Le relazioni che quotidianamente abbiamo in tutti gli ambiti della nostra vita, dal lavoro, alle amicizie, alla vita di coppia e altro, ci porta a volte a vedere le cose, acquisendo le informazioni che arrivano, senza necessariamente verificare la veridicità di ciò che ci viene detto. E’ normale che sia così, di certo nella vita di coppia, ad esempio, la fiducia è alla base del rapporto e va da se che se questa manca, probabilmente il rapporto che si ha non è così sano come si crede. D’altra parte non si può certo confutare ogni cosa che ci viene detta, prendendo come esempio discorsi che abbiano una valenza su argomenti seri, non certo sul tempo o sulla squadra del cuore. Ma ci sono situazioni che vale la pena, a mio avviso, verificare per non incorrere in conclusioni affrettate o travisamenti della realtà.
Voglio portare un esempio che è capitato a me, nel mio lavoro. La mia occupazione è nel sociale, nello specifico mi occupo di disabilità cognitiva al interno di un’associazione. I ragazzi con cui lavoro non sono dei casi gravi, vi possono essere dei ritardi cognitivi che sono in un certo senso congeniti, per cui sin dalla nascita vi sono stati dei problemi di varia natura, a traumatizzati cranici da incidente, fino ad alcuni casi di ragazzi adottati che arrivati in Italia già grandini, 8/10 anni, portavano già dei segni di ritardo cognitivo dettati, presumibilmente, da situazioni disagiate dal luogo da cui provenivano. Proprio con un ragazzo adottato, che chiamerò simpaticamente paperino, mi è capitata una cosa particolare che mi ha fatto molto riflettere. A ottobre del anno scorso i genitori di questo ragazzo hanno voluto parlare con una delle psicologhe con cui collaboro, inerente al fatto che, parole della mamma, il figlio veniva in un certo senso sbeffeggiato da me, preso in giro in modo pesante e che questa situazione metteva paperino in una condizione di grande disagio, a tal punto che quando tornava a casa era nervoso, suscettibile, intrattabile. Viene fatto notare che la cosa era perdurata per tutta l’estate. Paperino nell’estate del 2014 ha lavorato con me in un parco ludico per bambini, dove noi come associazione gestiamo assieme ai ragazzi, portando avanti le attività di questo parco. I ragazzi dell’associazione si impegnano molto affinché il parco possa essere in ordine, pulito e accogliente per i bambini che vengono a giocare, ma anche per i genitori che per un’oretta si rilassano, lasciando i propri figli liberi in uno spazio sicuro lontani da pericoli esterni. In tutto questo la mamma di paperino dice che il mio modo di pormi non era consono e che sarebbe stato meglio da parte dei miei colleghi farmi notare questo. Il padre tra le altre cose dice che quelli come me che vengono dalle mie zone, abito in un paese vicino al confine tra emilia e la romagna, sono in buona parte come me, ridanciani, sempre con la battuta, con lo scherzo sempre pronto, insomma un cazzaro doc. Alla luce di questo vengo preso da parte da questa mia collega che mi riporta il tutto e mi invita a capire cosa c’è di vero, in una sorta di mia autoanalisi, ma soprattutto confrontarmi con paperino per capire quali sono i suoi disagi e su cosa io posso correggere per non commettere più degli errori. Non nascondo un certo sbigottimento nel sentire questa cosa. Per poter affrontare paperino ci ho messo una settimana, ero stordito da quello che mi era stato detto. Sentivo che se tutto ciò era vero e confermato da paperino, veniva meno il mio lavoro, il mio impegno, il fatto di non aver aiutato un ragazzo, che doveva essere sostenuto per le sue difficoltà, e venendo meno al mio compito di crescita personale nei suoi confronti.
