Da sempre penso che il pianto sia una modalità comunicativa importante, ma che il rimpianto serva solo a se stesso.
Concordo sulla lapidaria definizione secondo cui il rimpianto sarebbe una reazione negativa, conscia ed emotiva ad azioni e/o comportamenti del passato che si manifesta nel momento in cui ci si accorge di qualcosa che si sarebbe voluto fare ma che non si è fatto…
Condivido la riflessione di Jonathan Coe secondo cui “ Avrei potuto ( e/o voluto, dovuto ) sono le parole più dolorose del linguaggio umano” nonché l’intenso messaggio di Paulo Coelho secondo cui “La luce dei nostri sogni si trasforma nel mostro dei nostri incubi e diveniamo chiavi delle cose non realizzate, delle possibilità non vissute “ o ancora il meno poetico ma sempre efficace “ diktat“ secondo cui sarebbero sempre meglio i rimorsi dei rimpianti..“.
Rimpianto come espressione di sentimento di mancanza, di assenza, di fatto uno spreco di energia che porta lontano dal nostro sé, ma la domanda che mi pongo oggi alla soglia dei 54 anni non è più soltanto che cosa significhi per me rimpiangere un qualcosa di “ non realizzato “ in passato.
Non mi basta più la consapevolezza che una sconfitta è temporanea, mentre il rimpianto è per sempre, tutto questo è vero, ma sta nel “pensiero“; dalla mia pancia e dal mio cuore – oggi ed in questo luogo - che cosa mi sta realmente arrivando?
Sensazione di soffocamento, fame di aria o, più semplicemente, paura di inadeguatezza rispetto a qualcosa che forse avrei potuto fare un tempo ma che ora ritengo non essere più in grado di ( o in tempo a ) fare?
Mi fermo un attimo cercando di entrare in contatto con quello che c’è in questo momento: ricorrendo alla modalità di esplorazione che più mi appartiene visualizzo di essere scivolata in basso, in una specie di grotta e, vincendo ( con fatica ) l’istinto dell’evitamento, provo a restarci e a respirarci dentro.
Non occupo molto spazio, ma sento che l’ambiente intorno a me è stretto.
Un masso avanza verso di me, realizzo che chiuderà l’apertura, ma osservo come il suo cammino non sia poi così veloce e calcolo che potrei fermarlo.
Sono lucida e rifletto che se il masso chiudesse l’apertura, non sarei, comunque, in pericolo, perché il mio spazio vitale non sarebbe toccato.
Penso, quindi, che potrei anche “ accontentarmi” di questo spazio, zona per me sufficiente, tutto sommato confortevole.
Avverto, tuttavia, che fuori c’è dell’altro e che questo “ altro “ potrebbe farmi stare meglio: inutile continuare a girarci intorno”: sento che mi manca qualcosa.
Nasciamo liberi, la possibilità di un’alternativa al nostro comfort esiste sempre, si chiama sfida.
Oggi mi interessa poco quello che avrei potuto/voluto fare un tempo.
Vivere nell’”avrei potuto “… significa fuggire dalla realtà che è solo ed esclusivamente quella del qui ed ora.
Ciò che importa è quanto si possa fare/essere ora…io, chi leggerà queste righe…chiunque.
Difficoltà del e nel percorso? Probabilmente.
Strada impervia, ma nel cammino mi ( ci ) assiste e muove una forza che spinge alla ricerca di un equilibrio.
La motivazione indirizza alla conquista del nostro vero sé, facendo percepire il piacere di stare nella sfida accolta, anche a prescindere dalle “catene“ dei risultati, dai ceppi che ci soffocano e che permettiamo sempre che ci vengano imposti.
Respirare nel flusso di una decisione ragionata, consapevole, ma soprattutto propria, questa - credo e sento - la vera conquista che oggi, pur nelle difficoltà della sua realizzazione, mi rende serena, perchè - finalmente - presente, capace di avvertire la luce oltre il vecchio confine.
