Counseling: prevenzione, sostegno, attivazione di risorse umane o altro?
Come psicologo ne sono felice! In ‘atti tipici’ della professione dello psicologo si scrive che ‘la prevenzione, la cura, la salute, il benessere e lo sviluppo personale di ogni individuo stanno diventando i contenitori semantici esclusivi di una formazione che prevede l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. In tale ambito si configurano anche le attività di sperimentazione, ricerca e didattica’.
In definitiva, tutte le attività inerenti la prevenzione e la promozione della salute e del benessere della persona, rientrano nelle pertinenze dello psicologo.
La psicologia mette a disposizione i propri contributi scientifici alle relazioni, ai rapporti, ai processi di cambiamento, per una cultura che non si focalizza solo sulla eliminazione delle malattie, ma sulla promozione della salute. E lo fa incoraggiando l’attenzione ai bisogni delle persone e al loro benessere, sollecitando comportamenti efficaci di prevenzione e di promozione, suggerendo spiegazioni sui meccanismi mentali che sostengono l’autoconoscenza, l’autocontrollo, lo sviluppo personale. Un vero e proprio ‘bene relazionale’ che acompagna l’evolversi delle trasformazioni culturali e scientifiche della nostra società.
Su queste cose concordo pienamente, ma i dubbi mi sorgono quando mi rivolgo al fronte pragmatico e transpersonale dell’esperienza. Al ‘qui e ora’ della relazione, all’incontro senza maschere di due persone e all’esperienza del proprio essere naturali e rilassati con l’altro.
Niente a che fare con le angosce del tempo, le paure dell’ego, gli obiettivi da raggiungere o la personalità da curare.
Il mio disagio emerge quando la psicologia, quale scienza della relazione di individui, gruppi e società, mette il copywrite non solo sullo studio dei fenomeni, ma sull’insieme delle azioni, prospettive e protocolli di condotta. In definitiva sull’esperienza umana e sui futuri possibili.
Rientro a terra e mi pongo alcune domande su situazioni professionali che ho vissuto in prima persona.
L’avere studiato i processi relazionali in ambito economico e aver delineato cosa può essere utile e salutare in azienda, porta di conseguenza a pensare che lo psicologo sia capace di agire sul sistema di relazioni o sui processi di gruppo o di produzione?
Se non è adeguatamente formato penso proprio di no. Ho visto molte persone preparate, ma pochi psicologi all’opera. Credo che le conoscenze acquisite in ambito universitario o psicoterapeutico, avrebbero bisogno di essere arricchite di competenze relazionali molto specifiche sul piano dell’esperienza reale. Anche delineando con precisione un modello operativo o un progetto, il professionista avrebbe bisogno di una notevole sperienza, flessibilità e adattamento alla realtà, per organizzare la massa di stimoli che troverebbe sul campo. Dovrebbe avere un approccio ermeneutico di continua rivisitazione e interpretazione dei fatti che osserva. Dovrebbe avere modelli di intervento e mappe multiple. Ma il problema, nelle relazioni, non è quello di avere conoscenze. Il problema è avere una prospettiva sulla realtà interiore. Una visione delle qualità genuinamente umane. E quella non si acquisisce dalle conoscenze, ma dall’esperienza.
Un altro esempio nell’ambito sportivo. Avere una visione professionale di cosa sia l’attenzione, la coscienza, la concentrazione, la gestione dell’ansia agonistica, la motivazione, etc., consente allo psicologo di aiutare un atleta ad esprimere il proprio massimo potenziale?
Ho avuto modo di vedere che non è così facile. La divergenza tra comprensione dei processi in atto e intervento pratico è sempre stato un motivo di frustrazione per molti operatori. Un professionista può avere buone mappe, ma sa intervenire poco, se non ha fatto uno specifico percorso esperienziale di tecniche e pratiche distinte. E chi prepara a tutto questo?
Affondo ulteriormente la mia riflessione con l’esempio di una delle discipline sportive con più valenza psicologica che conosca: l’apnea subacquea.