Dopo una settimana prendo il coraggio a due mani e approfitto in un momento di pausa dalle mansioni quotidiane, per prenderlo da parte e fare due chiacchere per approfondire la questione. Io ovviamente non gli dico che sua mamma è venuta a parlaci, ma gli chiedo come si trova con me nelle varie attività che facciamo e soprattutto come si era trovato nell’estate appena conclusa, nel parco ludico dove avevamo lavorato assieme. La risposta di paperino è sorprendente perché mi prende in contro piede, aspettandomi io una lamentela in merito alla mia modalità eccessivamente scherzosa da lui mal tollerata. Paperino in breve lamenta la mia eccessiva serietà nel lavoro, la disciplina e il senso del dovere che in tutta l’estate era stata una linea comune nel lavoro al parco. Lamentava il fatto che avrebbe voluto più momenti ludici, che peraltro erano contemplati soprattutto alla fine della giornata, mezz’ora prima della chiusura se non tre quarti d’ora prima. Mi vedeva come suo padre, vedeva in me quella figura paterna che a casa lo sprona a fare le cose con una certa serietà, ed è talmente vera questa cosa per lui, che la rafforza dicendomi che quando si giocava prima della chiusura, ci teneva sempre a essere contro di me e a provare a battermi, proprio come avrebbe voluto fare con suo padre. Alla fine di quella risposta io cado letteralmente dalle nuvole, perché non capisco dove stia il corto circuito, il perché la mamma sosteneva una cosa che era letteralmente il contrario di quello che mi dice lui. Estremamente incuriosito gli chiedo se il mio modo di scherzare quando si lavorava assieme, era un modo da lui accettato o invece fosse per lui una cosa fastidiosa. Paperino mi dice che in effetti al inizio un po lo disturbava, ma che a poco a poco la cosa lo divertiva, perché io ero così con tutti per cui in fondo non c’è l’avevo con lui, ma prendevo in giro, quando non si lavorava, tutti allo stesso modo. Ovviamente la mia chiacchierata con lui è proseguita, cercando di notare le cose che potevano essere buone per me in funzione sua, in sintesi prendere le cose più importanti che mi stava dicendo, perché potessero essere un buono strumento per continuare a lavorare assieme e instaurare in modo più sinergico un’alleanza.
Alla fine di quel colloquio ancora non mi raccapezzavo di come la situazione che stavo vivendo poteva essersi creata. Inizialmente incominciai a pensare che la mamma avesse travisato alcune dei fatti raccontati dal figlio, ma piano piano si insinua in me una convinzione che solo la psicologa con cui avevo parlato inizialmente, avrebbe potuto aiutarmi a dipanare. La mamma era abituata a venire di tanto in tanto al parco per venire a trovare il figlio. In quella situazione notavo che vi era da parte della madre un atteggiamento di chi impartiva orari e regole da seguire, in sintesi un modus vivendi permeato sul suo modo di vivere e vedere le cose, senza rispettare quelle che erano i desideri e i bisogni reali del figlio o per meglio dire i bisogni più significativi, sottolineando che paperino ha più di vent’anni,. Per farla breve, confrontandomi con la psicologa collega, la reale situazione era che il tutto era un’opinione della mamma, che vedendomi al lavoro con il figlio e non digerendo, evidentemente le mie uscite scherzose, si era fatta una sua opinione in merito, senza confutarla e senza verificare se il figlio fosse davvero arrabbiato per quei motivi o se diversamente ci fossero altre questioni alla base. Per inciso le questioni c’erano e si trattavano di una ragazzotta con cui lui era ed è tuttora assieme.
La questione si è risolta e per quel che mi riguarda il mio lavoro in tal senso prosegue senza situazioni di questo genere. Certamente mi ha fatto riflettere su come lavorare con i ragazzi e che rapporto tenere con i genitori, ma più in generale mi sono chiesto quante volte mi sono fatto un film, in merito a un fatto vissuto o raccontato, a come le mie opinioni partano in automatico in qualsiasi situazione io mi trovi, e a come poi le cose possano essere diverse da come me le ero immaginate.
Spesso il rimuginio ci amplifica un’idea errata che di solito, anche se non sempre, è negativa, e che non ci consente di riflettere e ponderare in modo equilibrato. Non vedere se ciò che percepiamo è davvero confermato dalla realtà, ci porta spesso a creare ruggini anche molto pesanti, nella coppia piuttosto che sul posto di lavoro. Anzi il posto di lavoro è un terreno fertile per le incomprensioni e le situazioni equivocabili. Una parola mal detta o mal recepita, dove il non aver chiarito porta a farsi dei viaggi “interstellari”, crea spesso situazioni di disagio che sfociano in veri e propri regolamenti di conti dove ci si mette tutto, dal fatto più banale, alla rabbia repressa e ingoiata fin a quel momento, esplodendo e sfogando tutto il disagio accumulato. Il poter, appena possibile, chiarire e verificare se ciò che abbiamo colto era vero o frutto di una nostra errata interpretazione ci può far risparmiare momenti più o meno lunghi di malesseri e farci guadagnare in salute. Paperino percepiva in me un capo risoluto e intransigente, la mamma mi vedeva come un’ operatore che sviliva e sbeffeggiava il figlio, io che credevo di aver un buon equilibrio tra la figura di operatore che aiuta a lavorare e operatore che condivide i momenti di pausa e relax. Tutti e tre credevamo una cosa che veniva recepita dagl’altri in modo diverso. Al di la del perché o del per come questo si sia creato, di fatto la situazione era tale che non vi è stata da parte di nessuno, quanto meno da me e dalla madre, una richiesta di feedback per capire se in effetti il tutto procedeva nella giusta direzione. Questo è stato per me un grande insegnamento, non solo sul piano lavorativo, ma soprattutto sul piano relazionale a 360°, dove nelle cose che contano davvero , la chiarezza, l’apertura agli altri e la verifica di ciò che viene recepito dalle mie parole o dai miei comportamenti, aiuta prima di tutto me a capire dove sto andando, se la strada che percorro è libera o se invece sto andando a sbattere contro un iceberg rischiando di fare la fine del titanic.
