L’animale di casa è invecchiato, è malato e forse non ce la fa proprio più. Si riposa, sta fermo, non segue i padroni, lamenta i propri acciacchi.
E i padroni? La 'mamma' e il 'papà' del cane, come si stanno preparando e cosa si stanno dicendo, per non rimanere ancorati ad un distacco cinico e inevitabile o al senso di colpa di non aver fatto abbastanza?
Non è inusuale soffrire e sentirsi impotenti o, addirittura, trascinati dentro il vuoto dell’ultimo periodo, con ricordi di dolori mai sopiti.
Dentro quel vuoto non c’è l’essere, c’è solo assenza, separazione, impotenza. Dentro quel vuoto non c’è un Io che respira, che parla, che trasforma. Dentro quel vuoto non c’è futuro.
Certo, dura momenti, forse giorni e settimane, poi tutto si placa. Ma ora, cosa si può chiedere alle persone coinvolte, per sperimentare con forza, la forza di quei momenti? Come reagire in modo costruttivo e utile per tutti?
Nei momenti di lucidità si comprende che la malattia e la vecchiaia sono inesorabili. E in certi momenti si accarezza il non ritorno. Ma cosa si vorrebbe per sé, per camminare tra le sponde della paura della morte e l’aspettativa della sopravvivenza?
Prima di lasciare il cane, forse, occorre vivere con meno forza la speranza e magari riuscire a parlare al passato, del proprio cane: ‘era un amore, abbiamo vissuto insieme cose incredibili’. Certamente, è utile non colpevolizzarsi e cercare di capire come rendere utile ogni momento della crisi.
Ad esempio, piangere per affetto e non per dolore della perdita, invita ad accarezzare il cane, a ricordare le avventure e le risate, ma con un compito da svolgere: portare dentro quelle coccole e discorsi, anche le parole della vecchiaia, della malattia e del dolore della perdita, come un soffio lieve, come un ponte sull'aldilà.
Immaginare il proprio cane, accarezzarlo, parlargli, riempie i buchi vuoti del presente e del passato.
Prepararsi al meglio e prepararsi prima, riempie quei vuoti e ‘parlare della morte, fa vivere la vita’: l’esperienza dell’ultimo periodo diventa un sollievo carezzevole, diventa una terapia.
E i padroni? La 'mamma' e il 'papà' del cane, come si stanno preparando e cosa si stanno dicendo, per non rimanere ancorati ad un distacco cinico e inevitabile o al senso di colpa di non aver fatto abbastanza?
Non è inusuale soffrire e sentirsi impotenti o, addirittura, trascinati dentro il vuoto dell’ultimo periodo, con ricordi di dolori mai sopiti.
Dentro quel vuoto non c’è l’essere, c’è solo assenza, separazione, impotenza. Dentro quel vuoto non c’è un Io che respira, che parla, che trasforma. Dentro quel vuoto non c’è futuro.
Certo, dura momenti, forse giorni e settimane, poi tutto si placa. Ma ora, cosa si può chiedere alle persone coinvolte, per sperimentare con forza, la forza di quei momenti? Come reagire in modo costruttivo e utile per tutti?
Nei momenti di lucidità si comprende che la malattia e la vecchiaia sono inesorabili. E in certi momenti si accarezza il non ritorno. Ma cosa si vorrebbe per sé, per camminare tra le sponde della paura della morte e l’aspettativa della sopravvivenza?
Prima di lasciare il cane, forse, occorre vivere con meno forza la speranza e magari riuscire a parlare al passato, del proprio cane: ‘era un amore, abbiamo vissuto insieme cose incredibili’. Certamente, è utile non colpevolizzarsi e cercare di capire come rendere utile ogni momento della crisi.
Ad esempio, piangere per affetto e non per dolore della perdita, invita ad accarezzare il cane, a ricordare le avventure e le risate, ma con un compito da svolgere: portare dentro quelle coccole e discorsi, anche le parole della vecchiaia, della malattia e del dolore della perdita, come un soffio lieve, come un ponte sull'aldilà.
Immaginare il proprio cane, accarezzarlo, parlargli, riempie i buchi vuoti del presente e del passato.
Prepararsi al meglio e prepararsi prima, riempie quei vuoti e ‘parlare della morte, fa vivere la vita’: l’esperienza dell’ultimo periodo diventa un sollievo carezzevole, diventa una terapia.