Poco fa una mia carissima amica ha condiviso il post del comunicato stampa del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP), a proposito della Sentenza n. 13020 del 17 novembre 2015, dove il TAR del Lazio accoglie il ricorso presentato dal CNOP, contro il Ministero dello Sviluppo Economico e contro il Ministero della Salute nei confronti di AssoCounseling, relativamente al fatto che il Ministero dello Sviluppo Economico aveva inserito AssoCounseling negli elenchi – tenuti dallo stesso Ministero – delle associazioni rappresentative delle professioni non organizzate in ordini e collegi ai sensi della Legge 14 gennaio 2013 n. 4, dove a chiare lettere c’è scritto:
“SOLO GLI PSICOLOGI POSSONO AGIRE SUL DISAGIO PSICHICO”.
L’Amico e Collega Rolando Ciofi, Psicologo, Segretario Generale del Movimento Psicologi Indipendenti (Mo.P.I.) scrive:
“… Il disagio psichico fuori dal contesto clinico è quello che può provare un lavoratore che perde il posto di lavoro, un amante che litiga con l’amata o una coppia che affronta una separazione, un atleta insoddisfatto del suo rendimento, un qualunque cittadino che si sia rotto una gamba, un insegnante che abbia una momentanea difficoltà a gestire una classe, un credente che sente di perdere la fede, un lavoratore precario che non riesce a programmare il proprio futuro, chiunque sia costretto dalla vita ad affrontare un normale lutto, per non parlare di questi tempi, di un comune cittadino che viva ad esempio nella città di Roma e che sia preoccupato (comprensibilmente) dai continui proclami dell’ISIS … e l’elenco potrebbe continuare all’infinito.
Immaginare di sanitizzare tutto ciò ed affidarlo all’esclusiva e “riservata” competenza di psicologi e psichiatri è a mio avviso, inquietante, concettualmente sbagliato e politicamente ottuso. Trovo che chiunque abbia “voglia di pensare” non possa che aborrire tale ipotesi. …”.
L’intero articolo sul link: http://rolandociofi.blogspot.it/…/counselor-e-psicologi-for…
Condivido il pensiero di Rolando, infatti chi scrive e condivide “Solo gli Psicologi possono agire sul disagio psichico” vive sotto il peso di un’educazione scientifica interamente affidata a quel sapere esatto che all’inizio dell’età moderna abbiamo imparato a sviluppare come disciplina del metodo.
Ed ecco la questione.
Da almeno un ventennio molti Psicologi Accademici e Professionisti, stanno tentando di far diventare la Psicologia scienza esatta, scienza della natura ma la Psicologia, rimane scienza umana per il semplicissimo fatto che il linguaggio dell’anima, e psico-logia vuol dire “linguaggio dell’anima” non è un protocollo verificabile.
Infatti, M.V. Miller a Siracusa:
“... un gestaltista non è il grande scienziato, ma è più simile ad un critico letterario che dice: rispetto ciò che tu hai ma potresti usarlo meglio di quanto fai” e ancora a Milano: “... in America, non so qui in Europa, la psicoterapia ha deluso, tant'è che le assicurazioni non la pagano più. Per non consegnare i nostri clienti alle pillole l'unico modo è quello di riscoprire quanto di educativo vi è nel setting terapeutico”.
E allora, chi si occupa a qualsiasi titolo di “Cura” dovrebbe essere consapevole che la “Cura”, E QUESTO VALE ANCHE PER I PROCESSI EDUCATIVI CHE POSSONO AL DI FUORI DI OGNI DUBBIO ESSERE ANNOVERATI COME “CURA”, non può essere “Pre-scritta”, perché pre-scrivere la cura, pone le parole prima delle parole stesse.
Su questo versante Galimberti:
“Ma davvero siamo così vulnerabili che di fronte a ogni incertezza della nostra vita abbiamo bisogno di un’assistenza psicologica?” (I miti del nostro tempo - 2009, 136)." Tutto ciò sta diffondendo anche da noi, dopo l’America, un’etica terapeutica dove, per esempio, a fronte del naufragio educativo di una coppia non più coniugale, ma, in eterno, genitoriale e al disagio culturale si richiede l’intervento dello psicologo.
