dove andrà, ma perché ha smesso di restare fermo nell’attesa di capirsi tutto.
Qui, in questo cammino condiviso, non siamo solo studenti. Siamo cercatori di bussole,
esploratori di una leadership viva, non quella da palco… ma quella che ascolta, sbaglia, ride e resta.

In conclusione: sì, siamo noi. Anche senza bici.
Siamo qui con le domande addosso, con i giudizi appesi ai pensieri, con la voglia di imparare non solo concetti, ma a starci meglio dentro.
Questo Master non sarà solo una tappa. Sarà un modo per ritrovare la bici mentre camminiamo. O forse per smettere di cercarla… e godersi la strada a piedi, insieme.

Domanda-utile per oggi:
“Che parte di me è rimasta incastrata in una storia passata, e oggi vorrebbe solo essere vista, capita… e magari anche portata a lezione?”

Con i freni mollati e il cuore acceso, un compagno di viaggio con la catena un po’ arrugginita, ma con tanta strada dentro.

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'Guardare il Mondo con gli Occhi di un Artista' di Melissa Pivetta

1/9/2025

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Al giorno d’oggi siamo sempre più stressati e con la malavoglia che ci guarda allo specchio. Vediamo tutto ciò che ci circonda con lenti scure, donandoci una visione dell’ambiente che ci circonda negativamente, che ci opprime ogni giorno. Anche quei luoghi che di solito ci davano gioia, adesso proviamo solo una stanchezza opprimente. 
Io provavo grande  fastidio, disprezzo, verso me e ciò che mi circondava, ogni giorno. Mi alzavo la mattina e quando guardavo fuori dalla finestra non provavo altro che fastidio. Ovunque i miei occhi posavano lo sguardo provavo disprezzo: il luogo di lavoro, gli edifici vicino casa, la natura, casa mia.
Era tutto così grigio, privo di colore. 

L’arte, sapete, mi è sempre piaciuta, o almeno quando ho lasciato le scuole medie. Ho cominciato ad apprezzare la pittura, il disegno, il potere che ha questa semplice attività (che semplice non è), ma soprattutto trovavo meraviglioso come i pittori dipingevano il mondo, il paesaggio, le persone, addirittura una guerra, con una tale bellezza. 

Era nella mia wish list andare in un museo d’arte a Parigi. Così, di punto in bianco, lo ho fatto. 
Entravo nei musei e venivo rapita dalla bellezza di ogni quadro. Mi fermavo ad ammirarne il colore, lo stile di pittura e il cervello si svuotava; non pensavo a niente (il che è un miracolo!). 
Sento tuttora quell’emozione fresca, leggera ma potente, che mi riscaldava il cuore. Alcuni dipinti sono riusciti a farmi scappare qualche lacrima e questo aumenta la stima che provo verso i pittori; come fa una tela a donarci così tante emozioni?

Ho sempre creduto che i pittori per creare tali meraviglie debbano aver vissuto una vita stupenda, piena d’amore. Invece mi sbagliavo; sono esseri umani, anche loro hanno vissuto la propria vita con delle lenti scure sugli occhi ogni tanto. E quindi ho capito. Ho capito che guardavo il mondo con gli occhiali sbagliati. Con la mente sbagliata. 

Prima di partire ero così stanca di guardare sempre le stesse case, le stesse persone, lo stesso lavoro. Tornata da Parigi, o meglio dai musei, ho cominciato ad ammirare quella casa rovinata con occhi diversi, con occhi di un pittore che vedeva per la prima volta i raggi solari che colpivano una casetta color crema. Oppure ammiravo le persone che vicino a me, anche gli sconosciuti, come si comportavano, come sorridevano. Insomma, mi sono decisa a togliere le lenti scure e ad ammirare il mondo.

Forse dovremmo semplicemente ammirare ciò che ci circonda, togliere quelle lenti scure che oscurano la vista alla meraviglia che possiamo osservare ogni giorno. Non dovremmo guardare quella macchia nera che si presenta ogni tanto. 
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Dopo tutto qualche volta c’è il sole e altre c’è la pioggia, eppure riusciamo a trovare la bellezza anche in essa.

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'La Spiritualità' di Anna Fracasso

1/9/2025

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La spiritualità è un aspetto fondamentale della vita che ci aiuta a trovare significato e scopo. È un viaggio dentro di noi stessi, che ci porta a scoprire nuove prospettive e a crescere come persone. La spiritualità può essere vissuta in molti modi diversi, e ognuno può trovare il proprio percorso, è un modo per connettersi con l'universo e con sé stessi, può essere una fonte di ispirazione e di guida, in un mondo sempre più veloce e caotico, essa può essere un'ancora di salvezza che ci aiuta a mantenere l'equilibrio e la pace interiore. Sentirsi in connessione con qualcosa di più grande, centro della propria anima, in sintonia con l'universo e liberi dalle ansie quotidiane è come un fiume che scorre senza ostacoli, fluente e naturale.
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Le pratiche spirituali come la meditazione, lo yoga e la preghiera possono aiutare a ridurre lo stress e a trovare equilibrio nella vita quotidiana. Queste pratiche ci aiutano a focalizzarci sul presente e a lasciare andare le preoccupazioni del passato e del futuro. La spiritualità può anche aiutare a sviluppare una maggiore consapevolezza di sé e del mondo che ci circonda, è un modo per coltivare la pace interiore e la compassione. Le pratiche spirituali possono essere adattate alle esigenze individuali e possono essere integrate nella vita quotidiana in molti modi diversi. Ad esempio, possiamo praticare la gratitudine ogni giorno, o cercare di essere più presenti nelle nostre relazioni con le persone. 

"Il presente è l'unica cosa che non ha fine" Questa citazione data dall'antico filosofo e scrittore cinese Lao Tzù, ci ricorda l'importanza di vivere nel presente e di apprezzare ogni momento, ci insegna a trovare la bellezza nella semplicità e a non lasciarci distrarre dalle preoccupazioni materiali. Possiamo trovare ispirazione nella natura, nell'arte e nelle relazioni umane e può essere una fonte di creatività e di innovazione.
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Per me, la spiritualità è un modo per connettermi con l'universo e con me stessa. È un viaggio di scoperta e di crescita che mi aiuta a trovare la pace interiore e a sviluppare una maggiore consapevolezza, mi insegna ad essere più compassionevole e a vivere nel presente. È un aspetto fondamentale della mia vita che mi aiuta a navigare le sfide quotidiane con maggiore facilità e serenità, la spiritualità è un dono che mi arricchisce ogni giorno. Personalmente, ho trovato che la spiritualità mi aiuta a gestire lo stress e l'ansia, e a trovare un senso di scopo e di significato nella mia vita, mi ha anche aiutato a sviluppare una maggiore empatia e comprensione per gli altri. 