Gli istruttori di apnea subacquea che ho seguito per 16 anni in Apnea Academy, insegnano ai propri allievi tecniche di respirazione, di ascolto, di rilassamento, di yoga, di controllo del pensiero e dei processi immaginativi, non perché lo studiano, ma perché lo vivono. E’ quella la loro esperienza ed è quello che trasmettono: un atteggiamento, un comportamento e una cura di sé, straordinari.
Se, in qualità di psicologo, mi avvicino a mappare le loro esperienze, è con la loro esperienza e con la loro azione che riesco ad estrarre le strategie più efficienti, eventualmente i risultati e le conoscenze.
Sono le esperienze nel qui e ora ed i movimenti vitali che esprimono, che diventano salienti. Non la psicologia, non la teoria, ma le azioni e la continua interpretazione dei fatti. Anni di formazione degli istruttori con precisi protocolli e responsabilità.
Come ho visto in molti ambiti, e qui ritorno allo sviluppo personale, al coachig e al counseling, quello che penso è che ci siano organizzazioni che operano con criteri puntuali e codificati, che formano i propri studenti/allievi alla pratica di discipline di campo specifiche e con una formazione scientifica e laboratoriale, che sono uniche.
Per questo, credo che i temi sollevati in ‘atti tipici dello psicologo’, siano corretti formalmente, ma non esaustivi. Penso che occorra delineare il campo o i campi di intervento delle varie discipline del benessere e dell’empowerment che si rifanno a percorsi formativi ed esistenziali, non per chiuderli, ma per caratterizzarli. Buone teorie, buona pratica, formazione, esami, aggiornamento continuo. Penso che l’esperienza della relazione, così come la realtà, non si possano imbrigliare.
Quando si cerca una relazione professionale di tipo psicologico, si insegue la verifica di un assessment, di un progetto, di uno scopo, di un obiettivo o di una strategia. Di un controllo sul proprio corpo, sull’altro o sulla realtà.
Di contro, quando si vive una relazione esistenziale, dove secondo me ricade l’esperienza del counseling, si cerca l’incontro, la lentezza, il rilassamento, il piacere, il Sé. Sono parametri molto diversi.
Ma veniamo al Counseling
In tutti i testi dedicati al counseling, troviamo che è una disciplina umanistica, basata sul dialogo e la relazione interpersonale, dove il professionista utilizza un insieme di tecniche, abilità e competenze che ha come obiettivo di facilitare le risorse del cliente nel trovare risposte ai propri quesiti esistenziali tesi a migliorare complessivamente la qualità della sua vita.
Questa definizione fa discendere un insieme di competenze che hanno a che fare con il ‘controllo’ su ciò che accade, con il ‘devi essere’ di una visione, con il ‘come’ di una tecnica, con lo ‘sforzo’ di un orientamento della volontà all’azione.
Ciò che si verifica nella relazione di counseling, avviene prima di tutto questo. Si compie nel gioco dell’incontro, nella sensibile attesa degli eventi propri e dell’altro, nel campo della relazione. Ci si relaziona senza creare disturbo, senza usare troppi pensieri o domande, si ascolta il corpo per percepire cosa sta accadendo: il calore che fluisce, le emozioni che scorrono, l’incontro con le energie dell’altro.
Scienza del counseling e libertà generativa
Lo sfondo operativo e scientifico del counseling è generato da una parte dalla conoscenza dei fattori e delle modalità tipiche delle relazioni di cura: da quelle genitoriali a quelle educative e culturali. Studiate e tradotte in modelli scientifici dalle varie scuole di psicologia e psicoterapia. Dall’altra, ed io penso, soprattutto, è orientato alla ricerca dell’autenticità, del contatto con la propria esperienza e dalla consapevolezza di avere un rapporto olistico con la realtà.
Nel primo caso i problemi nascono se ci si identifica con una teoria o con un modello rischiando la confusione degli ambiti di competenza, nel secondo caso se non si vive l’esperienza.
In ogni relazione emergono nevrosi e ansie, tratti di personalità e comportamenti patogeni, identificazioni, ma sono solo processi secondari di qualcosa che le parole e il comportamento rispecchiano. Ininfluenti quando ci si centra sulla realtà di sé, dell’altro e di ciò che accade nella relazione.
