Ogni colloquio professionale di lavoro, di coaching, di counseling o clinico, o semplicemente umano, è un giocare con le parole per farle interagire e interrogarsi sul valore di ciò che è autentico, utile, vero, credibile.
E’ una delle sfide più affascinanti della comunicazione: decodificare i messaggi e riconoscerli come importanti e significativi per sé.
Quando comunichiamo abbiamo bisogno di mettere a fuoco il quadro generale di ciò che ci viene raccontato e capire qual è la storia che viene rappresentata. E’ qualcosa che accade e che nello stesso tempo facciamo accadere.
Questo è il punto, comunicare è un progetto e contemporaneamente un’esperienza. Occorre formulare domande importanti e fondamentali e fare in modo che la mente resti aperta.
In ogni colloquio, chi parla desidera mostrarsi al meglio delle sue possibilità in una specie di tira e molla tra quanto è disposto a rivelare e quanto mostrerà di ciò che non vorrà mai rivelare. E’ un foglio in busta chiusa del cui contenuto si parla, ma in astratto.
Compito di un colloquio professionale è quello di rivelare qualcosa che non è deciso in anticipo: accade ed è il frutto di conoscenza, tecnica e creatività. Allo stesso tempo è presenza a se stessi e ricerca personale.
L’incontro è il cuore e la narrazione è il progetto!
In pratica ci sono due protagonisti e una storia da raccontare dove emergono le relazioni. Comunicare dunque non significa solo trasmettere conoscenze e contenuti, ma condividere e creare relazioni.
Spesso, chi ascolta vorrebbe avere il controllo su ciò che accade e la formula magica per ogni domanda inquieta, ma non funziona così.
E’ piuttosto una sorta di processo dove per la maggior parte del tempo, con i sensi allertati, si fissa l’altro come fosse una pasta madre in attesa che qualcosa di sensato, di sorprendente o di creativo, accada.
Quando si interagisce, occorre avere pazienza e legare tra loro le cose più importanti. E’ un processo fatto di tecnica, intuizione e astrazione. In questo senso ogni colloquio può essere artistico: si parte da esperienze vissute e si scoprono decine di pensieri ed emozioni diverse che, a mano a mano affiorano, si riflettono nell’essenza delle questioni.
Spesso si scarta tutto ciò che non è essenziale per affermare qualcosa. Si parte dalla sagoma di un racconto che parla di donne, di uomini, di vita, e si riporta qualcosa di nuovo.
Lo facciamo sin da piccoli, comunicare ha lo scopo di descrivere e creare narrazioni sempre nuove per arrivare a esporre la realtà in modo iperrealistico e a volte fantastico.
E’ con tali presupposti, di comprensione e connessione, che si partecipa ai corsi di coaching e counseling: si parla, si sperimenta, si comunica come si sa fare, finché un insegnante ti fa notare che questa modalità è ‘no’, quest’altra è ancora ‘no’, finché comincia ad emergere qualche ‘si’, ‘può andare’, ‘questo è proprio ok’.
Questo si fa nella formazione. Si prende una qualsiasi comunicazione e la si trasforma all’infinito, verificandone efficacia e particolarità. Alla fine si capisce che non si tratta di comunicare in modo banale, si tratta di condividere le idee con abbondanti e più specifiche dosi di informazioni. A volte sono molte, molti dettagli, molto realismo, forte interiorizzazione; altre volte è solo una frase, una parola, ma ogni idea ha un suo posto sulla scala. Narrare se stessi è un modo per acquisire una densità simbolica ed esperienziale del mondo che consente di affrontarla e superarla.
Immaginiamo che una persona racconti la sua esperienza. Potrebbe farlo in modo semplice, come dire ’di recente ho vissuto un lutto’, ma nessuno capirebbe il significato che la persona attribuisce a tale evento, perché troppo generico. Oppure potrebbe comunicarlo in modo profondamente coinvolgente, pieno di dettagli, sensazioni ed emozioni, dove, chi ascolta in modo eccessivamente empatico, potrebbe provare sensazioni di dolore, impotenza, incapacità. Da qualche parte ci deve essere un punto di incontro tra la genericità di un racconto e l’iperrealtà del vissuto. E’ qualcosa che nei colloqui va trovata. Qualcosa che rappresenti l’una e l’altra cosa e che sia adatta a riferire la propria esperienza per poterci riflettere sopra.