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'IL Counseling nell’accompagnamento alla morte di un cane: un supporto essenziale nel lutto.' di Domenica Culpo

1/9/2025

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Oggi mi trovo a vivere un momento che temevo da tempo: il mio cuore è spezzato perché la mia cagnolina sta per lasciarmi. 
E’ difficile trovare le parole giuste per descrivere quanto faccia male vedere il suo piccolo corpo che si indebolisce, dopo averle dato tutto il mio amore per anni.
Il legame che avevo con lei non è facile da spiegare. 
Non è solo un cane, è stata la mia compagna di vita, sempre al mio fianco nei momenti di gioia e nei periodi più bui. 
E’ un amore che non ha parole, ma solo emozioni, sensazioni che non sapevo affrontare. Eppure, in questi momenti di profondo dolore, ho capito quanto sia importante non affrontare la sofferenza da soli. 
E’ stato proprio in questo momento che ho deciso di chiedere aiuto, e non posso fare a meno di dire quanto il counseling mi abbia dato sollievo e forza. 
Ho conosciuto un medico veterinario meraviglioso che ha fatto formazione in counseling e mi ha aiutato a dare voce al mio dolore, senza giudizio. 
In una società dove il dolore della perdita di un animale viene spesso minimizzato, parlare con un professionista mi ha permesso di sentirmi compresa e supportata. Il counselor mi ha fatto capire che è normale soffrire profondamente quando perdiamo una creatura che ci ha amato incondizionatamente e che il dolore che pensavo non era solo legittimo, ma anche parte di un processo naturale di lutto. 
Inoltre, il counselor mi ha permesso di non sentirmi sola. 
Oggi se dovessi consigliare qualcosa a chi sta attraversando un dolore simile, sarebbe di non avere paura a chiedere aiuto. 
Il counseling è uno spazio dove puoi essere te stessa, dove puoi piangere, parlare, ricordare, e soprattutto dove puoi imparare come affrontare questo momento delicato e come scegli di accompagnare il tuo amico a quattro zampe. 
Con questo meraviglioso veterinario counselor sono passata dal profondo dolore di vedere la mia cagnolina in difficoltà a una decisione che mi ha tormentato: accompagnarla nel suo percorso naturale, senza ricorrere all’eutanasia. 
Ogni giorno con lei è una benedizione, ma anche un atto di coraggio. 
Quando ci si trova a dover affrontare una perdita imminente, il peso delle scelte diventa schiacciante. 
La tentazione di scegliere una via che possa fermare la sofferenza più rapidamente è forte, ma una parte di me sentiva che dovevo dare a lei la possibilità di vivere fino alla fine, di essere lì con lei in ogni momento. 
E’ stato in quel momento che ho deciso di chiedere aiuto, non volevo che questa decisione mi travolgesse da sola. 
Con il supporto del veterinario counselor ho trovato la forza di affrontare la mia ansia, le mie paure e le incertezze. 
Il counselor mi ha aiutato a comprendere il significato della vita a mettere in luce quello che avrebbe risvegliato in me questo tempo così particolare e così intenso, mi ha aiutata a riflettere sulla scelta con maggiore serenità, a entrare in sintonia con il mio cuore a riconoscere che ogni decisione sarebbe stata dolorosa, ma che la più importante era quella di accompagnarla nel suo percorso, cercando di farle sentire il mio amore fino alla fine. 
Il counseling mi ha insegnato che non esistono risposte giuste o sbagliate, ma che ogni situazione è unica. 
Ho scelto e abbiamo scelto insieme alla famiglia di dare spazio alla vita abbiamo scelto di non ricorrere subito all’eutanasia per permettere alla piccola di andarsene nel momento giusto, senza che la decisione venga presa troppo prematuramente. 
Non si tratta di scegliere tra la vita e la morte in modo frettoloso, si tratta di essere presenti fino alla fine. 
Il counselor mi sta supportando in questo tempo cosi difficile e delicato mi ha aiutato molto a scegliere che non volevo la via più facile ma volevo essere presente.
In questo tempo sospeso tra terra e cielo ho compreso che quando il nostro piccolo amico si ammala, non è solo la sua salute a essere messa alla prova, in quel momento qualcosa cambia dentro di noi, la malattia ci costringe a fermarci, a guardare in faccia la fragilità della vita, a confrontarci con paure , ansie a volte con la nostra stessa vulnerabilità. 
Il counselor mi ha aiutato a comprendere che attraverso questa impotenza emergono risorse nascoste che non sapevamo di avere. 
Nella cura, nella dedizione, impariamo a riscoprire la bellezza della nostra presenza, e la profondità dell’empatia. 
La malattia del nostro cane ci sfida. Confrontarci con la nostra mortalità, a prendere consapevolezza che ogni vita ha il suo ciclo, e che ciò che conta davvero sono i legami che costruiamo lungo il cammino. 
Ci fa capire quanto sia importante vivere nel qui e ora, non dare nulla per scontato e apprezzare ogni piccolo momento che passiamo insieme. 
In quei momenti difficili, dove ci sembra di non avere risposte c’è un insegnamento nascosto, amare non significa solo prendersi cura nei momenti felici, ma anche accettare l’incertezza, la sofferenza e il cambiamento con coraggio. 
La malattia del nostro cane ci risveglia l’amore profondo incondizionato, un amore che non ha bisogno di risposte, ma di presenza. 
E alla fine, è proprio in questa vulnerabilità che troviamo la nostra forza. Se stai attraversando il difficile momento di dover dire addio al tuo piccolo amico, un counselor può esserti di grande aiuto. 
Parlare con un professionista ti offre uno spazio sicuro dove elaborare il dolore, trovare il coraggio di prendere decisioni consapevoli e gestire l’emotività legata a questo processo. Anche nel dolore, c’è un atto di amore e di coraggio che ti permette di fare un passo verso la guarigione. 
Alla mia piccola e dolce amica Shiva.

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'Non Incontriamo mai Nessuno per Caso' di Domenica Culpo

