-L’importanza del Randori nel Judo e la sua valenza nella vita di tutti i giorni-
'La fiducia in se stessi è una forza soltanto finché non diventa presunzione”
Ogni attività nel judo è molto più di ciò che appare, cela dietro di se molteplici significati. È come un iceberg: emerge solo a punta, ma la maggior parte resta celata sotto la superficie dell’acqua.
Accostando metaforicamente il Randori ad un iceberg, potremmo allora associare la sua sommità all’attività di prova, di verifica della propria tecnica in un contesto di pratica creativa e dinamica. Il fine pratico del Randori consiste nell’atterrare l’avversario sfruttando la sua forza e cogliendo l’opportunità, il “carpe diem” di oraziana memoria, agendo nel migliore dei modi.
Questa capacità di adattarsi a situazioni complicate e di risolverle con un connubio di intuito, sagacia, attenzione e senso di opportunità, era identificata nella cultura della grecia calssica col termine “metis” (µεθις), ed era la principale qualità di Odisseo, il mitico eroe che tutti noi associamo alla capacità di far prevalere la mente sui muscoli.
Questa virtù, frutto dell’esperienza, delle conoscenze acquisite e perfezionate con la pratica, è la capacità di rendere favorevole il caso stesso e nel contesto sportivo consente al judoka allenato di percepire il movimento dell’avversario e di anticiparlo sfruttandolo a proprio vantaggio.
Praticare il Randori diviene dunque il mezzo per sviluppare questa peculiare tipologia di intuizione, per acquisire la capacità di prendere decisioni velocemente e di agire intuitivamente, quasi fosse una “sintesi hegeliana”, così da trarne beneficio anche nella vita quotidiana.
Impariamo infatti ad adattarci a qualunque situazione utilizzando nel migliore dei modi i mezzi a nostra disposizione e a mantenere il massimo controllo possibile del nostro corpo e della nostra mente.
Ed è proprio padroneggiando i nostri pensieri che possiamo migliorare davvero : il Randori infatti è una sfida sia con l’avversario, ma soprattutto contro noi stessi che senza volerlo siamo il nostro peggior nemico con le nostre incertezze e la paura di sbagliare. È la ricerca continua dell’eccellenza che per il judoka si realizza in un attimo tramite l’ippon, rappresentante dell’unione armonica di mente, corpo e spirito agonistico. E ciò è possibile solo se entrambi gli atleti si confrontano con sincerità, offrendosi l’occasione per un sincero confronto e donandosi così reciprocamente esperienze e spunti per migliorare.
Ma il conseguimento di un ippon non deve mai portare il judoka all’arroganza perché non si finisce mai di imparare; l’umiltà e la sincerità con noi stessi sono la chiave di volta per progredire veramente. Il Randori e l’ippon, subito o ottenuto, devono essere uno spunto di riflessione per migliorarsi continuamente: “Dove ho sbagliato?”, “Cosa potevo fare meglio?”, “Come posso migliorare ancora?”, “Cos’è stato fondamentale per risucire a fare ippon?”. Il judoka impara così a metabolizzare la sconfitta e a non peccare di arroganza, ad apprendere dai propri errori trasformando così la momentanea sconfitta in un potente mezzo di apprendimento e miglioramento personale.
Metis, carpe diem, controllo di sé, disponibilità al confronto, sincerità, amicizia, superamento dei propri limiti e delle proprie paure, scoperta di sé, sono solo alcune delle grandi conquiste che il judoka umile e sincero può ottenere con la pratica del Randori.
Perché alla fine nel Randori, a differenza dello Shiai ( il combattimento di gara vero e proprio), i judoka che vi si applicano con dedizione vengono educati ad affrontare la quotidiana realtà del confronto, a “danzare” al ritmo di rischi e occasioni, a rialzarsi più forti e consapevoli di se dopo una momentanea caduta. Qualità e principi che possono tranquillamente essere applicate nella vita di ciascuno di noi.
In conclusione ciò che Jigoro Kano si auspicava era proprio questo, ovvero che tutti i judoka riuscissero a trasporre nella vita di tutti i giorni i valori e gli insegnamenti appresi con la pratica del judo. Perché sia nel Randori, sia nella quotidianità, si realizza l’ideale del professor Kano: “ la via inizia con il dare e prosegue nello stare insieme per crescere e progredire”.