Concordo sulla lapidaria definizione secondo cui il rimpianto sarebbe una reazione negativa, conscia ed emotiva ad azioni e/o comportamenti del passato che si manifesta nel momento in cui ci si accorge di qualcosa che si sarebbe voluto fare ma che non si è fatto…
Condivido la riflessione di Jonathan Coe secondo cui “ Avrei potuto ( e/o voluto, dovuto ) sono le parole più dolorose del linguaggio umano” nonché l’intenso messaggio di Paulo Coelho secondo cui “La luce dei nostri sogni si trasforma nel mostro dei nostri incubi e diveniamo chiavi delle cose non realizzate, delle possibilità non vissute “ o ancora il meno poetico ma sempre efficace “ diktat“ secondo cui sarebbero sempre meglio i rimorsi dei rimpianti..“.
Rimpianto come espressione di sentimento di mancanza, di assenza, di fatto uno spreco di energia che porta lontano dal nostro sé, ma la domanda che mi pongo oggi alla soglia dei 54 anni non è più soltanto che cosa significhi per me rimpiangere un qualcosa di “ non realizzato “ in passato.
Non mi basta più la consapevolezza che una sconfitta è temporanea, mentre il rimpianto è per sempre, tutto questo è vero, ma sta nel “pensiero“; dalla mia pancia e dal mio cuore – oggi ed in questo luogo - che cosa mi sta realmente arrivando?
Sensazione di soffocamento, fame di aria o, più semplicemente, paura di inadeguatezza rispetto a qualcosa che forse avrei potuto fare un tempo ma che ora ritengo non essere più in grado di ( o in tempo a ) fare?
Mi fermo un attimo cercando di entrare in contatto con quello che c’è in questo momento: ricorrendo alla modalità di esplorazione che più mi appartiene visualizzo di essere scivolata in basso, in una specie di grotta e, vincendo ( con fatica ) l’istinto dell’evitamento, provo a restarci e a respirarci dentro.
Non occupo molto spazio, ma sento che l’ambiente intorno a me è stretto.
Un masso avanza verso di me, realizzo che chiuderà l’apertura, ma osservo come il suo cammino non sia poi così veloce e calcolo che potrei fermarlo.
Sono lucida e rifletto che se il masso chiudesse l’apertura, non sarei, comunque, in pericolo, perché il mio spazio vitale non sarebbe toccato.
Penso, quindi, che potrei anche “ accontentarmi” di questo spazio, zona per me sufficiente, tutto sommato confortevole.
Avverto, tuttavia, che fuori c’è dell’altro e che questo “ altro “ potrebbe farmi stare meglio: inutile continuare a girarci intorno”: sento che mi manca qualcosa.
Nasciamo liberi, la possibilità di un’alternativa al nostro comfort esiste sempre, si chiama sfida.
Oggi mi interessa poco quello che avrei potuto/voluto fare un tempo.
Vivere nell’”avrei potuto “… significa fuggire dalla realtà che è solo ed esclusivamente quella del qui ed ora.
Ciò che importa è quanto si possa fare/essere ora…io, chi leggerà queste righe…chiunque.
Difficoltà del e nel percorso? Probabilmente.
Strada impervia, ma nel cammino mi ( ci ) assiste e muove una forza che spinge alla ricerca di un equilibrio.
La motivazione indirizza alla conquista del nostro vero sé, facendo percepire il piacere di stare nella sfida accolta, anche a prescindere dalle “catene“ dei risultati, dai ceppi che ci soffocano e che permettiamo sempre che ci vengano imposti.
Respirare nel flusso di una decisione ragionata, consapevole, ma soprattutto propria, questa - credo e sento - la vera conquista che oggi, pur nelle difficoltà della sua realizzazione, mi rende serena, perchè - finalmente - presente, capace di avvertire la luce oltre il vecchio confine.