L’ultimo gradino che stanca più dell’intera scalinata
Nella grande esplorazione del nostro inconscio, dobbiamo prestare attenzione ai piccoli dettagli che spesso nascondono grandissimi significati sulla nostra personalità e percezione delle cose.
Fin da piccola sono sempre stata un’appassionata di attività manuali e da allora mi sono resa conto di un meccanismo che andava ripetendosi nel tempo.
All’inizio del lavoro ero sempre molto entusiasta e procedevo anche ad un ritmo veloce ma, con il progredire della realizzazione diventavo sempre più lenta e svogliata man mano che si avvicinava la conclusione. In particolare mi è capitato in un paio di casi che interrompessi la realizzazione proprio quando mancava pochissimo per finire.
La ciclicità di questa cosa mi ha dato la conferma che non poteva essere un caso e, guardandomi intorno, ho notato che non succedeva soltanto a me.
Pensiamo a quante persone di nostra conoscenza hanno mollato l’università solo quando magari mancavano pochi o addirittura un solo esame alla laurea.
Ma che cosa significa quell’ultimo passo che tanto ci pesa?
Quando una cosa si è conclusa dobbiamo poi staccarci da essa e magari cominciare qualcos’altro.
Non è sempre facile lasciar andare anche perché “lasciar andare” fa rima con “accettare”.
Anche nelle situazioni più difficili, attivarsi e cercare di fare qualcosa (anche se magari non è la cosa giusta), ci fa sentire partecipi ed inoltre tenerci impegnati in un’attività ci distrae dalle nostre vere emozioni. Più difficile invece è riuscire a capire quando è il momento giusto di fermarci, di fare una pausa, di staccarsi (è quello che non riesce a fare chi va in burn-out), di riflettere e di accettare le cose così come sono, che spesso il nostro intervento può essere inutile o addirittura dannoso e trovare la serenità dentro questa situazione. Lasciar andare qualcosa per iniziarne un’altra fa parte del naturale ciclo di vita del mondo, come dice il filosofo Eraclito “Panta rei”, tutto scorre e tutto cambia. La paura del nuovo e dell’ignoto invece spesso fanno da ostacolo a quello che dovrebbe diventare un muscolo della nostra anima ben allenato. Fatto di cose che iniziano, finiscono e danno spazio ad altre cose nuove che a loro volta finiranno e così via. Vedendoci osservatori consapevoli e saggi (anche quando a finire sono cose belle) e costruttori responsabili dentro una vita che si trasforma e trasforma anche noi insieme a lei.
Inoltre, in questo nostro ultimo gradino, si nasconde anche la paura del giudizio.
Quando una cosa finisce, è completa, diventa anche valutabile, mentre se rimane incompiuta possiamo “salvarci” dalla paura di non sentirci all’altezza dietro al fatto che seppur quella cosa non soddisfa le aspettative nostre o altrui, è solo perché non è finita.
Così ci creiamo una gabbia dorata dove quella cosa, potendola giudicare solo noi, non ci espone al giudizio degli altri. Le aspettative spesso sono sempre molto più alte rispetto alla realtà e questo ci fa sentire spesso inadeguati in un mondo che sembra accettare e promuovere solo le cose perfette.
Dovremmo ricordare più spesso a noi stessi che quando qualcosa si porta dentro la nostra passione, il nostro impegno, si porta dentro anche una piccola parte di noi e questo la rende già preziosissima anche qualora non riuscisse a soddisfare le nostre aspettative o quelle degli altri.
É unica, come i sentimenti che ci hanno permesso di dargli vita.
Nella grande esplorazione del nostro inconscio, dobbiamo prestare attenzione ai piccoli dettagli che spesso nascondono grandissimi significati sulla nostra personalità e percezione delle cose.
Fin da piccola sono sempre stata un’appassionata di attività manuali e da allora mi sono resa conto di un meccanismo che andava ripetendosi nel tempo.
All’inizio del lavoro ero sempre molto entusiasta e procedevo anche ad un ritmo veloce ma, con il progredire della realizzazione diventavo sempre più lenta e svogliata man mano che si avvicinava la conclusione. In particolare mi è capitato in un paio di casi che interrompessi la realizzazione proprio quando mancava pochissimo per finire.
La ciclicità di questa cosa mi ha dato la conferma che non poteva essere un caso e, guardandomi intorno, ho notato che non succedeva soltanto a me.
Pensiamo a quante persone di nostra conoscenza hanno mollato l’università solo quando magari mancavano pochi o addirittura un solo esame alla laurea.
Ma che cosa significa quell’ultimo passo che tanto ci pesa?
Quando una cosa si è conclusa dobbiamo poi staccarci da essa e magari cominciare qualcos’altro.
Non è sempre facile lasciar andare anche perché “lasciar andare” fa rima con “accettare”.
Anche nelle situazioni più difficili, attivarsi e cercare di fare qualcosa (anche se magari non è la cosa giusta), ci fa sentire partecipi ed inoltre tenerci impegnati in un’attività ci distrae dalle nostre vere emozioni. Più difficile invece è riuscire a capire quando è il momento giusto di fermarci, di fare una pausa, di staccarsi (è quello che non riesce a fare chi va in burn-out), di riflettere e di accettare le cose così come sono, che spesso il nostro intervento può essere inutile o addirittura dannoso e trovare la serenità dentro questa situazione. Lasciar andare qualcosa per iniziarne un’altra fa parte del naturale ciclo di vita del mondo, come dice il filosofo Eraclito “Panta rei”, tutto scorre e tutto cambia. La paura del nuovo e dell’ignoto invece spesso fanno da ostacolo a quello che dovrebbe diventare un muscolo della nostra anima ben allenato. Fatto di cose che iniziano, finiscono e danno spazio ad altre cose nuove che a loro volta finiranno e così via. Vedendoci osservatori consapevoli e saggi (anche quando a finire sono cose belle) e costruttori responsabili dentro una vita che si trasforma e trasforma anche noi insieme a lei.
Inoltre, in questo nostro ultimo gradino, si nasconde anche la paura del giudizio.
Quando una cosa finisce, è completa, diventa anche valutabile, mentre se rimane incompiuta possiamo “salvarci” dalla paura di non sentirci all’altezza dietro al fatto che seppur quella cosa non soddisfa le aspettative nostre o altrui, è solo perché non è finita.
Così ci creiamo una gabbia dorata dove quella cosa, potendola giudicare solo noi, non ci espone al giudizio degli altri. Le aspettative spesso sono sempre molto più alte rispetto alla realtà e questo ci fa sentire spesso inadeguati in un mondo che sembra accettare e promuovere solo le cose perfette.
Dovremmo ricordare più spesso a noi stessi che quando qualcosa si porta dentro la nostra passione, il nostro impegno, si porta dentro anche una piccola parte di noi e questo la rende già preziosissima anche qualora non riuscisse a soddisfare le nostre aspettative o quelle degli altri.
É unica, come i sentimenti che ci hanno permesso di dargli vita.