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'Ottimisti e pessimisti' di Maurizia Pambianco

27/6/2019

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Osservando intorno a me, nella mia cerchia di amici e famigliari e soprattutto dentro di me, ho percepito questi due mondi o modi di interpretare la vita, gli accadimenti e se stessi: con l’ottimismo o con il pessimismo.

Ho notato che le persone pessimiste, di fronte all’osservazione del loro pessimismo replicano spesso: -”No, io non sono pessimista, io sono realista. La vita non è una fiaba a lieto fine” Cosa vuol dire essere realisti? Qual è la realtà se non ciò che si percepisce? “La realtà sono i dati di fatto” - mi viene replicato- ed io aggiungo” dati percepiti”. Quanti dettagli non percepiamo? quanti li interpretiamo? Come li interpretiamo, quale importanza diamo?

Martin E.P. Seligman nel suo libro” Imparare l’ottimismo” descrive lo studio che lui ha condotto per 25 anni su questi due mondi e li enuncia così: “i pessimisti tendono a credere che gli eventi negativi durino molto tempo, distruggano tutto e siano la conseguenza di colpe proprie. Gli ottimisti, quando devono confrontarsi con le avversità tendono a credere che la sconfitta sia temporanea e che le sue cause siano circoscritte ad uno specifico evento e ritengono che il fallimento non sia conseguenza di errori propri, ma possono essere anche delle circostanze, della sfortuna o dell’azione di qualcun altro. Gli ottimisti non si scoraggiano dopo una sconfitta poiché percepiscono una situazione negativa come una sfida da sostenere strenuamente.” ”Centinaia di ricerche” - prosegue Seligman - “dimostrano che i pessimisti si arrendono più facilmente e cadono più spesso in depressione, mentre gli ottimisti hanno una salute migliore, contraggono meno infezioni, il sistema immunitario lavora meglio, riescono meglio nello studio, nel lavoro e nello sport.” Alla base del pessimismo vi è un altro tema importante: l’impotenza di fronte agli accadimenti. Se sopravvalutiamo la nostra impotenza, altre forze assumono il controllo ed agiscono sul futuro della nostra vita.

Riprendendo la sapienza latina che ci appartiene: “in medio stat virtus”, anche un lieve pessimismo utilizzato con saggezza, ha una propria utilità.
​
L’ottimismo non sta semplicemente nel potere del pensiero positivo o
nell’imparare a dire cose positive a se stessi, piuttosto dal “pensiero non- negativo” nei momenti in cui si fallisce, che significa togliere i pensieri distruttivi che ci si rivolge in queste situazioni.

A queste affermazioni di Seligman io aggiungo, come insegna Manfredini, che la sconfitta, il fallimento non esistono, esistono i feed back. In questa modifica di termini si annulla la connotazione negativa che noi attribuiamo ai termini “fallimento” e “sconfitta”.

Un aspetto importante è il proprio dialogo interno, “stile esplicativo” definito da Seligman, esso è il modo in cui abitualmente spieghiamo gli eventi a noi stessi ed esso modula il senso di impotenza o meno che proviamo. Se il dialogo interno è ottimistico non proviamo lo stato di impotenza anzi può dare forza di fronte alle avversità, mentre se pessimistico aumenta e diffonde il senso di impotenza. Ciascuno di noi porta una parola nel cuore, un “no” o un “sì” e questo determina il nostro mondo.

A questo punto un‘attenzione ed un’educazione ad apprendere lo stile ottimistico diventano molto importanti per proteggerci dalla depressione e favorire un benessere psico-fisico.
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