Possiamo osservare il counseling come un insieme di mappe che riflettono la realtà della relazione, ma interessano poco o niente. Quello che conta è osservare ciò che accade nella relazione e quali sono i fattori comuni specifici (desiderare, mettere al mondo, prendersi cura e, infine, lasciar andare) di quel movimento che porta verso la comprensione della realtà e di sé. E cioè della consapevolezza di cosa stiamo sperimentando.
Attraverso l’incontro (dialogo o colloquio che sia), la relazione si dispiega e viene monitorata attraverso tecniche specifiche di ascolto passivo e attivo, di focalizzazione e di espressione corporea, di tappe interiori e di consapevolezza di sè.
Nel colloquio, inizialmente, l’attenzione è sul processo e sugli schemi di azione. Nulla è dato per scontato e ciò che accade viene vissuto, da una parte, con un atteggiamento di ricerca e, dall’altra, con la sospensione del giudizio e dell’aspettativa.
Gli atti tipici del counseling nelle tappe di un colloquio sono i seguenti:
Ascolto Passivo:
Tutte le tecniche classiche del colloquio di counseling propugnate da C. Rogers e all., hanno la funzione di facilitare il processo di autoesplorazione delle mappe cognitive della persona e riguardano competenze tecniche molto importanti del counselor (Risposte di riflesso; parole di incoraggiamento e invito all'approfondimento e auto-ascolto; ripresa di parole chiave; riassunto breve e completo del contenuto; riassunto di più scambi o colloqui; riformulazione, andiamo a dire con le nostre parole ciò che la persona ha già detto; rispecchiamento del punto di vista; rispecchiamento di emozioni e sentimenti condivisi; rispecchiamento di emozioni e sentimenti vissuti nel "qui e ora"; rispecchiamento del costrutto, del significato; rispecchiamento attraverso immagini e metafore appropriate; rispecchiamento motorio; domande di chiarimento; reiterazione - la reiterazione è una figura retorica consistente nel ripetere uno stesso concetto con altre parole. Spesso viene introdotta da formule come «in altre parole...», «cioè...», «in parole povere...», «in soldoni...» -; esplorazione dei cinque livelli; comprensione e verifica), ma hanno solo lo scopo di ridurre nel cliente l’identificazione, aumentare l’accettazione, cercare di stare bene con sè stesso, allo scopo di guardare le cose in modo diverso e osservare la propria esperienza da una prospettiva insolita.
Mentre si ascolta ed emergono i temi della persona, il vissuto e il comportamento dell’altro vengono amplificati con una richiesta esplicita: provare piacere e appagamento da una scoperta, azione o insight. Con un approccio positivo all’esplorazione dei temi emergenti, compresi i dolori, le sofferenze, le miserie e le insoddisfazioni quotidiane, si bypassa l’interpretazione di infelicità con un invito a soffermarsi, a scegliere e ad agire azioni positive. Si incoraggiano consapevolmente sensazioni, movimenti, emozioni, immagini, pensieri e comportamenti di salute, piacere e benessere.
Quindi non si lavora su un sintomo, una griglia personologica, più o meno interpretabile, o un protocollo di azioni mirate alla riduzione di un disturbo, ma si agisce nel ‘qui e ora’ su un sentire positivo che guida l’atteggiamento mentale e l’osservazione di ciò che è vitale.
I problemi personali, nel colloquio di counseling, non vengono analizzati in quanto tali. Non serve. C’è già lo specialista, eventualmente, che li prende in carico. Se vengono presi in considerazione i fatti è perché emergono spontaneamente quale modo di raccontare la realtà del cliente. Quando il cliente è infelice e inseguito dai propri malesseri, nessun cambiamento è veramente autentico e sostenibile. Può raccontare la sua storia all’infinito, ma occorre che passi da un atteggiamento negativo ad uno positivo per identificare scopi di qualità.
Identificazione di uno scopo concreto, definito e positivo.
Qualsiasi cosa sia stata detta dal counselor o percepita dal cliente, si comincia a respirare la sensazione concreta di avvertire uno stato d’animo positivo che conduce a guardare le cose e il mondo, in modo diverso.
