Che sorpresa!
Da un lato mi sono arreso all’evidenza, al fatto che sono pervaso da un profondo senso di fastidio.
Dall’altro continuo a sorprendermi del fatto che tutto segua sempre una linea, magari intricata, magari non quella che avrei voluto, ma con una sua intima logica. Amorevole logica.
Inizio a scrivere questo post prima dell’ultimo incontro formativo di coaching e counseling, imposto il titolo e la prima frase. Smetto per un paio di giorni, lasciando tutto lì, sospeso.
E poi…appena seduto sento, appunto, annunciare che si parlerà di polarità, di poli opposti e del fatto che “tutto è uno”.
Che sorpresa! È il mio titolo! E che senso di pace pervade quest’arrendevolezza e questa consapevolezza.
È stato come nuovamente, piano piano, ricominciare ad accettare come la vita non sia altro che armonia degli opposti, dovendo quindi accettare che non ci sia acqua, che io adoro, senza fuoco. Non ci sia luce senza ombra, non ci sia sole senza luna. E non ci sia quindi bene senza male.
Ho sentito che il fastidio che provavo non era tanto dettato dalle vicissitudini che affronto, quanto dal continuo, pedissequeo, organizzato contrasto. La costante mancanza di accettazione, con il conseguente divieto di essere triste, arrabbiato, deluso, sconfitto. O anche solo semplicemente…”scazzato”.
Sono nato e cresciuto in una civiltà che spinge alla sola valorizzazione ed estremizzazione delle dicotomie, in particolare tra buoni e cattivi, bravi e incapaci, ricchi e poveri. Dove vige il senso della proprietà, aumenta la paura di perdere ciò che ritengo essere “mio” o di “mio diritto” e le campagne politiche fondano le loro fortune sui “pacchetti sicurezza”. Ne sono il prodotto consapevole.
Consapevole del fatto che non posso evitare di essere figlio di questi tempi. Ma consapevole anche che posso dire che sento tutto questo come profondamente sbagliato. Da qualche parte dentro, distintamente, sento che per godere del piacere e dei regali che l’universo continuamente mi pone davanti, non posso fare altro che accettare che accanto al piacere ci sia di fianco la sofferenza.
Accettando il mistero e partecipando ad esso, senza volerlo per forza spiegare. Cercando, come qualcuno ha detto, non la cura, ma la guarigione. Riabbracciando quella parte oscura e lasciando che quella abbracci la luce. Riconoscendo davvero, nei fatti e non solo a parole, che “tutto è uno”.
Da un lato mi sono arreso all’evidenza, al fatto che sono pervaso da un profondo senso di fastidio.
Dall’altro continuo a sorprendermi del fatto che tutto segua sempre una linea, magari intricata, magari non quella che avrei voluto, ma con una sua intima logica. Amorevole logica.
Inizio a scrivere questo post prima dell’ultimo incontro formativo di coaching e counseling, imposto il titolo e la prima frase. Smetto per un paio di giorni, lasciando tutto lì, sospeso.
E poi…appena seduto sento, appunto, annunciare che si parlerà di polarità, di poli opposti e del fatto che “tutto è uno”.
Che sorpresa! È il mio titolo! E che senso di pace pervade quest’arrendevolezza e questa consapevolezza.
È stato come nuovamente, piano piano, ricominciare ad accettare come la vita non sia altro che armonia degli opposti, dovendo quindi accettare che non ci sia acqua, che io adoro, senza fuoco. Non ci sia luce senza ombra, non ci sia sole senza luna. E non ci sia quindi bene senza male.
Ho sentito che il fastidio che provavo non era tanto dettato dalle vicissitudini che affronto, quanto dal continuo, pedissequeo, organizzato contrasto. La costante mancanza di accettazione, con il conseguente divieto di essere triste, arrabbiato, deluso, sconfitto. O anche solo semplicemente…”scazzato”.
Sono nato e cresciuto in una civiltà che spinge alla sola valorizzazione ed estremizzazione delle dicotomie, in particolare tra buoni e cattivi, bravi e incapaci, ricchi e poveri. Dove vige il senso della proprietà, aumenta la paura di perdere ciò che ritengo essere “mio” o di “mio diritto” e le campagne politiche fondano le loro fortune sui “pacchetti sicurezza”. Ne sono il prodotto consapevole.
Consapevole del fatto che non posso evitare di essere figlio di questi tempi. Ma consapevole anche che posso dire che sento tutto questo come profondamente sbagliato. Da qualche parte dentro, distintamente, sento che per godere del piacere e dei regali che l’universo continuamente mi pone davanti, non posso fare altro che accettare che accanto al piacere ci sia di fianco la sofferenza.
Accettando il mistero e partecipando ad esso, senza volerlo per forza spiegare. Cercando, come qualcuno ha detto, non la cura, ma la guarigione. Riabbracciando quella parte oscura e lasciando che quella abbracci la luce. Riconoscendo davvero, nei fatti e non solo a parole, che “tutto è uno”.