Hai dimenticato le chiavi, la carta è rimasta nella fessura del bancomat, al lavoro niente è andato come volevi. Un mare di piccoli problemi ti deludono, ti rovinano le giornate e non ti permettono di affrontare quello che ti sta a cuore: affrontare una situazione d’amore, accettarne le conseguenze e/o cercare nuove luci.
Certi problemi hanno fatto boom e oggi ti senti disfunzionale, hai un comportamento ossessivo-compulsivo, sei arrabbiato e forse anche un po borderline tra uno stato d’animo e l’altro. Insomma, una vera disgrazia che non ci voleva.
Eppure, al di là delle circostanze esterne sfavorevoli, le delusioni le programmiamo noi stessi con una eccessiva dose di speranza e con immagini talmente vivide da sembrare reali. Come la sofferenza del resto.
Il mondo però non condivide le nostre fughe alternative nell’immaginario e risponde, alle sfide e alle verifiche che lanciamo nel quotidiano, con ostilità.
Ogni speranza naufraga al primo diniego, l’immaginazione si frantuma al successivo incidente, le sfide diventano la cifra di un totale fallimento personale.
Eppure siamo sempre noi, quelli laureati, quelli che fanno tante cose, quelli che sanno gestirne mille. Ma più ci si dà da fare per trovare un equilibrio perfetto, tanto più la delusione diventa abissale.
E allora serve immaginare meno, aspettarsi meno e attivarsi ulteriormente.
Purtroppo è così. Più le cose vanno male e più spingiamo sullo stesso chiodo. Ma non è con la forza che si producono gli effetti sperati. Al contrario, abbiano la possibilità di poterci realizzare con l’impegno a pianificare scenari alternativi.
La verità nuda e cruda è che noi abbiamo la responsabilità dei nostri cambiamenti. Non dipende dagli altri. Per questo è necessario sentirsi agenti attivi del proprio quadro di vita.
Prendersi del tempo, si; riflettere, si; riposare e recuperare, si; ma poi occorre darsi da fare.
Non è accettabile disperarsi, abbandonarsi, lasciarsi andare in attesa che qualcosa o qualcuno ci dia ragione e ci venga a salvare. Al di là delle circostanze, ambigue o sfavorevoli che siano, con una vita cinque meno meno, è importante adeguare i propri comportamenti per sentirsi meglio e godersi quello che c’è e che, all’orizzonte, ancora cammina.
Certi problemi hanno fatto boom e oggi ti senti disfunzionale, hai un comportamento ossessivo-compulsivo, sei arrabbiato e forse anche un po borderline tra uno stato d’animo e l’altro. Insomma, una vera disgrazia che non ci voleva.
Eppure, al di là delle circostanze esterne sfavorevoli, le delusioni le programmiamo noi stessi con una eccessiva dose di speranza e con immagini talmente vivide da sembrare reali. Come la sofferenza del resto.
Il mondo però non condivide le nostre fughe alternative nell’immaginario e risponde, alle sfide e alle verifiche che lanciamo nel quotidiano, con ostilità.
Ogni speranza naufraga al primo diniego, l’immaginazione si frantuma al successivo incidente, le sfide diventano la cifra di un totale fallimento personale.
Eppure siamo sempre noi, quelli laureati, quelli che fanno tante cose, quelli che sanno gestirne mille. Ma più ci si dà da fare per trovare un equilibrio perfetto, tanto più la delusione diventa abissale.
E allora serve immaginare meno, aspettarsi meno e attivarsi ulteriormente.
Purtroppo è così. Più le cose vanno male e più spingiamo sullo stesso chiodo. Ma non è con la forza che si producono gli effetti sperati. Al contrario, abbiano la possibilità di poterci realizzare con l’impegno a pianificare scenari alternativi.
La verità nuda e cruda è che noi abbiamo la responsabilità dei nostri cambiamenti. Non dipende dagli altri. Per questo è necessario sentirsi agenti attivi del proprio quadro di vita.
Prendersi del tempo, si; riflettere, si; riposare e recuperare, si; ma poi occorre darsi da fare.
Non è accettabile disperarsi, abbandonarsi, lasciarsi andare in attesa che qualcosa o qualcuno ci dia ragione e ci venga a salvare. Al di là delle circostanze, ambigue o sfavorevoli che siano, con una vita cinque meno meno, è importante adeguare i propri comportamenti per sentirsi meglio e godersi quello che c’è e che, all’orizzonte, ancora cammina.