Voglio portare un esempio che è capitato a me, nel mio lavoro. La mia occupazione è nel sociale, nello specifico mi occupo di disabilità cognitiva al interno di un’associazione. I ragazzi con cui lavoro non sono dei casi gravi, vi possono essere dei ritardi cognitivi che sono in un certo senso congeniti, per cui sin dalla nascita vi sono stati dei problemi di varia natura, a traumatizzati cranici da incidente, fino ad alcuni casi di ragazzi adottati che arrivati in Italia già grandini, 8/10 anni, portavano già dei segni di ritardo cognitivo dettati, presumibilmente, da situazioni disagiate dal luogo da cui provenivano. Proprio con un ragazzo adottato, che chiamerò simpaticamente paperino, mi è capitata una cosa particolare che mi ha fatto molto riflettere. A ottobre del anno scorso i genitori di questo ragazzo hanno voluto parlare con una delle psicologhe con cui collaboro, inerente al fatto che, parole della mamma, il figlio veniva in un certo senso sbeffeggiato da me, preso in giro in modo pesante e che questa situazione metteva paperino in una condizione di grande disagio, a tal punto che quando tornava a casa era nervoso, suscettibile, intrattabile. Viene fatto notare che la cosa era perdurata per tutta l’estate. Paperino nell’estate del 2014 ha lavorato con me in un parco ludico per bambini, dove noi come associazione gestiamo assieme ai ragazzi, portando avanti le attività di questo parco. I ragazzi dell’associazione si impegnano molto affinché il parco possa essere in ordine, pulito e accogliente per i bambini che vengono a giocare, ma anche per i genitori che per un’oretta si rilassano, lasciando i propri figli liberi in uno spazio sicuro lontani da pericoli esterni. In tutto questo la mamma di paperino dice che il mio modo di pormi non era consono e che sarebbe stato meglio da parte dei miei colleghi farmi notare questo. Il padre tra le altre cose dice che quelli come me che vengono dalle mie zone, abito in un paese vicino al confine tra emilia e la romagna, sono in buona parte come me, ridanciani, sempre con la battuta, con lo scherzo sempre pronto, insomma un cazzaro doc. Alla luce di questo vengo preso da parte da questa mia collega che mi riporta il tutto e mi invita a capire cosa c’è di vero, in una sorta di mia autoanalisi, ma soprattutto confrontarmi con paperino per capire quali sono i suoi disagi e su cosa io posso correggere per non commettere più degli errori. Non nascondo un certo sbigottimento nel sentire questa cosa. Per poter affrontare paperino ci ho messo una settimana, ero stordito da quello che mi era stato detto. Sentivo che se tutto ciò era vero e confermato da paperino, veniva meno il mio lavoro, il mio impegno, il fatto di non aver aiutato un ragazzo, che doveva essere sostenuto per le sue difficoltà, e venendo meno al mio compito di crescita personale nei suoi confronti.
Dopo una settimana prendo il coraggio a due mani e approfitto in un momento di pausa dalle mansioni quotidiane, per prenderlo da parte e fare due chiacchere per approfondire la questione. Io ovviamente non gli dico che sua mamma è venuta a parlaci, ma gli chiedo come si trova con me nelle varie attività che facciamo e soprattutto come si era trovato nell’estate appena conclusa, nel parco ludico dove avevamo lavorato assieme. La risposta di paperino è sorprendente perché mi prende in contro piede, aspettandomi io una lamentela in merito alla mia modalità eccessivamente scherzosa da lui mal tollerata. Paperino in breve lamenta la mia eccessiva serietà nel lavoro, la disciplina e il senso del dovere che in tutta l’estate era stata una linea comune nel lavoro al parco. Lamentava il fatto che avrebbe voluto più momenti ludici, che peraltro erano contemplati soprattutto alla fine della giornata, mezz’ora prima della chiusura se non tre quarti d’ora prima. Mi vedeva come suo padre, vedeva in me quella figura paterna che a casa lo sprona a fare le cose con una certa serietà, ed è talmente vera questa cosa per lui, che la rafforza dicendomi che quando si giocava prima della chiusura, ci teneva sempre a essere contro di me e a provare a battermi, proprio come avrebbe voluto fare con suo padre. Alla fine di quella risposta io cado letteralmente dalle nuvole, perché non capisco dove stia il corto circuito, il perché la mamma sosteneva una cosa che era letteralmente il contrario di quello che mi dice lui. Estremamente incuriosito gli chiedo se il mio modo di scherzare quando si lavorava assieme, era un modo da lui accettato o invece fosse per lui una cosa fastidiosa. Paperino mi dice che in effetti al inizio un po lo disturbava, ma che a poco a poco la cosa lo divertiva, perché io ero così con tutti per cui in fondo non c’è l’avevo con lui, ma prendevo in giro, quando non si lavorava, tutti allo stesso modo. Ovviamente la mia chiacchierata con lui è proseguita, cercando di notare le cose che potevano essere buone per me in funzione sua, in sintesi prendere le cose più importanti che mi stava dicendo, perché potessero essere un buono strumento per continuare a lavorare assieme e instaurare in modo più sinergico un’alleanza.