Ogni colloquio, pertanto, è una sfida e ogni persona ha una storia che impatta sui protagonisti nei modi più impensati. Tocca nel profondo i pregiudizi e le emozioni, colpisce le certezze e litiga con le radici culturali. Se tutto va bene, il cervello svuota il palco di tutto e per un’ora c’è solo una persona davanti a noi.
All’inizio c’è un individuo che racconta se stesso. Successivamente, c’è una persona che nel cercare la sua originalità, il suo essere unico e irripetibile, sfonda il muro delle parole generiche, nascoste e frammentate, e diventa progetto.
In genere si pensa che bastino due o tre corsi fatti bene per diventare esperti di comunicazione. In realtà ogni colloquio è uno stimolo in sé e non diventa mai facile. Nemmeno nel corso degli anni.
In effetti, come possono le parole descrivere la nostra vita in 3D? La risposta più ovvia è che occorre imparare a guardare se stessi da angolazioni diverse e trovare quel luogo limite che permetta di guardarci sia da dentro che da fuori. Occorre modificare le nostre esperienze a risoluzione molto bassa (dolore) in esperienze che ci permettano di cambiare colori, sembianze, forme con risoluzioni alte (piacere).
E’ così che un colloquio, dove si ha la sensazione di essere capiti, diventa casa, un luogo di cultura dove si prova l’emozione di ri-nascere e crescere.
Ogni colloquio non è mai una ripetizione. A volte ci si confronta con momenti di vera poesia. Altre volte subentra la paura. Non si hanno idee. Ci si sente inadatti. Ma quando si capisce che le proprie paure possono rovinare il nostro operato e le si affrontano, allora ci si rilassa. Ci si impegna e ci esercita a migliorare giorno dopo giorno. Umilmente.
E’ così che cambia negli anni il nostro modo di comunicare. 10 anni fa eravamo più giovani e più freschi. Potenzialmente migliori di oggi. In realtà la nostra comunicazione di oggi è come la realtà aumentata: qualcosa che si evolve e si estende oltre noi. E quando condividiamo le nostre paure, ansie e speranze, riusciamo a dire: ‘ecco, questa è la mia storia, sono vivo, amo le altre persone, desidero essere migliore’.
Questa è la vera sfida della comunicazione: ‘confidarsi in modo creativo e imparare nuovi modi di navigare nella vita’.
E’ una delle sfide più affascinanti della comunicazione: decodificare i messaggi e riconoscerli come importanti e significativi per sé.
Quando comunichiamo abbiamo bisogno di mettere a fuoco il quadro generale di ciò che ci viene raccontato e capire qual è la storia che viene rappresentata. E’ qualcosa che accade e che nello stesso tempo facciamo accadere.
Questo è il punto, comunicare è un progetto e contemporaneamente un’esperienza. Occorre formulare domande importanti e fondamentali e fare in modo che la mente resti aperta.
In ogni colloquio, chi parla desidera mostrarsi al meglio delle sue possibilità in una specie di tira e molla tra quanto è disposto a rivelare e quanto mostrerà di ciò che non vorrà mai rivelare. E’ un foglio in busta chiusa del cui contenuto si parla, ma in astratto.
Compito di un colloquio professionale è quello di rivelare qualcosa che non è deciso in anticipo: accade ed è il frutto di conoscenza, tecnica e creatività. Allo stesso tempo è presenza a se stessi e ricerca personale.
L’incontro è il cuore e la narrazione è il progetto!
In pratica ci sono due protagonisti e una storia da raccontare dove emergono le relazioni. Comunicare dunque non significa solo trasmettere conoscenze e contenuti, ma condividere e creare relazioni.
Spesso, chi ascolta vorrebbe avere il controllo su ciò che accade e la formula magica per ogni domanda inquieta, ma non funziona così.
E’ piuttosto una sorta di processo dove per la maggior parte del tempo, con i sensi allertati, si fissa l’altro come fosse una pasta madre in attesa che qualcosa di sensato, di sorprendente o di creativo, accada.
Quando si interagisce, occorre avere pazienza e legare tra loro le cose più importanti. E’ un processo fatto di tecnica, intuizione e astrazione. In questo senso ogni colloquio può essere artistico: si parte da esperienze vissute e si scoprono decine di pensieri ed emozioni diverse che, a mano a mano affiorano, si riflettono nell’essenza delle questioni.