'La fiducia in se stessi è una forza soltanto finché non diventa presunzione”
Ogni attività nel judo è molto più di ciò che appare, cela dietro di se molteplici significati. È come un iceberg: emerge solo a punta, ma la maggior parte resta celata sotto la superficie dell’acqua.
Accostando metaforicamente il Randori ad un iceberg, potremmo allora associare la sua sommità all’attività di prova, di verifica della propria tecnica in un contesto di pratica creativa e dinamica. Il fine pratico del Randori consiste nell’atterrare l’avversario sfruttando la sua forza e cogliendo l’opportunità, il “carpe diem” di oraziana memoria, agendo nel migliore dei modi.
Questa capacità di adattarsi a situazioni complicate e di risolverle con un connubio di intuito, sagacia, attenzione e senso di opportunità, era identificata nella cultura della grecia calssica col termine “metis” (µεθις), ed era la principale qualità di Odisseo, il mitico eroe che tutti noi associamo alla capacità di far prevalere la mente sui muscoli.
Questa virtù, frutto dell’esperienza, delle conoscenze acquisite e perfezionate con la pratica, è la capacità di rendere favorevole il caso stesso e nel contesto sportivo consente al judoka allenato di percepire il movimento dell’avversario e di anticiparlo sfruttandolo a proprio vantaggio.
Praticare il Randori diviene dunque il mezzo per sviluppare questa peculiare tipologia di intuizione, per acquisire la capacità di prendere decisioni velocemente e di agire intuitivamente, quasi fosse una “sintesi hegeliana”, così da trarne beneficio anche nella vita quotidiana.
Impariamo infatti ad adattarci a qualunque situazione utilizzando nel migliore dei modi i mezzi a nostra disposizione e a mantenere il massimo controllo possibile del nostro corpo e della nostra mente.
Ed è proprio padroneggiando i nostri pensieri che possiamo migliorare davvero : il Randori infatti è una sfida sia con l’avversario, ma soprattutto contro noi stessi che senza volerlo siamo il nostro peggior nemico con le nostre incertezze e la paura di sbagliare. È la ricerca continua dell’eccellenza che per il judoka si realizza in un attimo tramite l’ippon, rappresentante dell’unione armonica di mente, corpo e spirito agonistico. E ciò è possibile solo se entrambi gli atleti si confrontano con sincerità, offrendosi l’occasione per un sincero confronto e donandosi così reciprocamente esperienze e spunti per migliorare.
Ma il conseguimento di un ippon non deve mai portare il judoka all’arroganza perché non si finisce mai di imparare; l’umiltà e la sincerità con noi stessi sono la chiave di volta per progredire veramente. Il Randori e l’ippon, subito o ottenuto, devono essere uno spunto di riflessione per migliorarsi continuamente: “Dove ho sbagliato?”, “Cosa potevo fare meglio?”, “Come posso migliorare ancora?”, “Cos’è stato fondamentale per risucire a fare ippon?”. Il judoka impara così a metabolizzare la sconfitta e a non peccare di arroganza, ad apprendere dai propri errori trasformando così la momentanea sconfitta in un potente mezzo di apprendimento e miglioramento personale.
Metis, carpe diem, controllo di sé, disponibilità al confronto, sincerità, amicizia, superamento dei propri limiti e delle proprie paure, scoperta di sé, sono solo alcune delle grandi conquiste che il judoka umile e sincero può ottenere con la pratica del Randori.
Perché alla fine nel Randori, a differenza dello Shiai ( il combattimento di gara vero e proprio), i judoka che vi si applicano con dedizione vengono educati ad affrontare la quotidiana realtà del confronto, a “danzare” al ritmo di rischi e occasioni, a rialzarsi più forti e consapevoli di se dopo una momentanea caduta. Qualità e principi che possono tranquillamente essere applicate nella vita di ciascuno di noi.
In conclusione ciò che Jigoro Kano si auspicava era proprio questo, ovvero che tutti i judoka riuscissero a trasporre nella vita di tutti i giorni i valori e gli insegnamenti appresi con la pratica del judo. Perché sia nel Randori, sia nella quotidianità, si realizza l’ideale del professor Kano: “ la via inizia con il dare e prosegue nello stare insieme per crescere e progredire”.