Infatti, nell'Ospite inquietante Galimberti scrive "... che il disagio non è più individuale, psicologico ma culturale. Continua Galimberti, ecco perché gli interventi psicologici e psicoterapeutici non funzionano più.".
E ancora su questo versante, Isadore From:
“Vedo ciò che tu hai. Posso solo aiutarti ad usarlo meglio di quanto fai”. Processi maieutici, educativi dunque.
Ecco perché le professioni di cura, paradossalmente non curano, ma riconsegnano la “Cura”.
Infatti, compito di ogni terapeuta è rendersi inutile e questo vale a maggior ragione sul piano educativo.
Ripensare la “Cura”.
La distinzione tra il modo autentico dell’”Aver Cura” e il modo inautentico.
Il primo: “Anticipare liberando”.
Il secondo: “Sostituirsi dominando” o se si vuole pre-scrivendo.
Semplice distinzione per riflettere sul nostro modo di “aiutare” l’altro.
F. Perls et al., 1997, 59, in Teoria e Pratica della Terapia della Gestalt scrivono:
“Solo il paziente ha facoltà di capirsi nel sintomo e di coglierne la verità”.
E a proposito dei libri …
Quando si studia, quando di pagina in pagina si sfogliano i libri, ci si rende conto che i libri vanno aperti, appunto sfogliati, potremmo dire dissolti nella loro unicità per consegnarli alla domanda che non chiede “Che cosa dice il libro?”, ma “A cosa fa pensare questo libro?”.
I libri non servono per sapere ma per pensare.
Pensare significa sottrarsi all'adesione acritica per aprirsi alla domanda, significa interrogare le cose al di là del loro significato abituale reso stabile dalla pigrizia, appunto, dell’abitudine.
Pensare è evitare che i testi divengano testi sacri per coscienze beate che rinunciando al rischio dell’interrogazione, confondono la sincerità dell’adesione con la profondità del sonno.
E allora, un invito a tutti coloro che a qualsiasi titolo ci occupano di “Cura” a non chiuderci nel dato, nei significati (disciplina del metodo), ma aprirci al senso delle cose che per loro natura hanno infinite possibilità.
E a proposito delle “Infinite Possibilità” mi permetto di invitare a riflettere chi preparerà il ricorso contro la Sentenza del TAR del Lazio su menzionata al Consiglio di Stato che gli Psicologi possono stare tranquilli e serenamente tenersi il “DISAGIO PSICHICO” perché noi abbiamo un bel da fare con il “DISAGIO CULTURALE”.
“SOLO GLI PSICOLOGI POSSONO AGIRE SUL DISAGIO PSICHICO”.
L’Amico e Collega Rolando Ciofi, Psicologo, Segretario Generale del Movimento Psicologi Indipendenti (Mo.P.I.) scrive:
“… Il disagio psichico fuori dal contesto clinico è quello che può provare un lavoratore che perde il posto di lavoro, un amante che litiga con l’amata o una coppia che affronta una separazione, un atleta insoddisfatto del suo rendimento, un qualunque cittadino che si sia rotto una gamba, un insegnante che abbia una momentanea difficoltà a gestire una classe, un credente che sente di perdere la fede, un lavoratore precario che non riesce a programmare il proprio futuro, chiunque sia costretto dalla vita ad affrontare un normale lutto, per non parlare di questi tempi, di un comune cittadino che viva ad esempio nella città di Roma e che sia preoccupato (comprensibilmente) dai continui proclami dell’ISIS … e l’elenco potrebbe continuare all’infinito.
Immaginare di sanitizzare tutto ciò ed affidarlo all’esclusiva e “riservata” competenza di psicologi e psichiatri è a mio avviso, inquietante, concettualmente sbagliato e politicamente ottuso. Trovo che chiunque abbia “voglia di pensare” non possa che aborrire tale ipotesi. …”.
L’intero articolo sul link: http://rolandociofi.blogspot.it/…/counselor-e-psicologi-for…
Condivido il pensiero di Rolando, infatti chi scrive e condivide “Solo gli Psicologi possono agire sul disagio psichico” vive sotto il peso di un’educazione scientifica interamente affidata a quel sapere esatto che all’inizio dell’età moderna abbiamo imparato a sviluppare come disciplina del metodo.
Ed ecco la questione.