1/9/2025

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“Ciò che non affrontiamo nel nostro inconscio, lo incontreremo come destino”
​Carl Gustav Jung 
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Ho pensato di scrivere un post sulla legge della risonanza secondo Jung perché è un tema che mi affascina moltissimo, attraiamo nella nostra vita ciò che vibra alla stessa frequenza del nostro mondo interiore. 
Tutto ciò che ci accade, incontri, situazioni, coincidenze, non è frutto del caso, ma il riflesso del nostro stato interiore. Un economia una risonanza tra ciò che siamo dentro e ciò che accade fuori. 
Questo contenitore di simboli è archetipi può essere visto come un campo comune in cui le menti si “risuonano” tra loro, cioè entrano in sintonia a livello simbolico, spirituale, o emotivo. 
Jung non parlava esplicitamente di una” legge della risonanza “, le sue teorie sulla sincronicità e l’inconscio collettivo ci invitano a riflettere su come siamo legati a un mondo invisibile di significati profondi. 
Le coincidenze non sono semplici incidenti, ma frammenti di una risonanza universale che ci connette con qualcosa di più grande di noi. 
Forse, come dice Jung, siamo tutti parte di una danza cosmica dove ogni pensiero, ogni emozione, ogni simbolo è un’eco di un archetipo universale. 
Incontro molte persone che mi dicono di non stare bene, di sentirsi tristi e mi sono chiesta più volte se risuoniamo con tutto il pianeta, Jung ha sottolineato spesso come gli eventi collettivi come le guerre, risuonino profondamente nell'inconscio dell’umanità, non siamo separati ma facciamo parte di un inconscio collettivo. Le guerre non sono solo conflitti politici o economici ma eventi che si radicano profondamente nell’inconscio di tutti noi.
Quando una guerra scoppia, non si limita a distruggere ma provoca una frattura nell’ordine psicologico dell’individuo. Violenza, paura, morte sono archetipi che fanno parte della nostra psiche. 
Jung credeva che, attraverso il processo di individuazione ( Il percorso di integrazione dell’inconscio nella coscienza) l’individuo potesse trasformare la propria ombra. In modo simile, un’intera società può essere spinta a confrontarsi con le sue ombre collettive attraverso la guerra, che agisce come una specie di catarsi, ma solo se viene comprese vissuto come un processo di consapevolezza, piuttosto che negazione. 
La risonanza della guerra, in questa prospettiva, non è solo distruttiva. Se una società è capace di riflettere sugli effetti psicologici e archetipi della guerra, potrebbe aprirsi un processo di guarigione e trasformazione, integrando le proprie ombre invece di proiettarlo sugli altri. 
Se questa consapevolezza non emerge, le guerre tendono a ripetersi come cicli di violenza senza fine. 
Per concludere secondo Jung la guerra di risonanza non riguarda solo gli effetti materiali e politici della guerra, ma è un fenomeno psicologico profondo che risuona nell’inconscio collettivo, risvegliando antichi archetipi e forze interiori non integrate. 
Per concludere, la risonanza secondo il pensiero di Jung riguarda la connessione profonda tra la psiche e il mondo. 
Che si tratti degli archetipi che emergono nei sogni, della sincronicità che intreccia eventi esterni e interiori o delle esperienze artistiche che toccano la psiche collettiva, la risonanza ci invita a riflettere su quanto siamo interconnessi con l’invisibile, con l’universale e con ciò che ci sta più a cuore. 
RISONANZA per me non è solo un concetto psicologico, ma un’esperienza che attraversa ogni aspetto della mia vita. 
Ogni volta che mi fermo a riflettere su un sogno, su un'intuizione, o anche su un incontro casuale che sembra avere un significato più profondo, mi rendo conto di quanto sia potente questa connessione invisibile tra la mia psiche e il mondo che mi circonda. Mi sembra che ci sia una continua danza tra il mio mondo interiore e l’universo, come se ogni evento, ogni simbolo, ogni emozione che vivo risuoni con qualcosa di più grande, di universale. 
E’ come se la sincronicità fosse sempre lì, a ricordarmi che siamo tutti interconnessi, che c’è un filo sottile che lega la nostra interiorità al mondo esterno. 
In questo senso, la risonanza non è solo una teoria , è un'esperienza viva che ci invita a essere più consapevoli di ciò che accade dentro di noi e intorno a noi. 
Penso che la risonanza come la intende Jung, sia una chiamata a fare un viaggio più profondo dentro di noi. 
Ogni volta che sento una connessione con un simbolo, un'emozione, o un archetipo, mi ricordo che c’è tanto da scoprire dentro di me. 
La risonanza è proprio questo. Un invito a non fermarci all’apparenza, ma ad ascoltare ciò che ci parla nel profondo. 
E, in un mondo così frenetico e spesso superficiale, credo che questo tipo di ascolto consapevole, questa ricerca di significato nelle piccole e grandi cose, sia un atto di vero risonanza, capace di trasformare non solo la nostra psiche, ma anche la nostra visione del mondo. 

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'Quando un amore diventa bisogno...' di Luca Botter

1/9/2025

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Un amico che non vedevo da un po' di tempo l' altro giorno mi racconta...
"Sai, ho conosciuto una donna meravigliosa qualche mese fa... È sposata, eravamo usciti in amicizia... poi qualcosa è scattato...tutto sembrava magico, tanto che ad un certo punto prende la decisione di separarsi dal marito anche per difficoltà preesistenti in coppia... Dopo due mesi comincia ad allontanarsi anche da me... Ho chiesto spiegazioni in merito e le motivazioni erano piuttosto comprensibili e reali a livello razionale...ma... "
Il mio amico non si dava pace... 
Noi in questa situazione come avremmo reagito?
Si può vivere un momento di sconforto, questo sicuramente.... Ma alcune persone cominciano a ritenere la loro vita inutile senza l' altra persona, e magari ad essere autolesioniste ... Sorge spontaneo chiedersi come sia stata impostata quella relazione, e soprattutto se di fondo ci sia o meno l' indipendenza emotiva necessaria per una relazione sana. Oltre alle domande da porsi appena elencate, è opportuno andare un po' più in profondità con un piccolo check per capire per esempio quale delle 5 ferite emotive risuonano maggiormente in quella persona .. Ed ecco preponderante la ferita dell' abbandono... Il mio amico, appena nato, venne messo in incubatrice a causa di alcuni problemi respiratori e questo segnò un trauma, una ferita. Aver riconosciuto questa ferita attraverso il ricordo ed avendone preso consapevolezza lo ha aiutato ad accettare la situazione per quella che è, focalizzandosi maggiormente sul proprio benessere....
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'Quando le conchiglie tornano a casa' di Lorenzo Manfredini

1/9/2025

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Cari amici e soci
Agosto si chiude piano, come una conchiglia che ha custodito segreti.
Sulla pelle portiamo ancora il sale, la sabbia, un’ora lenta, un silenzio nuovo.
Forse ci siamo sentiti più veri. O forse più vuoti, ma veri lo stesso.
E ora settembre arriva con la sua aria di ricomincio. Cosa portiamo con noi? Cosa lasciamo andare?

“La bambina che portava conchiglie nelle tasche”

C’era una bambina che, ogni estate, raccoglieva conchiglie speciali. Ma non le mostrava a nessuno. Le metteva in tasca, e poi se le portava a casa, quando l’estate finiva.
Ogni conchiglia conteneva qualcosa che lei aveva sentito:
– una risata tra i pini,
– il profumo del padre che l’abbracciava bagnato,
– il suono del mare di notte.
Quell’anno però, quando tornò a scuola, le conchiglie cominciarono a pesare troppo.
Facevano rumore quando si sedeva. Le prendevano in giro. “Cos’hai in tasca, pietre?”
Allora la bambina pensò di buttarle. Ma una sera, aprendo una, ne uscì un suono.
Era la sua voce che rideva. Una voce estiva, libera, vera.
Allora capì: non serviva portarle tutte con sé. Ne bastava una.
Una conchiglia-custode, da ascoltare ogni volta che il mondo sembrava troppo veloce.
Quella sera, mise le altre in una scatola, scrisse sopra: “Per quando mi dimentico chi sono”, e andò a dormire con una conchiglia sotto il cuscino.

Per i lettori grandi e piccoli
Hai il diritto di conservare il tuo silenzio lento. Nessuno può toglierti la voce che hai trovato d’estate.
Non serve portare tutto. Ma scegli almeno una conchiglia da ascoltare quando ricominci.
Chiedi al tuo bambino: “Cosa vuoi portare delle vacanze?” Poi fallo diventare storia.
Settembre non è un ritorno. È un passaggio. Un tempo di trasferimento d’anima: da un ritmo più lento a un passo più vero.
​
Ti auguro di iniziare settembre non con urgenza, ma con una conchiglia nelle tasche.
Magari piccola. Ma che suona la tua voce.
A presto, e buon rientro con le tasche piene di vento.
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'Emozioni Vs EmAzioni' di Guido Bonvicini