Alla fine di quel colloquio ancora non mi raccapezzavo di come la situazione che stavo vivendo poteva essersi creata. Inizialmente incominciai a pensare che la mamma avesse travisato alcune dei fatti raccontati dal figlio, ma piano piano si insinua in me una convinzione che solo la psicologa con cui avevo parlato inizialmente, avrebbe potuto aiutarmi a dipanare. La mamma era abituata a venire di tanto in tanto al parco per venire a trovare il figlio. In quella situazione notavo che vi era da parte della madre un atteggiamento di chi impartiva orari e regole da seguire, in sintesi un modus vivendi permeato sul suo modo di vivere e vedere le cose, senza rispettare quelle che erano i desideri e i bisogni reali del figlio o per meglio dire i bisogni più significativi, sottolineando che paperino ha più di vent’anni,. Per farla breve, confrontandomi con la psicologa collega, la reale situazione era che il tutto era un’opinione della mamma, che vedendomi al lavoro con il figlio e non digerendo, evidentemente le mie uscite scherzose, si era fatta una sua opinione in merito, senza confutarla e senza verificare se il figlio fosse davvero arrabbiato per quei motivi o se diversamente ci fossero altre questioni alla base. Per inciso le questioni c’erano e si trattavano di una ragazzotta con cui lui era ed è tuttora assieme.
La questione si è risolta e per quel che mi riguarda il mio lavoro in tal senso prosegue senza situazioni di questo genere. Certamente mi ha fatto riflettere su come lavorare con i ragazzi e che rapporto tenere con i genitori, ma più in generale mi sono chiesto quante volte mi sono fatto un film, in merito a un fatto vissuto o raccontato, a come le mie opinioni partano in automatico in qualsiasi situazione io mi trovi, e a come poi le cose possano essere diverse da come me le ero immaginate.
Spesso il rimuginio ci amplifica un’idea errata che di solito, anche se non sempre, è negativa, e che non ci consente di riflettere e ponderare in modo equilibrato. Non vedere se ciò che percepiamo è davvero confermato dalla realtà, ci porta spesso a creare ruggini anche molto pesanti, nella coppia piuttosto che sul posto di lavoro. Anzi il posto di lavoro è un terreno fertile per le incomprensioni e le situazioni equivocabili. Una parola mal detta o mal recepita, dove il non aver chiarito porta a farsi dei viaggi “interstellari”, crea spesso situazioni di disagio che sfociano in veri e propri regolamenti di conti dove ci si mette tutto, dal fatto più banale, alla rabbia repressa e ingoiata fin a quel momento, esplodendo e sfogando tutto il disagio accumulato. Il poter, appena possibile, chiarire e verificare se ciò che abbiamo colto era vero o frutto di una nostra errata interpretazione ci può far risparmiare momenti più o meno lunghi di malesseri e farci guadagnare in salute. Paperino percepiva in me un capo risoluto e intransigente, la mamma mi vedeva come un’ operatore che sviliva e sbeffeggiava il figlio, io che credevo di aver un buon equilibrio tra la figura di operatore che aiuta a lavorare e operatore che condivide i momenti di pausa e relax. Tutti e tre credevamo una cosa che veniva recepita dagl’altri in modo diverso. Al di la del perché o del per come questo si sia creato, di fatto la situazione era tale che non vi è stata da parte di nessuno, quanto meno da me e dalla madre, una richiesta di feedback per capire se in effetti il tutto procedeva nella giusta direzione. Questo è stato per me un grande insegnamento, non solo sul piano lavorativo, ma soprattutto sul piano relazionale a 360°, dove nelle cose che contano davvero , la chiarezza, l’apertura agli altri e la verifica di ciò che viene recepito dalle mie parole o dai miei comportamenti, aiuta prima di tutto me a capire dove sto andando, se la strada che percorro è libera o se invece sto andando a sbattere contro un iceberg rischiando di fare la fine del titanic.