E allora, mentre il cliente cambia prospettiva e si chiede dove deve andare e come attivare le proprie risorse, il counselor domanda ‘cosa vuoi di diverso da te?’, ‘cosa vuoi che cambi?’. ‘In che modo vuoi che il tuo desiderio di felicità, di benessere o di salute, o altro, diventi uno scopo concreto, definito e positivo?’. ‘Spiegami, come senti la realtà che si sta configurando dentro di te’. Aiutami a capire come, dove e quando sta accadendo tutto questo’. ‘Come cambia la tua realtà?’.
E’ un invito a scegliere da soli uno scopo e a realizzare delle azioni generatrici di benessere personale.
E’ la persona che sceglie. E’ la persona che sente il coraggio di sperimentare, ne prova il bisogno. Non ha seguito un’idea o un consiglio, ha seguito ciò che sente.
E quando quella ‘mentalità positiva’ incontrerà delle difficoltà o delle delusioni, ma sarà in grado di accettare gli errori con gratitudine, la propria esperienza interiore sarà una prateria di soddisfazioni.
Quindi, l’orientamento ad uno scopo, quale atteggiamento ed azioni positive, porta alla sperimentazione di risorse personali e all’accettazione di qualsiasi cosa avvenga. Questi presupposti riguardano il terreno naturale dell’esperienza dell’incontro di counseling e sono il prologo di un riconoscimento ancora più esteso dove, anche le esperienze della vita più dolorose e intrattabili, esprimono un loro lato bello e vitale.
Nella consapevolezza di ogni persona ci sono dei punti di svolta e di trasformazione personale che nascono per tante ragioni. Nel counseling, queste ragioni vengono recepite per comprendere il lato vitale delle relazioni umane e della propria esistenza.
Come psicologo ne sono felice! In ‘atti tipici’ della professione dello psicologo si scrive che ‘la prevenzione, la cura, la salute, il benessere e lo sviluppo personale di ogni individuo stanno diventando i contenitori semantici esclusivi di una formazione che prevede l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. In tale ambito si configurano anche le attività di sperimentazione, ricerca e didattica’.
In definitiva, tutte le attività inerenti la prevenzione e la promozione della salute e del benessere della persona, rientrano nelle pertinenze dello psicologo.
La psicologia mette a disposizione i propri contributi scientifici alle relazioni, ai rapporti, ai processi di cambiamento, per una cultura che non si focalizza solo sulla eliminazione delle malattie, ma sulla promozione della salute. E lo fa incoraggiando l’attenzione ai bisogni delle persone e al loro benessere, sollecitando comportamenti efficaci di prevenzione e di promozione, suggerendo spiegazioni sui meccanismi mentali che sostengono l’autoconoscenza, l’autocontrollo, lo sviluppo personale. Un vero e proprio ‘bene relazionale’ che acompagna l’evolversi delle trasformazioni culturali e scientifiche della nostra società.
Su queste cose concordo pienamente, ma i dubbi mi sorgono quando mi rivolgo al fronte pragmatico e transpersonale dell’esperienza. Al ‘qui e ora’ della relazione, all’incontro senza maschere di due persone e all’esperienza del proprio essere naturali e rilassati con l’altro.
Niente a che fare con le angosce del tempo, le paure dell’ego, gli obiettivi da raggiungere o la personalità da curare.
Il mio disagio emerge quando la psicologia, quale scienza della relazione di individui, gruppi e società, mette il copywrite non solo sullo studio dei fenomeni, ma sull’insieme delle azioni, prospettive e protocolli di condotta. In definitiva sull’esperienza umana e sui futuri possibili.
Rientro a terra e mi pongo alcune domande su situazioni professionali che ho vissuto in prima persona.
L’avere studiato i processi relazionali in ambito economico e aver delineato cosa può essere utile e salutare in azienda, porta di conseguenza a pensare che lo psicologo sia capace di agire sul sistema di relazioni o sui processi di gruppo o di produzione?