8/7/2025

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Psicologi e neuro scienziati cercano di capire e spiegare cosa sono le emozioni.  Il Dott. Goleman esprime il concetto con queste parole: “Le emozioni sono reazioni psicologiche e  fisiologiche, con cui ognuno risponde alle situazioni in cui si viene a trovare, ma anche alle proprie  elaborazioni mentali cioè ai propri pensieri.” 
Altri ricercatori esprimo il concetto con opinioni e modalità differenti, anche contrapposte, ma  pochi, pochissimi si soffermano su questa differenza: “reazioni con cui ognuno risponde alle  situazioni in cui si viene a trovare, ma anche alle proprie elaborazioni mentali”. Quanta differenza c’è tra un’emozione che percepisco “durante una situazione in cui mi trovo” e  un’emozione che sento “mentre la mia mente elabora un pensiero”?  
A mio avviso non possiamo trattare queste emozioni nello stesso modo: c’è una differenza  “enorme”, sostanziale, per più di una ragione! 
Prima tra tutte, l’emozione elaborata dalla mente “non esiste!”. È un’eresia? 
L’emozione della mente non riguarda la vita che sto vivendo “adesso”, ma sempre e solo la vita che  ho vissuto (o che credo di aver vissuto) o quella che “forse” vivrò nel futuro: l’emozione elaborata  dalla mente non è mai nel presente, quindi “non esiste” in quanto, se riguarda il passato, non c’è più e se è rivolta al futuro, non c’è ancora e forse, non ci sarà mai. 
Eppure è un fatto, queste emozioni le sentiamo eccome, e spesso ci bloccano in quel limbo, in quel  pensiero “parassita”. Allora cosa possiamo fare? Dobbiamo imparare a riconoscerle come  “emozioni energivore”: ci rubano energia e ci restituiscono nulla o poco in cambio, rendendoci  invece difficile la vita reale. 
Un altro tipo di emozione ci riempie la vita e la testa, che non può e non deve avere lo stesso valore:  quella che ci “inducono” gli altri! I registi, gli sceneggiatori, i giornalisti, i politici, i cronisti, gli  scrittori, i musicisti, gli atleti, i pubblicitari, … a volte il datore di lavoro o i colleghi: sono le  emozioni che ci vengono indotte! 
Le emozioni che percepiamo guardando un film, ascoltando il telegiornale, leggendo un articolo,  dando ascolto ad una pubblicità, sono emozioni costruite con certosina abilità per farci sentire  eccitati senza dover far fatica, felici senza dover uscire di casa, arrabbiati senza bisogno di litigare,  soddisfatti per un acquisto inutile o frustrati perché ci hanno guardato male! 
Dobbiamo diventare consapevoli che le emozioni indotte “non sono nostre” e non riguardano la  realtà della nostra vita attuale, dobbiamo saperle riconoscere e sceglierle se è nostro interesse. Quindi cosa conta?  
Contano le emozioni vissute durante l’azione di vivere. Io le chiamo EmAzioni. La gioia mentre gioco, la paura di cadere mentre pedalo, l’eccitazione mentre esploro un bosco, la  frustrazione mentre sbaglio strada, la rabbia mentre sento di aver detto una parola di troppo, l’estasi  mentre suono uno strumento, dipingo, scrivo, … 
Solo le EmAzioni mi permettono di gustare la vita e di imparare a crescere. Solo queste danno  valore alla mia vita. 
Buone EmAzioni a tutti.

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'Il Corpo che rivela l'essere' di Anna Faedda

8/7/2025

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Mi ero appena laureata in fisioterapia: nei tre anni di corso e tirocinio mi insegnarono a vedere il corpo come una specie di macchina che ogni tanto si inceppa o si rompe e che va aggiustata. Purtroppo, non di rado, la persona “proprietaria” di quel corpo non veniva neppure considerata nella sua globalità psicofisica: tante volte avevo sentito il personale sanitario riferirsi al paziente come “la protesi d’anca” e non come il Signor X operato di protesi d’anca; o più facilmente lo si chiamava “letto n…”. Trovavo molto inquietante questa consuetudine mascherata da praticità. La persona veniva identificata con la sua patologia!
Fu allora che conobbi la dott.ssa Laura Bertelè (www.metodobertele.it ), medico fisiatra, iscritta anche all’albo degli psicologi che mi guidò in un cambio di prospettiva importante: lei guardava in primis al malato e non alla malattia e la terapia che proponeva era globale, volta a ripristinare l’equilibrio dell’intero corpo e non solo della singola parte che mostrava il sintomo. Attraverso il lavoro sul corpo la persona aveva la possibilità di entrare in contatto con la parte emozionalmente ferita di sé, a cui non era riuscita a dar voce e che aveva trovato come unica strada di espressione il sintomo fisico. Lavorare col Metodo è stato ed è tuttora un viaggio entusiasmante, fatto di ascolto, presenza, attenzione: entri in punta di piedi nell’ Universo umano e ripercorri un cammino a ritroso alla ricerca del blocco originario, il più delle volte sconosciuto alla persona stessa. 
Negli ultimi anni, in seguito ad una vicenda personale, ho potuto aggiungere un ulteriore tassello a questa visione: la Malattia non più come manifestazione di qualcosa che non va ma come espressione della guarigione che è già avvenuta nell’Essere, per cui sarebbe più opportuno chiamarla “Benattìa”. Questa è la consapevolezza che ho acquisito grazie allo studio delle 5 Leggi Biologiche di Ryke Geerd Hamer, un ulteriore cambio di prospettiva che mi ha condotto da un lato a non avere più paura della “cosiddetta malattia” e dall’altro a comprendere che quando il sintomo si manifesta io non posso far altro che constatarlo, attendere che si completi il suo processo risolutivo( se necessario aiutarlo in questo). La cosa più importante è che il “lavoro” da fare è a monte: diventare pienamente cosciente di quale dinamica interiore mi ha portato a vivere in disarmonia una determinata situazione così da evitare di ripeterla ancora. A questo scopo ho conosciuto diversi strumenti che mi hanno aiutato ad entrare in contatto col mio Essere Autentico, ben diverso da quello che mi ero costruita fin da piccola per “sopravvivere” alle richieste esterne. In modo particolare ho approfondito la Mappa dei Bisogni di Jean Claude Badard, grazie alla quale ho potuto riconoscere il potenziale ancora inespresso ma che sentivo molto vivo in me ed è stato come tornare a casa dopo un lungo viaggio, ricordare qualcosa che avevo sempre percepito ma a cui non ero riuscita a dare un senso. Questo ha segnato un nuovo importante cambio di prospettiva: se io seguo la mia vera Essenza e mi assumo la responsabilità della mia storia, non avrò più richieste verso gli altri , uscirò dal giudizio perché avrò compreso che ognuno è qui per vivere e seguire la propria Chiamata. Così come il benessere delle singole parti di un corpo determina la sua Integrità e Salute, così tanti Individui in Ascolto di sé stessi possono generare un Collettivo Armonico e Sano.  ​
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'Caro Respiro' di Sara Santinon

8/7/2025

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Ti sei fatto conoscere quando avevo sedici anni, all'improvviso, dopo il mio primo attacco di panico. Da allora non ti ho più dato per scontato: sei diventato presenza costante, e talvolta inquietante.
Dopo quel primo episodio, hai continuato a bussare, soprattutto nei momenti in cui pensavo di averti finalmente “domato”. L’iperventilazione accompagnava spesso le mie giornate, respirare, da un momento all'altro, era diventato qualcosa di incontrollabile e temibile.
Sei tornato anche sotto forme diverse, prima, con l’ossessione di "dover pensare attivamente al respiro per continuare a respirare”, e poi con la sensazione di non riuscire a respirare "fino in fondo”. I controlli medici escludevano cause organiche, il problema era l’ansia.
È stato dopo essermi trasferita che ho deciso di affrontarti davvero. Grazie alla psicoterapia, allo sport, alle corse, ho iniziato a calmare il corpo e, indirettamente, anche te. Ma ancora non ti ascoltavo del tutto. Ti osservavo da fuori, ti trattavo come un sintomo e mai come una guida.
Di recente, grazie a questo Master, ad alcuni libri, come l’arte di respirare di James Nestor, e a nuove osservazioni su me stessa — il corpo in apnea, le spalle rigide — ti ho guardato con occhi diversi. Ho iniziato a dedicarti tempo e attenzione, a conoscerti con più curiosità.
Adesso so che non eri un nemico. Sei sempre stato lì per aiutarmi a portare in superficie ciò che cerco di ignorare. Non sono più arrabbiata con te. Anzi, ti ringrazio.
Mi hai insegnato che non posso conoscermi davvero se non ascolto il corpo. Non ti capisco del tutto, ma so che ora siamo una squadra.

