Nessuno di noi nasce adulto. Dobbiamo imparare tutto mentre cresciamo. Da bambini lo facciamo in due modi incredibilmente efficaci: attraverso l'esperienza e il gioco. Poi quando diventiamo adulti, se vogliamo continuare a crescere e a imparare con gioia, se vogliamo tenere il passo con un mondo così complesso e in rapida evoluzione, potrebbe essere giunto il momento di riconnetterci con il nostro “bambino interiore”.
La nostra storia personale non è perfetta, come non lo è la storia degli altri. Per alcuni, riconnettersi con quel bambino potrebbe anche richiedere di affrontare alcune emozioni difficili, sentimenti a lungo nascosti o dimenticati, esperienze irrisolte che per lungo tempo si è evitato di affrontare. A volte accade che alcune delle lezioni che abbiamo imparato da bambini ancora oggi ne ostacolano l'apprendimento, il raggiungimento di traguardi importanti, o semplicemente l'adattamento al contesto in cui ci troviamo ad interagire. È qui che entra in gioco il nostro bambino interiore, quell’istanza emotiva che attende solo di essere “ascoltata” e “accolta”.
Da bambini, la creatività è la risorsa che utilizziamo di più per preparaci al mondo reale.
“Recitiamo” esperienze, pensieri, sentimenti e sogni attraverso il gioco. L'adolescenza è un momento di grande scoperta, ma può anche essere vissuto come un momento doloroso. Man mano che cresciamo, iniziamo a fare i conti con le aspettative del mondo e a volte, queste aspettative ci deludono. Sperimentiamo la frustrazione dei sogni che semplicemente non si materializzano e il dolore di un cuore rifiutato o infranto. Ad un certo punto, molti di noi smettono di giocare e iniziano a lasciare che il nostro vissuto, le nostre esperienze determinino chi siamo e cosa vogliamo.
È un confine reale che separa la vita adulta dall’infanzia? E’ solo un numero sul calendario della vita, magari quello della maggiore età? In realtà siamo sempre in perenne e costante crescita ed evoluzione. L'equilibrio cambia quando smettiamo di “giocare”. A quel punto, passiamo poco tempo a immaginare e ci concentriamo soltanto su ciò che ci dettano le nostre esperienze quotidiane. Indossiamo metaforicamente degli occhiali per guardare al mondo e agli altri che ci impediscono di vedere e sperimentare altre realtà possibili, a volte più utili e più funzionali per la nostra evoluzione.
Molti di noi non si prendono il tempo di riconnettersi con queste parti del nostro io interiore. Non è sempre facile comprendere l’importanza del lavoro su queste emozioni bloccate. Riconoscere che i nostri comportamenti da adulto derivano anche dalle nostre esperienze infantili e dai relativi bisogni e desideri insoddisfatti può spronarci a richiedere aiuto. Un professionista della relazione d’aiuto è la persona più idonea nell’aiutarci ad esplorare le nostre ferite di vecchia data, facilitarne l’integrazione, il prendersene cura, permettendoci così di tornare a “giocare” di nuovo.
Possiamo così imparare ad essere sia l'"adulto" che il “bambino”, fornendoci amor proprio incondizionato, autocompassione e autosostegno. Con ciò, il nostro “sé adulto” può iniziare a districare i sottili meccanismi di “coping” che il nostro “sé adolescente/bambino” ha inventato per proteggersi da ulteriori esperienze dolorose o traumi. Questo tipo di lavoro è fondamentale in quanto può aiutarci a sbloccare la nostra creatività, la nostra gioia, la nostra passione e il nostro potenziale.
La nostra storia personale non è perfetta, come non lo è la storia degli altri. Per alcuni, riconnettersi con quel bambino potrebbe anche richiedere di affrontare alcune emozioni difficili, sentimenti a lungo nascosti o dimenticati, esperienze irrisolte che per lungo tempo si è evitato di affrontare. A volte accade che alcune delle lezioni che abbiamo imparato da bambini ancora oggi ne ostacolano l'apprendimento, il raggiungimento di traguardi importanti, o semplicemente l'adattamento al contesto in cui ci troviamo ad interagire. È qui che entra in gioco il nostro bambino interiore, quell’istanza emotiva che attende solo di essere “ascoltata” e “accolta”.
Da bambini, la creatività è la risorsa che utilizziamo di più per preparaci al mondo reale.
“Recitiamo” esperienze, pensieri, sentimenti e sogni attraverso il gioco. L'adolescenza è un momento di grande scoperta, ma può anche essere vissuto come un momento doloroso. Man mano che cresciamo, iniziamo a fare i conti con le aspettative del mondo e a volte, queste aspettative ci deludono. Sperimentiamo la frustrazione dei sogni che semplicemente non si materializzano e il dolore di un cuore rifiutato o infranto. Ad un certo punto, molti di noi smettono di giocare e iniziano a lasciare che il nostro vissuto, le nostre esperienze determinino chi siamo e cosa vogliamo.
È un confine reale che separa la vita adulta dall’infanzia? E’ solo un numero sul calendario della vita, magari quello della maggiore età? In realtà siamo sempre in perenne e costante crescita ed evoluzione. L'equilibrio cambia quando smettiamo di “giocare”. A quel punto, passiamo poco tempo a immaginare e ci concentriamo soltanto su ciò che ci dettano le nostre esperienze quotidiane. Indossiamo metaforicamente degli occhiali per guardare al mondo e agli altri che ci impediscono di vedere e sperimentare altre realtà possibili, a volte più utili e più funzionali per la nostra evoluzione.
Molti di noi non si prendono il tempo di riconnettersi con queste parti del nostro io interiore. Non è sempre facile comprendere l’importanza del lavoro su queste emozioni bloccate. Riconoscere che i nostri comportamenti da adulto derivano anche dalle nostre esperienze infantili e dai relativi bisogni e desideri insoddisfatti può spronarci a richiedere aiuto. Un professionista della relazione d’aiuto è la persona più idonea nell’aiutarci ad esplorare le nostre ferite di vecchia data, facilitarne l’integrazione, il prendersene cura, permettendoci così di tornare a “giocare” di nuovo.
Possiamo così imparare ad essere sia l'"adulto" che il “bambino”, fornendoci amor proprio incondizionato, autocompassione e autosostegno. Con ciò, il nostro “sé adulto” può iniziare a districare i sottili meccanismi di “coping” che il nostro “sé adolescente/bambino” ha inventato per proteggersi da ulteriori esperienze dolorose o traumi. Questo tipo di lavoro è fondamentale in quanto può aiutarci a sbloccare la nostra creatività, la nostra gioia, la nostra passione e il nostro potenziale.