Spesso si scarta tutto ciò che non è essenziale per affermare qualcosa. Si parte dalla sagoma di un racconto che parla di donne, di uomini, di vita, e si riporta qualcosa di nuovo.
Lo facciamo sin da piccoli, comunicare ha lo scopo di descrivere e creare narrazioni sempre nuove per arrivare a esporre la realtà in modo iperrealistico e a volte fantastico.
E’ con tali presupposti, di comprensione e connessione, che si partecipa ai corsi di coaching e counseling: si parla, si sperimenta, si comunica come si sa fare, finché un insegnante ti fa notare che questa modalità è ‘no’, quest’altra è ancora ‘no’, finché comincia ad emergere qualche ‘si’, ‘può andare’, ‘questo è proprio ok’.
Questo si fa nella formazione. Si prende una qualsiasi comunicazione e la si trasforma all’infinito, verificandone efficacia e particolarità. Alla fine si capisce che non si tratta di comunicare in modo banale, si tratta di condividere le idee con abbondanti e più specifiche dosi di informazioni. A volte sono molte, molti dettagli, molto realismo, forte interiorizzazione; altre volte è solo una frase, una parola, ma ogni idea ha un suo posto sulla scala. Narrare se stessi è un modo per acquisire una densità simbolica ed esperienziale del mondo che consente di affrontarla e superarla.
Immaginiamo che una persona racconti la sua esperienza. Potrebbe farlo in modo semplice, come dire ’di recente ho vissuto un lutto’, ma nessuno capirebbe il significato che la persona attribuisce a tale evento, perché troppo generico. Oppure potrebbe comunicarlo in modo profondamente coinvolgente, pieno di dettagli, sensazioni ed emozioni, dove, chi ascolta in modo eccessivamente empatico, potrebbe provare sensazioni di dolore, impotenza, incapacità. Da qualche parte ci deve essere un punto di incontro tra la genericità di un racconto e l’iperrealtà del vissuto. E’ qualcosa che nei colloqui va trovata. Qualcosa che rappresenti l’una e l’altra cosa e che sia adatta a riferire la propria esperienza per poterci riflettere sopra.
Ogni colloquio, pertanto, è una sfida e ogni persona ha una storia che impatta sui protagonisti nei modi più impensati. Tocca nel profondo i pregiudizi e le emozioni, colpisce le certezze e litiga con le radici culturali. Se tutto va bene, il cervello svuota il palco di tutto e per un’ora c’è solo una persona davanti a noi.
All’inizio c’è un individuo che racconta se stesso. Successivamente, c’è una persona che nel cercare la sua originalità, il suo essere unico e irripetibile, sfonda il muro delle parole generiche, nascoste e frammentate, e diventa progetto.
In genere si pensa che bastino due o tre corsi fatti bene per diventare esperti di comunicazione. In realtà ogni colloquio è uno stimolo in sé e non diventa mai facile. Nemmeno nel corso degli anni.
In effetti, come possono le parole descrivere la nostra vita in 3D? La risposta più ovvia è che occorre imparare a guardare se stessi da angolazioni diverse e trovare quel luogo limite che permetta di guardarci sia da dentro che da fuori. Occorre modificare le nostre esperienze a risoluzione molto bassa (dolore) in esperienze che ci permettano di cambiare colori, sembianze, forme con risoluzioni alte (piacere).
E’ così che un colloquio, dove si ha la sensazione di essere capiti, diventa casa, un luogo di cultura dove si prova l’emozione di ri-nascere e crescere.
Ogni colloquio non è mai una ripetizione. A volte ci si confronta con momenti di vera poesia. Altre volte subentra la paura. Non si hanno idee. Ci si sente inadatti. Ma quando si capisce che le proprie paure possono rovinare il nostro operato e le si affrontano, allora ci si rilassa. Ci si impegna e ci esercita a migliorare giorno dopo giorno. Umilmente.
E’ così che cambia negli anni il nostro modo di comunicare. 10 anni fa eravamo più giovani e più freschi. Potenzialmente migliori di oggi. In realtà la nostra comunicazione di oggi è come la realtà aumentata: qualcosa che si evolve e si estende oltre noi. E quando condividiamo le nostre paure, ansie e speranze, riusciamo a dire: ‘ecco, questa è la mia storia, sono vivo, amo le altre persone, desidero essere migliore’.
Questa è la vera sfida della comunicazione: ‘confidarsi in modo creativo e imparare nuovi modi di navigare nella vita’.