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'Al Timone della mia vita' di Sara Santinon

8/7/2025

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It’s okay to be scared. Being scared means you’re about to do something really, really brave.
[Va bene avere paura. Avere paura significa che stai per fare qualcosa di veramente, veramente coraggioso.]
Mandy Hale

Ecco come il coaching mi ha aiutato a prendere la decisione di cui oggi più sono orgogliosa.
All'inizio di quest'anno, mi sentivo decisamente confusa. Mi si erano chiuse diverse strade e sentivo di dover trovare un modo per ritrovare la mia direzione.
Ho pensato al famoso detto "quando si chiude una porta di apre un portone", e ho cercato di non buttarmi giù ma di rispolverare vecchi sogni che avevo rimesso nel cassetto.
Senza troppe difficoltà si è ripresentata la voglia di viaggiare e fare volontariato, ora che non avevo lavoro o obiettivi di studio che mi tenessero ferma.
Ho pensato più volte che mi sarebbe piaciuto fare il servizio civile all'estero quando ero più piccola, ma anno dopo anno non trovavo mai il momento giusto. "Devo finire gli studi",  "Dove voglio andare con il Covid", "Non ho soldi".
Ora non avevo più scuse, e seguendo "la testa", ho iniziato a guardare le opportunità in Sud America, ma ascoltando meglio "la mia pancia" ho sentito che volevo andare in India, e mi sono innamorata di un progetto di volontariato a Kolkata, con donne e bambini.
Quindi perfetto! Guarda il bando e via, parti!
Ma non appena ho iniziato a immaginarmi concretamente un anno a fare il servizio civile all'estero, sono uscite allo scoperto tantissime paure, che hanno provato a farmi cambiare idea e non partire.
Grazie alle sedute di coaching ho deciso di affrontare queste paure parlandone e provando a capire come aggirarle.
Ho potuto ascoltare le parole di quella parte di me del passato coraggiosa, che non aveva paura di niente e sognava di scoprire il mondo. Quella parte mi diceva senza esitare di partire e di vivere.
Le obiezioni della me di oggi erano dolci, perchè cercavano di proteggermi, ma non erano nella direzione giusta.

C'è una meta comune a tutte le parti, anche a quelle più timorose, che si basa sulle aspirazioni e sui valori più radicati e profondi. A volte l'unico modo per non far prendere il comando alle nostre paure è dare loro il giusto spazio, non solo di esprimersi, ma di confrontarsi con le altre parti.
La scelta di aderire al bando ha avuto delle conseguenze che non mi sarei mai aspettata, non solo la paura di partire era scomparsa, ma ne era nata una nuova, opposta: la paura di non andare in India.
Questa nuova consapevolezza mi ha fatto sentire davvero felice e di nuovo al timone della mia vita.

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'Un Anno di Crescita Reciproca' di Sara Santinon

8/7/2025

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Quest’anno ho avuto la fortuna di affiancare una ragazza del liceo musicale con ipoacusia come assistente alla comunicazione.
Non si è trattato solo di tradurre parole o facilitare la comprensione: è stato un percorso di fiducia, motivazione e piccole conquiste quotidiane.

Due obiettivi principali
Abbiamo lavorato su due fronti:
  • Autostima e timidezza, perché credeva poco in sé stessa e faticava a esporsi davanti agli altri.
  • Difficoltà nelle materie linguistiche, in particolare inglese e italiano, materie in cui si sentiva meno capace, anche a causa della sua ipoacusia che rende più complessa la comprensione e l’acquisizione del linguaggio scritto e orale.
Pur essendo brillante nelle materie scientifiche, la lettura e la scrittura erano per lei una montagna da scalare.
Gli strumenti di coaching che ho usato
Ascolto attivo ed empatia
Per costruire una relazione autentica basata sulla fiducia.
Ho imparato a rispettare i suoi tempi, senza forzare: dopo le prime pressioni iniziali ho capito che ogni spinta eccessiva la faceva bloccare e tornare indietro. Condividere questa osservazione con l’insegnante di sostegno è stato fondamentale per trovare insieme un approccio più delicato e sostenibile.

Spazio sicuro e non giudicante
Ho creato uno spazio dove potesse sentirsi libera di provare e sbagliare senza il timore di essere giudicata e di avere una valutazione costante.
Un esempio: durante la lettura in inglese, evitavo di interromperla o correggerla. La correzione arrivava solo quando lei lo richiedeva. In questo modo non interrompevo la sua motivazione.

Modello positivo e condivisione
Ho scelto di condividere parti di me: le ho raccontato di quando ero timida e di come sono cambiata a piccoli passi. Questo le ha fatto capire che non era sola, e che anche la timidezza si può trasformare.
Sviluppo dell’autonomia
L’ho incoraggiata a prendere decisioni, anche a costo di sbagliare: era lei a scegliere cosa studiare e a parlare con i professori su quando e su cosa farsi interrogare.
Alla fine dell’anno, con mia enorme soddisfazione, ha iniziato anche a realizzare schemi personali in completa autonomia. Questo è stato un traguardo significativo, considerando che, da quando l'avevo conosciuta, ero sempre stata io a prepararle gli schemi.

Rinforzo positivo e feedback costruttivo
Ho cercato di valorizzare i dettagli, cosa aveva fatto bene: non solo “brava”, ma "Mi piace come hai scelto queste immagini che esprimono bene il concetto", o "Hai fatto un ottimo lavoro nel sintetizzare le informazioni, anche in inglese!".
Focus sui punti di forza
L’aspetto più potente: partire da ciò che le piaceva fare.
Scoprire che le piaceva usare Canva per creare loghi e presentazioni è stato il gancio perfetto per motivarla.
Abbiamo creato insieme un diario visivo: per vari temi, lei cercava informazioni (anche tramite video), selezionava immagini, curava l’impaginazione e scriveva un riassunto con parole chiave, anche in inglese.
Così la scrittura diventava un mezzo per realizzare qualcosa di bello e concreto.

Il risultato
Ogni pagina completata era una prova tangibile di ciò che poteva fare, nonostante le sue difficoltà.
Vedere crescere la sua sicurezza, la sua autonomia e il suo desiderio di mettersi in gioco è stata per me la conferma più grande: credere nelle persone è già un atto di coaching.


