L’uomo è un essere adattivo, questo lo ha da sempre distinto dalle altre specie e gli ha permesso, e gli sta permettendo, di sopravvivere in luoghi, condizioni e situazioni impensabili per altre specie.
Nel nostro viaggio personale sperimentiamo l’esaltazione e la felicità. Così come, in questa corsa, tutti noi ci troviamo non tanto “al cospetto”, quanto “dentro” e ben “in fondo” ad un baratro.
È difficile guardare in fondo al baratro, perché, seppur anche senza rendercene conto, ciò che ci spaventa di più è sapere che lì in fondo non troveremo altro che noi stessi. Nella nostra continua narrazione interiore ci diciamo che quel buio che vediamo è un nemico da combattere, che noi siamo solo luce, colori e profumi. E che quel nero è altro da noi. In fondo, però, sappiamo che non esiste luce senza ombra, non esiste bianco senza il nero, non c’è amore senza odio. E non c’è bene senza male. Siamo tutt’uno, un’unione completa di infinito.
Difficile, peraltro, è uscire dalla nostra zona di comfort. Il dolore, la paura, lo sconforto. L’odio. Che però ci fanno sentire al sicuro, perché elementi comunque conosciuti, sensazioni note, che, a poco a poco, rischiano di diventare compagni fedeli. Sirene che non riusciamo e vogliamo più lasciare.
E allora, quando te ne accorgi, ti ricordi del diritto ad essere felice.
Ringrazi, faticosamente, a volte mestamente, e a volte anche solo per impossibilità di far altro, quel baratro e ci salti dentro, nella tua oscurità. Smetti di dar retta a quelle che sono e restano giustificazioni. Accogli come un dono l’unica cosa che è veramente tua, la tua vita, accettando di essere anche quello che di sbagliato vedi. Perché tu sei anche quelli sbagli che mal sopporti. Perché quelle voci continuano a stridere e continueranno a farlo fino a che non darai loro modo di dire chi sono, cosa sono, cosa vogliono e perché gridano.
E finalmente, poi, fai tutto quello che puoi e vuoi fare. Vivere.
Nel nostro viaggio personale sperimentiamo l’esaltazione e la felicità. Così come, in questa corsa, tutti noi ci troviamo non tanto “al cospetto”, quanto “dentro” e ben “in fondo” ad un baratro.
È difficile guardare in fondo al baratro, perché, seppur anche senza rendercene conto, ciò che ci spaventa di più è sapere che lì in fondo non troveremo altro che noi stessi. Nella nostra continua narrazione interiore ci diciamo che quel buio che vediamo è un nemico da combattere, che noi siamo solo luce, colori e profumi. E che quel nero è altro da noi. In fondo, però, sappiamo che non esiste luce senza ombra, non esiste bianco senza il nero, non c’è amore senza odio. E non c’è bene senza male. Siamo tutt’uno, un’unione completa di infinito.
Difficile, peraltro, è uscire dalla nostra zona di comfort. Il dolore, la paura, lo sconforto. L’odio. Che però ci fanno sentire al sicuro, perché elementi comunque conosciuti, sensazioni note, che, a poco a poco, rischiano di diventare compagni fedeli. Sirene che non riusciamo e vogliamo più lasciare.
E allora, quando te ne accorgi, ti ricordi del diritto ad essere felice.
Ringrazi, faticosamente, a volte mestamente, e a volte anche solo per impossibilità di far altro, quel baratro e ci salti dentro, nella tua oscurità. Smetti di dar retta a quelle che sono e restano giustificazioni. Accogli come un dono l’unica cosa che è veramente tua, la tua vita, accettando di essere anche quello che di sbagliato vedi. Perché tu sei anche quelli sbagli che mal sopporti. Perché quelle voci continuano a stridere e continueranno a farlo fino a che non darai loro modo di dire chi sono, cosa sono, cosa vogliono e perché gridano.
E finalmente, poi, fai tutto quello che puoi e vuoi fare. Vivere.