Sono rimasta molto colpita nell’ultimo seminario cui ho partecipato dal concetto della “neutralità”, senz’altro anche per la mia deformazione professionale linguistica, che mi ha subito rimandato ai termini “neutro” e “neutrale”, comunemente impiegati per riferirsi a qualcuno o qualcosa che non sta né da una parte né dall’altra, oppure ad un colore indefinibile e forse un po’ scialbo, quindi in un’accezione non molto positiva; tuttavia, questo concetto linguistico contrasta fortemente con la ricchezza di sfumature che ho percepito nell’utilizzo del concetto di neutralità circostanziato ad un setting di coaching o counseling.
Questo “farsi neutro” mi ha subito riportata ad un qualcosa che conosco bene, una motivazione talmente forte che quattro anni fa mi portò a scegliere di iniziare un lavoro sperimentale di Craniosacrale Biodinamico nonostante la mia formazione in osteopatia, e già prima quella in Kinesiologia Bio-Sistematica, mi avessero portata a praticare Craniosacrale Biomeccanico, e quindi sarebbe stato più normale che io mi limitassi all’uso di quanto esperito sia come ricevente che come praticante. Eppure…
In questo “eppure” c’è non solo un qualcosa di difficilmente spiegabile, una sorta di anelito ad andare oltre, oltre lo scontato, oltre il già detto, oltre la prassi più accettata, oltre. C’è anche il modo più profondo di essere terapeuta, quella sorta di credo e di fede non professata ma vissuta ogni giorno, fatta non solo di quanto imparato, ma soprattutto di quanto corpo e mente e spirito hanno appreso negli anni del mio viaggio formativo, in un continuo fecondo confronto con le tecniche, le discipline, i terapeuti, i pazienti, i docenti e gli altri viaggiatori. Il percorso mi ricordato quel che già sentivo, e cioè che non si può mai prescindere dal tutto, dalla persona intera come corpo - mente - spirito.
Quindi se in kinesiologia avevo imparato che diamo tanta importanza ad una vertebra per via dei suoi sette fattori intervertebrali che riguardano la persona nella sua interezza, allora accostandomi al Craniosacrale non mi poteva passare neppure per l’anticamera della mente di valutare il movimento di un osso o membrana o qualsiasi altro punto di ascolto senza prima considerare l’intero sistema della persona, facendomi umile ascoltatore senza arrogarmi nessuna conoscenza, per capire quale fosse la priorità di quel sistema, la via di accesso che quel sistema stava decidendo di aprire per me come compagno di un tratto di strada.
E non a caso ora, che intraprendo un viaggio nelle tecniche di coaching e mental training, eccola qui che arriva e mi aspetta alla seconda stazione, la neutralità, presentata da Armando Lombardi. Armando ci insegna a far palestra <<...di una possibilità che è la capacità di fare un passo indietro, l’arretramento: inserirsi in un processo ma senza interferenze... La “Capacità di Farsi Neutro”, di lavorare elaborando un elemento di enorme rischio che è la volontà di potenza, un elemento di rischio di tipo narcisistico che si insinua in qualsiasi setting. L'acqua diventa una metafora e dal punto di vista della prossemica è uno spazio denso di tantissimi significati. È uno spazio molto ravvicinato, nel quale il declinarsi di elementi distorti è un rischio immanente. Molto più difficile fare dei passi indietro e farsi presenza neutra; il mantenere il contatto visivo è per non distrarsi, il farsi ombra e mettersi al servizio del ricevente>>.
Questa per me, ancora oggi è la differenza tra un terapeuta incarnato e uno millantato, e i miei pensieri di quattro anni fa, che riguardavano il giusto atteggiamento di servizio di un operatore di Craniosacrale Biodinamico, trovano piena ragion d’essere anche applicati al coaching e al counseling olistico: <<...la differenza sta nel rispetto della persona, che nel biodinamico si fa ancora più grande perché il terapeuta pur comprendendo tutto si spoglia di ogni conoscenza e di ogni presunzione di conoscenza nell’attimo stesso in cui si accosta al paziente, per diventare umile ascoltatore del programma di salute che è inscritto in quella persona e solo quella, senza nessuna decisione a priori, senza nessuna aprioristica volontà di controllo o correzione, predisponendosi a farsi egli stesso strumento di apprendimento di un processo tanto misterioso quanto unico, il processo di evoluzione in direzione della salute per quella persona che è sul lettino, unica per antonomasia in quel preciso momento, e sempre, perché ogni essere umano è unico quindi unica è la strada verso la sua salute. E questo richiede un notevole sforzo anche al terapeuta, troppo spesso pervaso oltre che da una sana intenzione di aiuto in direzione della salute anche da una sorta di onnipotenza che gli fa dimenticare l’ascolto, l’umiltà, l’accettazione di qualcosa di più grande di quanto possiamo mai capire con i nostri 5 sensi, doti queste che spesso possono aiutare in silenzio il paziente molto più di tante, troppe parole inopportune, anche se dispensate con intenzione terapeutica>>.
Penso che le cose semplici siano quasi sempre le più difficili, perché farsi neutro mettendosi al servizio di qualcuno, anche solo per un’ora, implica la rinuncia ad una buona fetta del proprio ego, che non è certo il nostro strato più superficiale.