Da almeno un ventennio molti Psicologi Accademici e Professionisti, stanno tentando di far diventare la Psicologia scienza esatta, scienza della natura ma la Psicologia, rimane scienza umana per il semplicissimo fatto che il linguaggio dell’anima, e psico-logia vuol dire “linguaggio dell’anima” non è un protocollo verificabile.
Infatti, M.V. Miller a Siracusa:
“... un gestaltista non è il grande scienziato, ma è più simile ad un critico letterario che dice: rispetto ciò che tu hai ma potresti usarlo meglio di quanto fai” e ancora a Milano: “... in America, non so qui in Europa, la psicoterapia ha deluso, tant'è che le assicurazioni non la pagano più. Per non consegnare i nostri clienti alle pillole l'unico modo è quello di riscoprire quanto di educativo vi è nel setting terapeutico”.
E allora, chi si occupa a qualsiasi titolo di “Cura” dovrebbe essere consapevole che la “Cura”, E QUESTO VALE ANCHE PER I PROCESSI EDUCATIVI CHE POSSONO AL DI FUORI DI OGNI DUBBIO ESSERE ANNOVERATI COME “CURA”, non può essere “Pre-scritta”, perché pre-scrivere la cura, pone le parole prima delle parole stesse.
Su questo versante Galimberti:
“Ma davvero siamo così vulnerabili che di fronte a ogni incertezza della nostra vita abbiamo bisogno di un’assistenza psicologica?” (I miti del nostro tempo - 2009, 136)." Tutto ciò sta diffondendo anche da noi, dopo l’America, un’etica terapeutica dove, per esempio, a fronte del naufragio educativo di una coppia non più coniugale, ma, in eterno, genitoriale e al disagio culturale si richiede l’intervento dello psicologo.
Infatti, nell'Ospite inquietante Galimberti scrive "... che il disagio non è più individuale, psicologico ma culturale. Continua Galimberti, ecco perché gli interventi psicologici e psicoterapeutici non funzionano più.".
E ancora su questo versante, Isadore From:
“Vedo ciò che tu hai. Posso solo aiutarti ad usarlo meglio di quanto fai”. Processi maieutici, educativi dunque.
Ecco perché le professioni di cura, paradossalmente non curano, ma riconsegnano la “Cura”.
Infatti, compito di ogni terapeuta è rendersi inutile e questo vale a maggior ragione sul piano educativo.
Ripensare la “Cura”.
La distinzione tra il modo autentico dell’”Aver Cura” e il modo inautentico.
Il primo: “Anticipare liberando”.
Il secondo: “Sostituirsi dominando” o se si vuole pre-scrivendo.
Semplice distinzione per riflettere sul nostro modo di “aiutare” l’altro.
F. Perls et al., 1997, 59, in Teoria e Pratica della Terapia della Gestalt scrivono:
“Solo il paziente ha facoltà di capirsi nel sintomo e di coglierne la verità”.
E a proposito dei libri …
Quando si studia, quando di pagina in pagina si sfogliano i libri, ci si rende conto che i libri vanno aperti, appunto sfogliati, potremmo dire dissolti nella loro unicità per consegnarli alla domanda che non chiede “Che cosa dice il libro?”, ma “A cosa fa pensare questo libro?”.
I libri non servono per sapere ma per pensare.
Pensare significa sottrarsi all'adesione acritica per aprirsi alla domanda, significa interrogare le cose al di là del loro significato abituale reso stabile dalla pigrizia, appunto, dell’abitudine.
Pensare è evitare che i testi divengano testi sacri per coscienze beate che rinunciando al rischio dell’interrogazione, confondono la sincerità dell’adesione con la profondità del sonno.
E allora, un invito a tutti coloro che a qualsiasi titolo ci occupano di “Cura” a non chiuderci nel dato, nei significati (disciplina del metodo), ma aprirci al senso delle cose che per loro natura hanno infinite possibilità.
E a proposito delle “Infinite Possibilità” mi permetto di invitare a riflettere chi preparerà il ricorso contro la Sentenza del TAR del Lazio su menzionata al Consiglio di Stato che gli Psicologi possono stare tranquilli e serenamente tenersi il “DISAGIO PSICHICO” perché noi abbiamo un bel da fare con il “DISAGIO CULTURALE”.