Come ho avuto modo di dire in più di una occasione all’inizio della mia partecipazione alla 13° edizione del Master in Mental Coaching STEP, una delle ragioni che mi ha portato a valutare l’utilità di questo percorso per me sono stati i lutti vissuti nel corso dell’ultimo anno e mezzo.
La perdita definitiva di persone care, siano essi famigliari o intimi amici, è qualcosa di travolgente, che scombussola ogni equilibrio e richiede di ricercarne di nuovi per poter ripartire. Suppongo che spesso questi tipi di eventi possano essere una delle basi motrici che spingono le persone a rivolgersi a un coach, quando cioè qualcosa di traumatico li mette di fronte alla necessità di ritrovare motivazione, obiettivi, desideri, che diano un nuovo senso (anche se un senso non ce l’ha…diceva una famosa canzone) al percorso articolato che è la vita.
Dal punto di vista scientifico, documentandosi, il lutto è quasi universalmente riconosciuto come costituito da cinque fasi successive. La negazione, ossia l’incapacità iniziale di accettare l’accaduto, che si traduce in una apparente iniziale assenza di reazione emotiva. La rabbia: costituita da ritiro sociale, sensazione di solitudine e necessità di direzionare il dolore verso qualcuno o verso la vita stessa, o verso sé stessi per non averlo impedito. La negoziazione: la necessità di sopravvivere richiede di iniziare a “patteggiare”, di ritrovare nuovi stimoli da progetti, persone nuove, nuove amicizie; è il periodo degli alti e bassi. La depressione: la consapevolezza di ciò che non sarà più, ciò che abbiamo perso si manifesta con la tristezza, il dolore è vivo e presente. L’accettazione: il tempo ci permette di completare il processo di elaborazione, e inizia una fase in cui si riesce a voltare pagina; la tristezza è più tenue, e si alterna a una ritrovata capacità di vivere momenti felici.
Nella mia personale esperienza non so se le ho vissute tutte, tutte in questo ordine o se ancora sono fermo in qualcuna di esse. Di certo ci si sente sospesi, alla ricerca di nuove ispirazioni e nuove ancore, che ci rilancino verso un orizzonte più chiaro e voluto.
L’accettazione credo passi anche dalla consapevolezza che la perdita è parte della vita, che le due cose sono intrise l’una dell’altra e che in contrapposizione coesistono, e in questo ci è richiesto di trovare il nostro equilibrio.
Credo che i coach possano essere di grande utilità. Quando ovviamente non si è di fronte a una complessa situazione irrisolta che richieda un intervento più strutturato di supporto psicologico, il coach nel favorire l’individuazione di desideri, potenzialità, obiettivi, può aiutare a creare i presupposti per la desiderata ripartenza, favorendo l’indirizzo delle energie in modo costruttivo e positivo per il coachee che ne richiede il supporto.
Quando penso al “lutto” penso al film “Voglia di Tenerezza”, un capolavoro che mi turbò particolarmente da adolescente complesso qual’ero, narrando una storia comune dove vita e morte si alternano presenti in un turbinio di emozioni. E la tenerezza a cui si fa riferimento nel titolo è probabilmente la capacità di assaporare la semplice normalità, ogni giorno; un invito a vivere la vita in ogni naturale momento, senza affanni.
La perdita definitiva di persone care, siano essi famigliari o intimi amici, è qualcosa di travolgente, che scombussola ogni equilibrio e richiede di ricercarne di nuovi per poter ripartire. Suppongo che spesso questi tipi di eventi possano essere una delle basi motrici che spingono le persone a rivolgersi a un coach, quando cioè qualcosa di traumatico li mette di fronte alla necessità di ritrovare motivazione, obiettivi, desideri, che diano un nuovo senso (anche se un senso non ce l’ha…diceva una famosa canzone) al percorso articolato che è la vita.
Dal punto di vista scientifico, documentandosi, il lutto è quasi universalmente riconosciuto come costituito da cinque fasi successive. La negazione, ossia l’incapacità iniziale di accettare l’accaduto, che si traduce in una apparente iniziale assenza di reazione emotiva. La rabbia: costituita da ritiro sociale, sensazione di solitudine e necessità di direzionare il dolore verso qualcuno o verso la vita stessa, o verso sé stessi per non averlo impedito. La negoziazione: la necessità di sopravvivere richiede di iniziare a “patteggiare”, di ritrovare nuovi stimoli da progetti, persone nuove, nuove amicizie; è il periodo degli alti e bassi. La depressione: la consapevolezza di ciò che non sarà più, ciò che abbiamo perso si manifesta con la tristezza, il dolore è vivo e presente. L’accettazione: il tempo ci permette di completare il processo di elaborazione, e inizia una fase in cui si riesce a voltare pagina; la tristezza è più tenue, e si alterna a una ritrovata capacità di vivere momenti felici.
Nella mia personale esperienza non so se le ho vissute tutte, tutte in questo ordine o se ancora sono fermo in qualcuna di esse. Di certo ci si sente sospesi, alla ricerca di nuove ispirazioni e nuove ancore, che ci rilancino verso un orizzonte più chiaro e voluto.
L’accettazione credo passi anche dalla consapevolezza che la perdita è parte della vita, che le due cose sono intrise l’una dell’altra e che in contrapposizione coesistono, e in questo ci è richiesto di trovare il nostro equilibrio.
Credo che i coach possano essere di grande utilità. Quando ovviamente non si è di fronte a una complessa situazione irrisolta che richieda un intervento più strutturato di supporto psicologico, il coach nel favorire l’individuazione di desideri, potenzialità, obiettivi, può aiutare a creare i presupposti per la desiderata ripartenza, favorendo l’indirizzo delle energie in modo costruttivo e positivo per il coachee che ne richiede il supporto.
Quando penso al “lutto” penso al film “Voglia di Tenerezza”, un capolavoro che mi turbò particolarmente da adolescente complesso qual’ero, narrando una storia comune dove vita e morte si alternano presenti in un turbinio di emozioni. E la tenerezza a cui si fa riferimento nel titolo è probabilmente la capacità di assaporare la semplice normalità, ogni giorno; un invito a vivere la vita in ogni naturale momento, senza affanni.