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'Ciak, si gira!' di Anna Faedda

8/7/2025

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Negli ultimi anni ho iniziato ad apprezzare lo stare da sola con me stessa e il silenzio: entrambe situazioni che cerco di creare il più possibile, con l’idea di entrare in contatto con la mia parte più autentica ma mi sono accorta di quanto il silenzio sia difficile da raggiungere, c’è una parte di me che fatica a staccare la spina…la Mente con i suoi infiniti pensieri e dialoghi. 
Secondo la tradizione Tolteca trasmessa da Don Juan a Castaneda ci sono delle entità chiamate Voladores che hanno instillato nella nostra mente la loro stessa mente, fatta di sistemi di credenze, abitudini, consuetudini sociali, e sono loro a definire le nostre paure, le nostre speranze, sono loro ad alimentare in continuazione il nostro Ego. Benchè questa visione possa apparire bizzarra, mi ha da sempre affascinato perché il più delle volte non mi sento padrona di me stessa, dei miei pensieri, come se questi accadessero senza il mio consenso e volontà. È così che mentre cammino nel bosco mi ritrovo a sentire una canzone che viene cantata nella mia testa e allora mi fermo, la osservo e si placa ma poi, riparto a camminare, e la musica si riavvia. In certi momenti rido di questo ma altre volte la canzone si trasforma in pensiero limitante e autodistruttivo, corre veloce, è in grado di creare immagini di possibili scenari, di cui io sono la protagonista, spesso nel ruolo di vittima. Accade tutto in pochi attimi e mi ritrovo in un vortice energivoro che mi trascina verso il basso, dove è difficile trovare soluzioni e la parte creativa è spenta, assente.
Come fare quindi a uscire da questi loop mentali? 
Credo che il primo passo sia Essere Coscienti che questi esistono e hanno delle caratteristiche precise: si sente spesso dire “La Mente mente” ed è proprio così. Lo fa ogni volta che giudica (sé stessa o gli altri), che ha paura, che dubita, quando genera pensieri limitanti e svalutanti: quello che accomuna tutte queste situazioni è che si ha una riduzione dell’energia, della capacità di concentrazione e attenzione, si vedono solo i problemi ma non le soluzioni. È come se il nostro Essere fosse frammentato in tante personalità, ognuna delle quali trova il suo momento per entrare in scena e farla da padrona su tutte le altre. 
In secondo luogo è fondamentale ascoltare le voci senza però identificarsi con esse, come se in noi ci fosse un Osservatore esterno che assiste curioso allo spettacolo: allora si potrà vedere emergere il Critico interiore che non è mai soddisfatto di quello che facciamo o il Bambino ferito che ha paura e dubita nel fare dei passi, o ancora il Ribelle che vorrebbe sovvertire tutti i sistemi o il Protettore che predilige la via conservativa, senza rischio alcuno.
A questo punto, una volta individuati i protagonisti, li si può far dialogare tra loro, in modo costruttivo, andando a scoprire qual è il bisogno nascosto dietro ognuno di essi, facilitando così l’integrazione e l’armonizzazione delle parti.
Che ruolo ha il Counselor in tutto questo? Può facilitare il processo che dalla confusione porta alla chiarezza: si avvale di tecniche che aiutano la persona a riconoscere gli “attori” che stanno partecipando allo “Spettacolo Interiore”, a osservarli e armonizzarli. Ascolta senza correggere, lasciando all’altro la possibilità di comprendere da solo dov’è il blocco, diventando così finalmente Regista e non più marionetta della sua stessa storia.
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'Quando è il corpo che parla!' di Guido Bonvicini

3/7/2025

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​Ricordo in modo particolare alcune prime volte: un uomo di 60 anni alla sua prima esperienza di arrampicata: non riusciva a dire una parola, ma saltava di gioia in cima a quella stretta vetta dolomitica come un adolescente al suo primo motorino. La prima volta in vetta al Cervino con un cliente, ci siamo abbracciati, entrambi con il nodo alla gola e gli occhi lucidi; le parole: inutili!
Gli adulti come i bambini, appena sentono di aver superato “quella paura” o di aver percepito “quel momentum” di gioia, esultano dentro, a volte non ne sono consapevoli e non esprimono parole, ma il corpo lo dice!
Studi di psicologia teorizzano che con la parola si comunica solo il 7%, con il tono di voce il 38% ma il linguaggio del corpo può comunicare il 55%.
L’ho sperimentato in molte occasioni, ma un’esperienza è stata molto forte: ho accompagnato quattro ragazzini in un corso di arrampicata, e con loro ho avuto importanti difficoltà di comunicazione; parlavamo lingue diverse, la loro per me era incomprensibile, poteva essere arabo, cinese, o marziano!
Esternavano le loro emozioni e desideri con modalità non convenzionali, non solo la lingua ma la cultura, lo standard comunicativo. Solo il corpo parlava con messaggi coerenti con il mio percepire.
Il timore, la curiosità dei primi giorni, delle prime prove, hanno presto trovato pace. Un poco alla volta, pur non conoscendo le nostre lingue, abbiamo cominciato a capirci. Interpretando i suoni, l’intercalare, leggendo la mimica facciale e i segnali del corpo affinavo la mia comprensione. Un po' alla volta la comunicazione non verbale, la comunicazione emotiva ed empatica prese piede, fino a capirci totalmente.
 
Edoardo era troppo giovane e poco interessato, voleva solo giocare. Paolo non era un tipo atletico, preferiva la riflessione ed aveva paura del vuoto. Isacco era portato per le attività atletiche, era forte, leggero, volitivo, non mollava mai, ma l’altezza non gli piaceva molto. Francesco era uomo di montagna, serio, deciso, senza paura, convinto, quando era il suo turno partiva e andava avanti senza indugi.
 
Al di la di tutte le incomprensioni linguistiche, le difficoltà peculiari dell’arrampicata e le caratteristiche dei ragazzi, dopo un breve percorso formativo i due ragazzi più portati scalarono una parete rocciosa di 25 m di altezza; vi assicuro che anche un perfetto estraneo come me poteva percepire in questi due ragazzi la gioia, l’entusiasmo e l’orgoglio di essere riusciti, forse anche l’affetto nei miei confronti e noi confronti dei loro accompagnatori per averli portati fino li.
L’autismo di cui erano affetti non era stato un limite! Le loro emozioni vennero espresse come quelle di qualunque coetaneo, con un linguaggio del corpo da imparare a leggere. Quella fu la chiave di lettura, attraverso il tono della voce, la mimica facciale e i movimenti del corpo. Le parole non c’erano e in effetti non sarebbero state essenziali.
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'I Conflitti Interiori' di Anna Fracasso