Se non è adeguatamente formato penso proprio di no. Ho visto molte persone preparate, ma pochi psicologi all’opera. Credo che le conoscenze acquisite in ambito universitario o psicoterapeutico, avrebbero bisogno di essere arricchite di competenze relazionali molto specifiche sul piano dell’esperienza reale. Anche delineando con precisione un modello operativo o un progetto, il professionista avrebbe bisogno di una notevole sperienza, flessibilità e adattamento alla realtà, per organizzare la massa di stimoli che troverebbe sul campo. Dovrebbe avere un approccio ermeneutico di continua rivisitazione e interpretazione dei fatti che osserva. Dovrebbe avere modelli di intervento e mappe multiple. Ma il problema, nelle relazioni, non è quello di avere conoscenze. Il problema è avere una prospettiva sulla realtà interiore. Una visione delle qualità genuinamente umane. E quella non si acquisisce dalle conoscenze, ma dall’esperienza.
Un altro esempio nell’ambito sportivo. Avere una visione professionale di cosa sia l’attenzione, la coscienza, la concentrazione, la gestione dell’ansia agonistica, la motivazione, etc., consente allo psicologo di aiutare un atleta ad esprimere il proprio massimo potenziale?
Ho avuto modo di vedere che non è così facile. La divergenza tra comprensione dei processi in atto e intervento pratico è sempre stato un motivo di frustrazione per molti operatori. Un professionista può avere buone mappe, ma sa intervenire poco, se non ha fatto uno specifico percorso esperienziale di tecniche e pratiche distinte. E chi prepara a tutto questo?
Affondo ulteriormente la mia riflessione con l’esempio di una delle discipline sportive con più valenza psicologica che conosca: l’apnea subacquea.
Gli istruttori di apnea subacquea che ho seguito per 16 anni in Apnea Academy, insegnano ai propri allievi tecniche di respirazione, di ascolto, di rilassamento, di yoga, di controllo del pensiero e dei processi immaginativi, non perché lo studiano, ma perché lo vivono. E’ quella la loro esperienza ed è quello che trasmettono: un atteggiamento, un comportamento e una cura di sé, straordinari.
Se, in qualità di psicologo, mi avvicino a mappare le loro esperienze, è con la loro esperienza e con la loro azione che riesco ad estrarre le strategie più efficienti, eventualmente i risultati e le conoscenze.
Sono le esperienze nel qui e ora ed i movimenti vitali che esprimono, che diventano salienti. Non la psicologia, non la teoria, ma le azioni e la continua interpretazione dei fatti. Anni di formazione degli istruttori con precisi protocolli e responsabilità.
Come ho visto in molti ambiti, e qui ritorno allo sviluppo personale, al coachig e al counseling, quello che penso è che ci siano organizzazioni che operano con criteri puntuali e codificati, che formano i propri studenti/allievi alla pratica di discipline di campo specifiche e con una formazione scientifica e laboratoriale, che sono uniche.
Per questo, credo che i temi sollevati in ‘atti tipici dello psicologo’, siano corretti formalmente, ma non esaustivi. Penso che occorra delineare il campo o i campi di intervento delle varie discipline del benessere e dell’empowerment che si rifanno a percorsi formativi ed esistenziali, non per chiuderli, ma per caratterizzarli. Buone teorie, buona pratica, formazione, esami, aggiornamento continuo. Penso che l’esperienza della relazione, così come la realtà, non si possano imbrigliare.
Quando si cerca una relazione professionale di tipo psicologico, si insegue la verifica di un assessment, di un progetto, di uno scopo, di un obiettivo o di una strategia. Di un controllo sul proprio corpo, sull’altro o sulla realtà.
Di contro, quando si vive una relazione esistenziale, dove secondo me ricade l’esperienza del counseling, si cerca l’incontro, la lentezza, il rilassamento, il piacere, il Sé. Sono parametri molto diversi.
Ma veniamo al Counseling
In tutti i testi dedicati al counseling, troviamo che è una disciplina umanistica, basata sul dialogo e la relazione interpersonale, dove il professionista utilizza un insieme di tecniche, abilità e competenze che ha come obiettivo di facilitare le risorse del cliente nel trovare risposte ai propri quesiti esistenziali tesi a migliorare complessivamente la qualità della sua vita.
