In ogni gruppo di lavoro c’è sempre qualcuno che tira il carro, perché è un talento, perché risolve i problemi, perché non ha bisogno di nessuno.
Bisogna capire se tutta questa disponibilità, efficienza, solerzia uccide la collaborazione degli altri o meno, e se è utile all'azienda.
Ci sono persone sul lavoro che pensano da 0 a 100 in un nano secondo, che non vogliono sprecare tempo in riunioni inutili, che chiudono la porta dietro di loro e hanno la lavagna piena di progetti che conoscono solo loro.
A queste persone, l’azienda stende i tappeti rossi anche se hanno un pessimo carattere, non riescono a collaborare in team e qualche volta sbagliano per eccesso di foga.
Per l’azienda, questi soggetti, sono preziosi fino a quando i progetti non diventano complessi e si scopre che tutta quella intelligenza non riesce a far decollare le sinergie e la collaborazione di gruppo.
Se tutti aspettano la disponibilità di un ’genio’ che arriva a gocce omeopatiche, di chi è immusonito e non ha mai tempo, che lavora dodici ore al giorno e solo lui ha le chiavi per risolvere i problemi, il collo di bottiglia della collaborazione diventa troppo stretto. Niente pause, niente deleghe, niente comunicazione.
Alla fine, cosa succede a queste persone? Che non si sentono capite e valorizzate. Si isolano e pensano di essere indispensabili. Pensano al licenziamento?!
Il team però vale più del singolo.
Il singolo può essere geniale, logico, un vero problem solver, ma il team ha il vantaggio di cercare la praticità, la semplicità, la velocità, la collaborazione.
Il singolo, quando fa tutto lui, provoca dipendenza negli altri. I problemi diventano i suoi. Diventa un mito. Il rischio è quello di inciampare nella propria intelligenza e convinzioni di infallibilità, superando il buon senso. E il buon senso è quello di essere costruttivi, di parlare, offrendo le proprie idee e facendo sentire gli altri partecipi.
Il singolo che fa tutto lui, diventa un po’ autistico, fatica a riconoscere le proprie responsabilità e ad imparare dai propri errori.
Cosa si può fare con persone così straordinarie?
Quando gli si offre disponibilità, riposo, consigli, coaching, feedback, affidamento ad altri progetti, ma il comportamento rimane tossico, cosa si fa? Si licenzia?!
Si licenzia quantomeno la mancanza di intelligenza emotiva.
C’è sempre un’altra opzione.
La forza di una squadra non è la funzione dei singoli membri. E’ una funzione di chi cerca la collaborazione con tenacia e rispetto reciproco. Di coloro che si valorizzano a vicenda e cercano di trarre il meglio gli uni dagli altri.
Un team affiatato può affrontare sfide più grandi di quanto un singolo, seppur speciale, possa immaginare.
Bisogna capire se tutta questa disponibilità, efficienza, solerzia uccide la collaborazione degli altri o meno, e se è utile all'azienda.
Ci sono persone sul lavoro che pensano da 0 a 100 in un nano secondo, che non vogliono sprecare tempo in riunioni inutili, che chiudono la porta dietro di loro e hanno la lavagna piena di progetti che conoscono solo loro.
A queste persone, l’azienda stende i tappeti rossi anche se hanno un pessimo carattere, non riescono a collaborare in team e qualche volta sbagliano per eccesso di foga.
Per l’azienda, questi soggetti, sono preziosi fino a quando i progetti non diventano complessi e si scopre che tutta quella intelligenza non riesce a far decollare le sinergie e la collaborazione di gruppo.
Se tutti aspettano la disponibilità di un ’genio’ che arriva a gocce omeopatiche, di chi è immusonito e non ha mai tempo, che lavora dodici ore al giorno e solo lui ha le chiavi per risolvere i problemi, il collo di bottiglia della collaborazione diventa troppo stretto. Niente pause, niente deleghe, niente comunicazione.
Alla fine, cosa succede a queste persone? Che non si sentono capite e valorizzate. Si isolano e pensano di essere indispensabili. Pensano al licenziamento?!
Il team però vale più del singolo.
Il singolo può essere geniale, logico, un vero problem solver, ma il team ha il vantaggio di cercare la praticità, la semplicità, la velocità, la collaborazione.
Il singolo, quando fa tutto lui, provoca dipendenza negli altri. I problemi diventano i suoi. Diventa un mito. Il rischio è quello di inciampare nella propria intelligenza e convinzioni di infallibilità, superando il buon senso. E il buon senso è quello di essere costruttivi, di parlare, offrendo le proprie idee e facendo sentire gli altri partecipi.
Il singolo che fa tutto lui, diventa un po’ autistico, fatica a riconoscere le proprie responsabilità e ad imparare dai propri errori.
Cosa si può fare con persone così straordinarie?
Quando gli si offre disponibilità, riposo, consigli, coaching, feedback, affidamento ad altri progetti, ma il comportamento rimane tossico, cosa si fa? Si licenzia?!
Si licenzia quantomeno la mancanza di intelligenza emotiva.
C’è sempre un’altra opzione.
La forza di una squadra non è la funzione dei singoli membri. E’ una funzione di chi cerca la collaborazione con tenacia e rispetto reciproco. Di coloro che si valorizzano a vicenda e cercano di trarre il meglio gli uni dagli altri.
Un team affiatato può affrontare sfide più grandi di quanto un singolo, seppur speciale, possa immaginare.