"Si è sempre pensato che la quantità di tempo che il personale trascorre alla scrivania fosse una misura della produttività. Tuttavia, ora che siamo entrati nell'era del lavoro ibrido, non è più così facile da misurare: misurare lo sforzo non è uguale a misurare la produttività – spiega Kevin Albertson, professore della Manchester Metropolitan University –. Bisogna cambiare".
Nonostante l'ossessione per la produttività sia profondamente radicata nel settore economico, l'idea che il valore di un lavoratore si basi sulla sua produzione giornaliera, e non sulla qualità di quest'ultima, è un retaggio dell'epoca preindustriale. In alcuni casi, i dipendenti delle società tecnologiche hanno addirittura interiorizzato il desiderio di essere produttivi. Un sondaggio condotto alla fine del 2022 da Headway, azienda specializzata in tecnologie dell'educazione, ha riscontrato che la produttività è la priorità assoluta nella vita della maggior parte delle persone.
Questa interiorizzazione della produttività ha portato a una necessità di essere sempre produttivi, anche a casa, anche nello studio, portando a quella che viene definita: “produttività tossica”. La produttività diventa tossica quando ciò che una volta era salutare e utile diventa dannoso.
Voglio raccontarvi la mia esperienza da studentessa universitaria immersa in un mondo in cui i giornali ci riempiono di notizie con questi studenti “straordinari” che riescono a laurearsi in pochissimo tempo e con il massimo dei voti. Questa celebrazione dell’ennesimo plurilaureato in tempi record, con un voto stellare è un’eccezione che consapevolmente viene spacciata per normalità. Ciò sgretola certezze e corrode l’autostima di chi molla, se ne ammala. Spesso non si ha una figura di riferimento positiva e non giudicante a cui aggrapparsi in grado di toglierci tali lenti distorte.
Una concezione questa disumanizzante, spietata e impersonalizzante, secondo me, mi sembra sempre di sentir risuonare la stessa frase: “se ti sacrificherai per l’obiettivo, alla fine, sta certa che lo raggiungerai; i tuoi saranno orgogliosi – tradotto: non si vergogneranno di te – tutte le tue conoscenze ti invidieranno e la tua specializzazione ti trasformerà in una risorsa lavorativa. E ti realizzerai in quanto tale.” Fallimento è forse la parola che ogni studente, inseribile nella media accademica, avrà formulato almeno una volta nella mente pensando al proprio rendimento al di sotto del 30 e lode.
Per molto tempo mi sono sentita in obbligo nel passare le mie giornate sui libri, senza fare nient’altro, annullandomi per riuscire a fare l’esame e prendere il massimo dei voti. Il massimo però arrivava raramente, mi avvicinavo, lo sfioravo, ma non era il massimo e questo innestava un altro circolo vizioso, mi ripetevo che l’unico modo era studiare di più e uscire ancora di meno. Dopo il primo anno di università passato così ho capito che questa cosa non mi portava a nulla. Ho deciso di riappropriarmi del mio tempo, di studiare, seguire le lezioni, ma anche di uscire, fare delle camminate a mare, tornare a leggere i libri che mi piacciono. Volete la verità? Sono stata meglio. Ora sono al mio terzo anno, a luglio mi laureerò con due sessioni di anticipo, prendo voti più alti di prima e soprattutto sto bene, sono tranquilla e produttiva. Ma una produttività diversa, una produttività per me stessa.
L’obiettivo finale dovrebbe essere proprio: STARE BENE CON SÉ STESSI
Stare bene con sé stessi significa trovare il proprio equilibrio, la propria armonia. Non si tratta di un puro concetto estetico, bensì di una connessione profonda tra il nostro io interiore ed esteriore, un abbraccio tra mente e corpo. Vivere in armonia con sé stessi equivale ad imparare a prenderci cura di noi con costanza e dedizione, mirando quotidianamente al miglioramento del nostro stato di salute e del nostro umore.
Nonostante l'ossessione per la produttività sia profondamente radicata nel settore economico, l'idea che il valore di un lavoratore si basi sulla sua produzione giornaliera, e non sulla qualità di quest'ultima, è un retaggio dell'epoca preindustriale. In alcuni casi, i dipendenti delle società tecnologiche hanno addirittura interiorizzato il desiderio di essere produttivi. Un sondaggio condotto alla fine del 2022 da Headway, azienda specializzata in tecnologie dell'educazione, ha riscontrato che la produttività è la priorità assoluta nella vita della maggior parte delle persone.
Questa interiorizzazione della produttività ha portato a una necessità di essere sempre produttivi, anche a casa, anche nello studio, portando a quella che viene definita: “produttività tossica”. La produttività diventa tossica quando ciò che una volta era salutare e utile diventa dannoso.
Voglio raccontarvi la mia esperienza da studentessa universitaria immersa in un mondo in cui i giornali ci riempiono di notizie con questi studenti “straordinari” che riescono a laurearsi in pochissimo tempo e con il massimo dei voti. Questa celebrazione dell’ennesimo plurilaureato in tempi record, con un voto stellare è un’eccezione che consapevolmente viene spacciata per normalità. Ciò sgretola certezze e corrode l’autostima di chi molla, se ne ammala. Spesso non si ha una figura di riferimento positiva e non giudicante a cui aggrapparsi in grado di toglierci tali lenti distorte.
Una concezione questa disumanizzante, spietata e impersonalizzante, secondo me, mi sembra sempre di sentir risuonare la stessa frase: “se ti sacrificherai per l’obiettivo, alla fine, sta certa che lo raggiungerai; i tuoi saranno orgogliosi – tradotto: non si vergogneranno di te – tutte le tue conoscenze ti invidieranno e la tua specializzazione ti trasformerà in una risorsa lavorativa. E ti realizzerai in quanto tale.” Fallimento è forse la parola che ogni studente, inseribile nella media accademica, avrà formulato almeno una volta nella mente pensando al proprio rendimento al di sotto del 30 e lode.
Per molto tempo mi sono sentita in obbligo nel passare le mie giornate sui libri, senza fare nient’altro, annullandomi per riuscire a fare l’esame e prendere il massimo dei voti. Il massimo però arrivava raramente, mi avvicinavo, lo sfioravo, ma non era il massimo e questo innestava un altro circolo vizioso, mi ripetevo che l’unico modo era studiare di più e uscire ancora di meno. Dopo il primo anno di università passato così ho capito che questa cosa non mi portava a nulla. Ho deciso di riappropriarmi del mio tempo, di studiare, seguire le lezioni, ma anche di uscire, fare delle camminate a mare, tornare a leggere i libri che mi piacciono. Volete la verità? Sono stata meglio. Ora sono al mio terzo anno, a luglio mi laureerò con due sessioni di anticipo, prendo voti più alti di prima e soprattutto sto bene, sono tranquilla e produttiva. Ma una produttività diversa, una produttività per me stessa.
L’obiettivo finale dovrebbe essere proprio: STARE BENE CON SÉ STESSI
Stare bene con sé stessi significa trovare il proprio equilibrio, la propria armonia. Non si tratta di un puro concetto estetico, bensì di una connessione profonda tra il nostro io interiore ed esteriore, un abbraccio tra mente e corpo. Vivere in armonia con sé stessi equivale ad imparare a prenderci cura di noi con costanza e dedizione, mirando quotidianamente al miglioramento del nostro stato di salute e del nostro umore.