Questa definizione fa discendere un insieme di competenze che hanno a che fare con il ‘controllo’ su ciò che accade, con il ‘devi essere’ di una visione, con il ‘come’ di una tecnica, con lo ‘sforzo’ di un orientamento della volontà all’azione.
Ciò che si verifica nella relazione di counseling, avviene prima di tutto questo. Si compie nel gioco dell’incontro, nella sensibile attesa degli eventi propri e dell’altro, nel campo della relazione. Ci si relaziona senza creare disturbo, senza usare troppi pensieri o domande, si ascolta il corpo per percepire cosa sta accadendo: il calore che fluisce, le emozioni che scorrono, l’incontro con le energie dell’altro.
Scienza del counseling e libertà generativa
Lo sfondo operativo e scientifico del counseling è generato da una parte dalla conoscenza dei fattori e delle modalità tipiche delle relazioni di cura: da quelle genitoriali a quelle educative e culturali. Studiate e tradotte in modelli scientifici dalle varie scuole di psicologia e psicoterapia. Dall’altra, ed io penso, soprattutto, è orientato alla ricerca dell’autenticità, del contatto con la propria esperienza e dalla consapevolezza di avere un rapporto olistico con la realtà.
Nel primo caso i problemi nascono se ci si identifica con una teoria o con un modello rischiando la confusione degli ambiti di competenza, nel secondo caso se non si vive l’esperienza.
In ogni relazione emergono nevrosi e ansie, tratti di personalità e comportamenti patogeni, identificazioni, ma sono solo processi secondari di qualcosa che le parole e il comportamento rispecchiano. Ininfluenti quando ci si centra sulla realtà di sé, dell’altro e di ciò che accade nella relazione.
Possiamo osservare il counseling come un insieme di mappe che riflettono la realtà della relazione, ma interessano poco o niente. Quello che conta è osservare ciò che accade nella relazione e quali sono i fattori comuni specifici (desiderare, mettere al mondo, prendersi cura e, infine, lasciar andare) di quel movimento che porta verso la comprensione della realtà e di sé. E cioè della consapevolezza di cosa stiamo sperimentando.
Attraverso l’incontro (dialogo o colloquio che sia), la relazione si dispiega e viene monitorata attraverso tecniche specifiche di ascolto passivo e attivo, di focalizzazione e di espressione corporea, di tappe interiori e di consapevolezza di sè.
Nel colloquio, inizialmente, l’attenzione è sul processo e sugli schemi di azione. Nulla è dato per scontato e ciò che accade viene vissuto, da una parte, con un atteggiamento di ricerca e, dall’altra, con la sospensione del giudizio e dell’aspettativa.
Gli atti tipici del counseling nelle tappe di un colloquio sono i seguenti:
Ascolto Passivo:
- Essere consapevoli di sé e di cosa accade. Mentre si ascolta, si parla, si osserva, si scoprono le sensazioni di essere in relazione e ci si sofferma su cosa è centrale della propria esperienza.
- Essere consapevoli dell’altro come specchio di sé.
- Essere presenti con l’attenzione al ‘qui e ora’, con la consapevolezza di esserci.
- Essere rilassati su una sedia alla ricerca di una corrente di parole e di gesti autentici tralasciando l’attaccamento, l’identificazione o il giudizio dei comportamenti stereotipati.
- Arrivare al punto in cui la mente diventa silenziosa, i pensieri si arrestano e si procede spediti nella elicitazione della propria esperienza e vissuto interiore.
Tutte le tecniche classiche del colloquio di counseling propugnate da C. Rogers e all., hanno la funzione di facilitare il processo di autoesplorazione delle mappe cognitive della persona e riguardano competenze tecniche molto importanti del counselor (Risposte di riflesso; parole di incoraggiamento e invito all'approfondimento e auto-ascolto; ripresa di parole chiave; riassunto breve e completo del contenuto; riassunto di più scambi o colloqui; riformulazione, andiamo a dire con le nostre parole ciò che la persona ha già detto; rispecchiamento del punto di vista; rispecchiamento di emozioni e sentimenti condivisi; rispecchiamento di emozioni e sentimenti vissuti nel "qui e ora"; rispecchiamento del costrutto, del significato; rispecchiamento attraverso immagini e metafore appropriate; rispecchiamento motorio; domande di chiarimento; reiterazione - la reiterazione è una figura retorica consistente nel ripetere uno stesso concetto con altre parole. Spesso viene introdotta da formule come «in altre parole...», «cioè...», «in parole povere...», «in soldoni...» -; esplorazione dei cinque livelli; comprensione e verifica), ma hanno solo lo scopo di ridurre nel cliente l’identificazione, aumentare l’accettazione, cercare di stare bene con sè stesso, allo scopo di guardare le cose in modo diverso e osservare la propria esperienza da una prospettiva insolita.