Per questo guardo alla neutralità come ad un difficile traguardo che è punto di partenza per ogni vera terapia, quella linea che mi propongo di oltrepassare ogni volta, già mentre accolgo il mio cliente.
Questo “farsi neutro” mi ha subito riportata ad un qualcosa che conosco bene, una motivazione talmente forte che quattro anni fa mi portò a scegliere di iniziare un lavoro sperimentale di Craniosacrale Biodinamico nonostante la mia formazione in osteopatia, e già prima quella in Kinesiologia Bio-Sistematica, mi avessero portata a praticare Craniosacrale Biomeccanico, e quindi sarebbe stato più normale che io mi limitassi all’uso di quanto esperito sia come ricevente che come praticante. Eppure…
In questo “eppure” c’è non solo un qualcosa di difficilmente spiegabile, una sorta di anelito ad andare oltre, oltre lo scontato, oltre il già detto, oltre la prassi più accettata, oltre. C’è anche il modo più profondo di essere terapeuta, quella sorta di credo e di fede non professata ma vissuta ogni giorno, fatta non solo di quanto imparato, ma soprattutto di quanto corpo e mente e spirito hanno appreso negli anni del mio viaggio formativo, in un continuo fecondo confronto con le tecniche, le discipline, i terapeuti, i pazienti, i docenti e gli altri viaggiatori. Il percorso mi ricordato quel che già sentivo, e cioè che non si può mai prescindere dal tutto, dalla persona intera come corpo - mente - spirito.
Quindi se in kinesiologia avevo imparato che diamo tanta importanza ad una vertebra per via dei suoi sette fattori intervertebrali che riguardano la persona nella sua interezza, allora accostandomi al Craniosacrale non mi poteva passare neppure per l’anticamera della mente di valutare il movimento di un osso o membrana o qualsiasi altro punto di ascolto senza prima considerare l’intero sistema della persona, facendomi umile ascoltatore senza arrogarmi nessuna conoscenza, per capire quale fosse la priorità di quel sistema, la via di accesso che quel sistema stava decidendo di aprire per me come compagno di un tratto di strada.
E non a caso ora, che intraprendo un viaggio nelle tecniche di coaching e mental training, eccola qui che arriva e mi aspetta alla seconda stazione, la neutralità, presentata da Armando Lombardi. Armando ci insegna a far palestra <<...di una possibilità che è la capacità di fare un passo indietro, l’arretramento: inserirsi in un processo ma senza interferenze... La “Capacità di Farsi Neutro”, di lavorare elaborando un elemento di enorme rischio che è la volontà di potenza, un elemento di rischio di tipo narcisistico che si insinua in qualsiasi setting. L'acqua diventa una metafora e dal punto di vista della prossemica è uno spazio denso di tantissimi significati. È uno spazio molto ravvicinato, nel quale il declinarsi di elementi distorti è un rischio immanente. Molto più difficile fare dei passi indietro e farsi presenza neutra; il mantenere il contatto visivo è per non distrarsi, il farsi ombra e mettersi al servizio del ricevente>>.
Questa per me, ancora oggi è la differenza tra un terapeuta incarnato e uno millantato, e i miei pensieri di quattro anni fa, che riguardavano il giusto atteggiamento di servizio di un operatore di Craniosacrale Biodinamico, trovano piena ragion d’essere anche applicati al coaching e al counseling olistico: <<...la differenza sta nel rispetto della persona, che nel biodinamico si fa ancora più grande perché il terapeuta pur comprendendo tutto si spoglia di ogni conoscenza e di ogni presunzione di conoscenza nell’attimo stesso in cui si accosta al paziente, per diventare umile ascoltatore del programma di salute che è inscritto in quella persona e solo quella, senza nessuna decisione a priori, senza nessuna aprioristica volontà di controllo o correzione, predisponendosi a farsi egli stesso strumento di apprendimento di un processo tanto misterioso quanto unico, il processo di evoluzione in direzione della salute per quella persona che è sul lettino, unica per antonomasia in quel preciso momento, e sempre, perché ogni essere umano è unico quindi unica è la strada verso la sua salute. E questo richiede un notevole sforzo anche al terapeuta, troppo spesso pervaso oltre che da una sana intenzione di aiuto in direzione della salute anche da una sorta di onnipotenza che gli fa dimenticare l’ascolto, l’umiltà, l’accettazione di qualcosa di più grande di quanto possiamo mai capire con i nostri 5 sensi, doti queste che spesso possono aiutare in silenzio il paziente molto più di tante, troppe parole inopportune, anche se dispensate con intenzione terapeutica>>.
Penso che le cose semplici siano quasi sempre le più difficili, perché farsi neutro mettendosi al servizio di qualcuno, anche solo per un’ora, implica la rinuncia ad una buona fetta del proprio ego, che non è certo il nostro strato più superficiale.
Per questo guardo alla neutralità come ad un difficile traguardo che è punto di partenza per ogni vera terapia, quella linea che mi propongo di oltrepassare ogni volta, già mentre accolgo il mio cliente.