3/7/2025

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Per conflitto interiore si intende quell'esperienza in cui si hanno credenze psicologiche, desideri, o sentimenti opposti tra loro, dove in psicologia si utilizza il termine "dissonanza cognitiva". Questo è un tema che riguarda tutti noi, cioè i conflitti interiori in cui ci troviamo di fronte a una scelta o ad un argomento e la tua mente si riempie di voci contrastanti lasciandoti confuso e incapace di prendere una decisione. I conflitti interiori possono essere una grande fonte di stress e ansia, ma rappresentano anche un segnale prezioso della complessità della nostra mente e della ricchezza delle nostre emozioni. Immaginiamo una camera parlamentare mentale di tanti "io" dove c'è quello buono o cattivo, coraggioso o spaventato, razionale o irrazionale, dove ognuno di questi ha le proprie idee, strategie e sentimenti da realizzare. Quando arriva il momento di affrontare un evento della nostra vita, il parlamento inizia il dibattito in cui ogni "io" cerca di convincere gli altri che le sue proposte sono le migliori. Avere questi conflitti è anche un bene per la nostra flessibilità mentale, immaginando di trasformare il parlamento in una dittatura con un "io" alla Kim Jong, non più tante voci a confronto, ma con una sola persona a decidere per tutti. Allo stesso modo se nella nostra vita non esistessero conflitti, dubbi o incertezze, potrebbe essere il segno di una dittatura psicologica che rappresenta una rigidità mentale. Per gestire questi conflitti interiori, si deve imparare ad accettare i contrasti dentro di noi, piuttosto di sopprimerli e se cerchi di mettere a tacere una parte di te stesso, in realtà stai lottando contro te stesso. Si deve imparare a normalizzare le differenze e riconoscere che siamo degli esseri umani complessi, cercando di restare dentro a quel conflitto senza eliminarlo. Fare ordine alle diverse voci che convivono nella nostra mente, facendole dialogare e facendo pratica a visualizzare chiaramente le sfaccettature della nostra personalità, trovando punti di meditazione tra le diverse voci. Posso dire che con i video del mio docente Lorenzo Manfredini questo approfondimento e aiuto l'ho trovato molto utile per capire tante cose e ai continui sussurri interiori che ti portano alla confusione totale, ma avendo la consapevolezza di poter gestire e capire tutto questo condominio, hai la possibilità di affrontare le diverse situazioni che si presentano.
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'Altrove' di Nancy Baston

3/7/2025

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​La mattina del 22 giugno 2025 tre siti nucleari iraniani: Fordow (impianto sotterraneo), Natanz (principale centro di arricchimento), Isfahan (centro tecnologico nucleare) furono colpiti dalle forze armate Americane, mediante le seguenti armi: Quattordici bombe bunker-buster GBU-57 “Massive Ordnance Penetrator”, sganciate da bombardieri stealth B‑2 Spirit. Missili Tomahawk lanciati da sottomarini nel Golfo Persico.
…….
DEDICATO ALLE MAMME ISRAELIANE PALESTINESI E IRANIANE:
Sono al mare e dall’altra parte del mondo succede il finimondo.
Sono al mare e dall’altra parte del mondo una mamma come me ha paura.
Sono al mare e dall’altra parte del mondo figli di altre mamme devono crescere troppo in fretta.
Sono al mare e dall’altra parte del mondo andare a comperare il pane è uno slalom tra le bombe.
Sono al mare e dall’altra parte del mondo una notte di sonno profondo perde completamente il suo significato.
Sono al mare e dall’altra parte del mondo il valore della vita ….
Non sono un’esperta di storia ma se anche lo fossi troverei assurdo entrare nel merito delle più o meno motivazioni che spingono ambo le parti a rivendicare mediante la guerra i propri diritti, se così si possono definire, perché di fronte ad una vita spezzata tutto diventa banale e infondato, o perlomeno dovrebbe esserlo! Cosa spinge i “potenti” - prepotenti della terra a invertire le priorità dell’esistenza? Il potere, gli interessi economici, ma c’è dell’altro, qualcosa di più profondo, radicato e nascosto:
uno sguardo rivolto ALTROVE, poca attenzione vera al sé, produce come risultato poco o nessun rispetto dell’altro.
Non comprendo perché non si riesca a fare nulla per tutelare i più deboli e i bambini, nonostante le innumerevoli organizzazioni esistenti a tutela dei diritti umani.
La prima organizzazione per i diritti umani nasce nel XIX secolo, anche se le idee sui diritti umani hanno radici più antiche (Illuminismo, Rivoluzione Francese, ecc.).
 Prima organizzazione ufficiale: Anti-Slavery Society (1823, Regno Unito)
  • Nome completo: Society for the Mitigation and Gradual Abolition of Slavery Throughout the British Dominions Fondata: nel 1823 a Londra
  • 1961: Fondazione di Amnesty International
OGGI alcune organizzazioni:
      Organismi intergovernativi / multilaterali
  • Ufficio dell’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani (OHCHR)
    Coordina monitoraggio, educazione e azione a sostegno dei diritti umani su scala globale.
  • Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (UNHRC)
    Ente che indaga e raccomanda soluzioni per violazioni gravi in vari paesi
  • Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU)
    Applicazione della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, con sede a Strasburgo.
Alla luce di queste informazioni mi chiedo perché queste intelligenze reali non siamo sufficienti per fare quello per cui sono nate!
ChatGPT mi corregge scrivendo che non può essere definito conflitto, perché non è stata dichiarata guerra formalmente, come se incursioni armate non fossero abbastanza esplicite o sufficienti, stati e diplomazia non servono e attualmente non sono incisivi, le mie domande, definite interessanti da A.I . ricevono risposte fiacche e senza senso per me, che non conoscendo tutta la storia nel dettaglio rivolgo lo sguardo ad una auspicabile soluzione reale, efficace e pacifica.  
Cosa possiamo fare quando nulla sembra bastare? Quando gli inesauribili, instancabili oserei dire insaziabili interessi economici non cedono il passo, mai! Nemmeno se si tratta di salvare vite innocenti!
Per quanto mi riguarda sento di dover fare i conti con la mia parte di colpa per omissione: per essermi permessa di continuare le mie giornate come se nulla fosse, di uscire a bere l’aperitivo, quando in quell’altrove vivono nella paura e semplicemente uscire per fare la spesa diventa un lusso, le necessità primarie sono sovvertite da una dimostrazione di forza, fasulla perché sostenuta solo da armi.
L’indifferenza generale mi tocca e mi condiziona. Mi sale una profonda sfiducia nella poca parvenza di controllo che credo di avere della mia quotidianità, confort zone. Mi domando come posso rendere sensibili e consce le mie figlie riguardo queste situazioni che ci investono ma ci sembrano lontane, e se ci riuscissi a trasmettere loro un elevato senso di giustizia e solidarietà, servirebbe a cambiare le cose?  Probabilmente lasceranno al modo meno scie di dolore, ma ci saranno altri a farlo al posto loro!
Cerco nel web come potrei essere utile in qualche modo, ma tutte le risposte che leggo mi sembrano inconcludenti. In una società oramai anestetizzata, sono senza alleati in questa lotta. La mia mente vaga in cerca di consigli e purtroppo dal passato affiora un ricordo che non mi aspettavo, una frase, l’ho sentita molte volte, da molteplici fonti, mi è stata insegnata e io l’ho imparata:
“Noi non possiamo farci nulla” tradotto: non è affar nostro sono altre culture, diverse, altrove.
Io sono al mare. 
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'Giuseppe: il coraggio di aspettare un abbraccio e il sorriso ritrovato' di Giusy Galipo'

3/7/2025

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​Le case di riposo sono spesso percepite come luoghi tristi, quasi fossero “lager” dove gli anziani vivono nell’isolamento e nella sofferenza. Questo pregiudizio nasce da esperienze negative che finiscono per oscurare il vero significato di un luogo dedicato alla cura. La verità è che dietro una casa protetta c’è molto di più: c’è l’idea di creare un ambiente dove le persone più fragili possano ritrovare il sorriso, la serenità e, soprattutto, la dignità. Non si tratta solo di fornire assistenza, ma di accompagnare ciascuno nel suo percorso di vita, con il rispetto e la cura che ogni persona merita. Oggi vogliamo raccontarvi la storia di Giuseppe, uno degli ospiti che vive con noi da tanti anni e che ci insegna ogni giorno il valore della dignità anche nelle situazioni più difficili.
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La storia di Giuseppe: Giuseppe è con noi dal 2007. La sua vita è cambiata all’improvviso quando, ancora relativamente giovane, è stato colpito da sclerosi multipla. La malattia ha compromesso la sua autonomia, e vivere a casa con la madre anziana è diventato impossibile. Così sono arrivati insieme nella nostra struttura, cercando un luogo sicuro dove affrontare la malattia senza perdere se stessi. Con il passare del tempo, la situazione è cambiata. La madre di Giuseppe è venuta a mancare, e da allora la nostra casa protetta è diventata la sua unica famiglia. La malattia, però, non ha smesso di avanzare, portandolo a perdere gradualmente ogni gesto quotidiano: mangiare, lavarsi, persino parlare. Spesso, nel tentativo di comunicare, rischia di soffocare, e ogni giorno è una lotta per mantenere la dignità nonostante le difficoltà.
 