Mentre si ascolta ed emergono i temi della persona, il vissuto e il comportamento dell’altro vengono amplificati con una richiesta esplicita: provare piacere e appagamento da una scoperta, azione o insight. Con un approccio positivo all’esplorazione dei temi emergenti, compresi i dolori, le sofferenze, le miserie e le insoddisfazioni quotidiane, si bypassa l’interpretazione di infelicità con un invito a soffermarsi, a scegliere e ad agire azioni positive. Si incoraggiano consapevolmente sensazioni, movimenti, emozioni, immagini, pensieri e comportamenti di salute, piacere e benessere.
Quindi non si lavora su un sintomo, una griglia personologica, più o meno interpretabile, o un protocollo di azioni mirate alla riduzione di un disturbo, ma si agisce nel ‘qui e ora’ su un sentire positivo che guida l’atteggiamento mentale e l’osservazione di ciò che è vitale.
I problemi personali, nel colloquio di counseling, non vengono analizzati in quanto tali. Non serve. C’è già lo specialista, eventualmente, che li prende in carico. Se vengono presi in considerazione i fatti è perché emergono spontaneamente quale modo di raccontare la realtà del cliente. Quando il cliente è infelice e inseguito dai propri malesseri, nessun cambiamento è veramente autentico e sostenibile. Può raccontare la sua storia all’infinito, ma occorre che passi da un atteggiamento negativo ad uno positivo per identificare scopi di qualità.
Identificazione di uno scopo concreto, definito e positivo.
Qualsiasi cosa sia stata detta dal counselor o percepita dal cliente, si comincia a respirare la sensazione concreta di avvertire uno stato d’animo positivo che conduce a guardare le cose e il mondo, in modo diverso.
E allora, mentre il cliente cambia prospettiva e si chiede dove deve andare e come attivare le proprie risorse, il counselor domanda ‘cosa vuoi di diverso da te?’, ‘cosa vuoi che cambi?’. ‘In che modo vuoi che il tuo desiderio di felicità, di benessere o di salute, o altro, diventi uno scopo concreto, definito e positivo?’. ‘Spiegami, come senti la realtà che si sta configurando dentro di te’. Aiutami a capire come, dove e quando sta accadendo tutto questo’. ‘Come cambia la tua realtà?’.
E’ un invito a scegliere da soli uno scopo e a realizzare delle azioni generatrici di benessere personale.
E’ la persona che sceglie. E’ la persona che sente il coraggio di sperimentare, ne prova il bisogno. Non ha seguito un’idea o un consiglio, ha seguito ciò che sente.
E quando quella ‘mentalità positiva’ incontrerà delle difficoltà o delle delusioni, ma sarà in grado di accettare gli errori con gratitudine, la propria esperienza interiore sarà una prateria di soddisfazioni.
Quindi, l’orientamento ad uno scopo, quale atteggiamento ed azioni positive, porta alla sperimentazione di risorse personali e all’accettazione di qualsiasi cosa avvenga. Questi presupposti riguardano il terreno naturale dell’esperienza dell’incontro di counseling e sono il prologo di un riconoscimento ancora più esteso dove, anche le esperienze della vita più dolorose e intrattabili, esprimono un loro lato bello e vitale.
Nella consapevolezza di ogni persona ci sono dei punti di svolta e di trasformazione personale che nascono per tante ragioni. Nel counseling, queste ragioni vengono recepite per comprendere il lato vitale delle relazioni umane e della propria esistenza.