Un momento di gioia: la festa in casa protetta: Nonostante tutto, ci sono anche momenti in cui Giuseppe ritrova un po’ di quella leggerezza che la malattia gli ha portato via. Uno di questi è quando organizziamo feste e momenti di socialità per gli ospiti. Di recente abbiamo organizzato una festa con musica e balli. Molti anziani si sono alzati, hanno danzato insieme, sorridendo e godendo di un momento di allegria. E Giuseppe? Era lì, come sempre, a guardare dalla sua sedia, con lo sguardo luminoso e un’espressione che parlava da sola: quell’armonia spezzava la routine della sua malattia, lo faceva sentire parte di qualcosa di vivo, vero, pieno di energia positiva. Vederlo così ci ha fatto capire quanto sia importante creare momenti di spensieratezza, perché non sono solo una pausa dalla routine, ma una vera e propria cura per l’anima.

Conclusione: La dignità non è garantita solo da una buona assistenza sanitaria, ma dalla capacità di essere vicini e di far sentire le persone parte di una famiglia. Giuseppe ci insegna ogni giorno che vivere con dignità non significa solo essere accuditi, ma essere riconosciuti come persone.
Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo fare in modo che il presente sia meno duro. Ogni giorno cerchiamo di far sentire Giuseppe vivo e importante, anche quando le sue giornate sono fatte di attese e silenzi. Perché nessuno dovrebbe mai sentirsi abbandonato, soprattutto quando la vita è già così complicata.
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'Un pomeriggio a casa della nonna' di Giusy Galipo'

3/7/2025

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Doveva essere solo un pranzo come tanti. Invece è diventato un insegnamento silenzioso, profondo.
Sono rimasta sulla soglia della cucina, in silenzio. Le ho guardate: mia mamma e mia figlia. Due generazioni a confronto, con lo stesso sorriso. Mi ha investito il profumo inconfondibile delle polpette in agrodolce.
“Nonnina, ti ha fatto le polpette”, le ha detto mia madre a Flavia, con quella voce che è carezza pura.
Non era un invito. Era amore. Amore in formato nonna.
Tra un taglio di provola e un battibecco col nonno, ha iniziato a raccontarle frammenti della sua infanzia.
Ha detto a Flavia che, alla sua età, lei lavorava già nei campi: piantava, raccoglieva, dava da mangiare alle galline. E quando sua madre non le permetteva di prendere le uova, lei si arrangiava a modo suo: infilava la mano direttamente dentro la gallina.
“Facevo prima”, ha detto ridendo, mentre Flavia la guardava a bocca aperta, metà shock e metà ammirazione.
Poi è arrivato il racconto d’amore. Quello che, da piccola, ascoltavo anch’io con gli occhi lucidi.
La mamma era promessa a un altro, ma quando vide il papà – il mio papà – le tremarono le gambe. Capì subito che la sua felicità era da un’altra parte.
E così, con un pizzico di follia e tanto coraggio, cominciò a scrivere lettere anonime al fidanzato dell’epoca:
“Lina non è la ragazza giusta per te.”
“Lina non ha le qualità che ti servono.”
Missione compiuta: matrimonio annullato e nozze con il nonno.
Lui aveva 23 anni, lei 22.
E da lì è nata una famiglia che, se ve la raccontassi tutta, sembrerebbe un film.
Siamo rumorosi, imperfetti, intensi… ma veri. E in quel momento, mentre le guardavo insieme, ho capito di non avere bisogno di altro.
Mia madre insegna ogni giorno, senza farlo apposta.

A me. A Flavia.
– Che la famiglia è sacra
– Che l’amore si dona, non si misura
– Che cucinare per qualcuno è un modo per dirgli: “ti voglio bene”.
Dopo pranzo, mentre lavava i piatti (perché “lei lo fa meglio di tutti noi messi insieme”), ha guardato Flavia e le ha detto:
“Tu hai una vita davanti. Io non ho avuto le stesse possibilità. Sfruttale. Vivile tutte, fino in fondo.
La vita è una sola. Non sprecarla. Non farti mai contagiare dalla rabbia di chi urla. La violenza è solo una scorciatoia per chi non sa amare.
A noi, invece, piace la lentezza.”
Poi si sono messe sul divano, a guardare un po’ di tv.
Hanno aspettato che il nonno si addormentasse… e gli hanno messo il rossetto.
(Tanto non se ne accorge mai.)
Io le ho guardate da lontano. Ho sorriso.
Non ho fatto foto. Non si può. Non renderebbero.
Ma quella scena – mia madre, mia figlia, un nonno con il rossetto – è incisa nella mia memoria.
E certe memorie valgono più di mille scatti.
Morale?
Non bisogna fare il giro del mondo per imparare qualcosa sulla vita.
Basta stare in cucina.
Con una nonna, una figlia…
Un piatto di polpette, e tanto amore intorno.

Perché il tempo passato con chi ci ama davvero è l’unica eredità che conta.
E i ricordi più belli, quelli veri… non hanno bisogno di filtri.
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'L’arte di ridare al dolore la sua giusta dimensione' di Giusy Galipo'

3/7/2025

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A volte ci sembra che tutto ci crolli addosso. Un imprevisto, una parola detta male, un ostacolo che non avevamo previsto. E all’improvviso, un singolo problema prende spazio… troppo spazio. Si gonfia nella mente, ruba energia, diventa una montagna insormontabile. Eppure, depotenziare i problemi è possibile. Non serve negare le difficoltà, ma ridare loro le giuste proporzioni, evitando di trattare ogni ritardo, errore o imprevisto come l’anticamera dell’apocalisse personale.
Un problema è un nodo da sciogliere, non una condanna. E a volte, cambiare il modo in cui lo guardiamo è già un primo passo per superarlo.
Chiedersi:
“È davvero così grave?”
“Mi sembrerà ancora così pesante tra una settimana?”
“Cosa posso imparare da questo?”

sono domande semplici ma potenti.

​Depotenziare i problemi significa anche non confondere il disagio con il destino.
E imparare a rispondere con lucidità (magari con un pizzico di autoironia), anziché con allarmismo teatrale. In fondo, non si tratta di ignorare le sfide, ma di trattarle per quello che sono: capitoli, non il finale del libro.
Morale della favola: meno amplificazione, più azione. Perché sì, possiamo anche prendere la vita   sul serio. Ma non è detto che dobbiamo prenderla sul tragico.

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