Abbiamo visto che nelle prime fasi di elaborazione di un lutto ci si protegge con meccanismi di difesa per fuggire dal dolore.
Fuggire dal dolore fa pensare a qualcosa che ha a che fare con la sopravvivenza immediata da un pericolo travolgente e possiamo considerarla, almeno in prima istanza, sana e naturale.
Ogni meccanismo che andremo ad analizzare, pertanto, potrà avere angolazioni utili, lati sfavorevoli e durata più o meno giustificabile.
I meccanismi di difesa individuati da Freud e successivamente integrati da altri autori sono oltre 20. Ne esamineremo alcuni legati alla elaborazione del lutto, che sono: rabbia, negazione, svalorizzazione, autosvalutazione, idealizzazione, dare la colpa ad altri e rimuginare sulla domanda infinita: ‘perché ...?’
Rabbia
La rabbia nasce dalla primordiale reazione-azione di attacco e fuga e la sua zona di attivazione si situa nel nostro cervello rettiliano. Secondo autori come P. Mc Lean, è la prima risposta alla conservazione della nostra integrità e sopravvivenza. Nasce come reazione alla frustrazione di una perdita, ma contemporaneamente maschera il dolore. Ecco, la rabbia aiuta a sfogarsi, ma non permette al dolore di essere espresso. Il dolore espresso è sofferenza, dispiacere, amarezza, angoscia, disperazione, tristezza, lacrime e parole. Provando rabbia nascondiamo il dolore, ma è lì che dobbiamo andare.
Negazione
E’ il tentativo di isolare il dolore, di trovargli uno spazio tutto suo e di perdere le chiavi. Ecco, senza la consapevolezza di questo processo di difesa tutto automatico, il dolore diventa un fantasma. L’affetto viene negato e rimane solo il dato: ‘quella persona non c’è più, quel rapporto è finito’. Quando si nega l’affetto e quindi l’evento con la sua carica emotiva, ci impediamo di inviare messaggi all’io biologico di chiusura definitiva della relazione e ci allontaniamo da una risorsa fondamentale che è la capacità di reagire agli eventi.
Svalorizzazione e Autosvalutazione
La perdita va a inquinare il giudizio su di sé e la conseguente diminuzione di valore nei propri confronti e nelle proprie possibilità. E’ un vero e proprio attacco all’autostima: ’io non valgo, io non sono degno, io non me lo merito, etc.’
Idealizzazione
L’idealizzazione, invece, è una manovra che permette di identificarsi con gli aspetti positivi dell’altro, di un vissuto o di una situazione, assumendoli come propri. E’ come sentirsi proprietari di una casa senza pagarne l’affitto. In apparenza c’è un tetto sopra la testa, ma si nasconde al mondo che ciò è falso. In pratica, si vive l’illusione di avere sotto quel tetto, una sorta di ‘completamento relazionale interiore’, tutto proprio.
Dare la colpa agli altri
Lo scopo è quello di salvaguardare se stessi e il proprio mondo emotivo. L’obiettivo è attribuirne la colpa agli altri. Significa evitare di mettere in discussione o di compromettere il confronto, le ragioni e le qualità affettive di sé che non si riconoscono o non si accettano.
Rimuginare sulla domanda infinita
Riguarda più cose. Da una parte ci si relaziona con gli altri cercando risposte, senza mai trovarle appaganti. Dall'altra cercando nella persona sbagliata qualcosa che appartiene a qualcun altro del passato.
Ricapitolando, le difese legate alla perdita isolano dal dolore (rifiuto), proteggono l’ego (negazione), confondono il giudizio (isolamento), giocano con le tre carte (gioco di prestigio sulle identificazioni), riducono le emozioni e le responsabilità (paura-depressione- tristezza), e dilatano il tempo del processo del lutto (venire a patti con la realtà). Insomma, niente di buono e questo niente di buono può durare mesi e anni. Una terra di nessuno nella quale si girovaga senza meta.
L’altro processo non positivo di tutta questa complessa fase si attualizza nella negazione del processo di attuazione del distacco (accettazione, perdono e rinascita).
Naturalmente, tutta questa gamma di reazioni emotive non è controllabile e dominabile a piacimento. Spesso si rimane bloccati e in quel blocco un aiuto lo possono dare gli amici, gli affetti, un nuovo modo di guardare le cose per addentrarsi nella ‘selva oscura’ alla ricerca della propria elevazione coscienziale e spirituale.
Dovremo avere la forza di cambiare segno e di pensare che anche senza l’altro … la nostra anima ha un buon paio di ali.
Fuggire dal dolore fa pensare a qualcosa che ha a che fare con la sopravvivenza immediata da un pericolo travolgente e possiamo considerarla, almeno in prima istanza, sana e naturale.
Ogni meccanismo che andremo ad analizzare, pertanto, potrà avere angolazioni utili, lati sfavorevoli e durata più o meno giustificabile.
I meccanismi di difesa individuati da Freud e successivamente integrati da altri autori sono oltre 20. Ne esamineremo alcuni legati alla elaborazione del lutto, che sono: rabbia, negazione, svalorizzazione, autosvalutazione, idealizzazione, dare la colpa ad altri e rimuginare sulla domanda infinita: ‘perché ...?’
Rabbia
La rabbia nasce dalla primordiale reazione-azione di attacco e fuga e la sua zona di attivazione si situa nel nostro cervello rettiliano. Secondo autori come P. Mc Lean, è la prima risposta alla conservazione della nostra integrità e sopravvivenza. Nasce come reazione alla frustrazione di una perdita, ma contemporaneamente maschera il dolore. Ecco, la rabbia aiuta a sfogarsi, ma non permette al dolore di essere espresso. Il dolore espresso è sofferenza, dispiacere, amarezza, angoscia, disperazione, tristezza, lacrime e parole. Provando rabbia nascondiamo il dolore, ma è lì che dobbiamo andare.
Negazione
E’ il tentativo di isolare il dolore, di trovargli uno spazio tutto suo e di perdere le chiavi. Ecco, senza la consapevolezza di questo processo di difesa tutto automatico, il dolore diventa un fantasma. L’affetto viene negato e rimane solo il dato: ‘quella persona non c’è più, quel rapporto è finito’. Quando si nega l’affetto e quindi l’evento con la sua carica emotiva, ci impediamo di inviare messaggi all’io biologico di chiusura definitiva della relazione e ci allontaniamo da una risorsa fondamentale che è la capacità di reagire agli eventi.
Svalorizzazione e Autosvalutazione
La perdita va a inquinare il giudizio su di sé e la conseguente diminuzione di valore nei propri confronti e nelle proprie possibilità. E’ un vero e proprio attacco all’autostima: ’io non valgo, io non sono degno, io non me lo merito, etc.’
Idealizzazione
L’idealizzazione, invece, è una manovra che permette di identificarsi con gli aspetti positivi dell’altro, di un vissuto o di una situazione, assumendoli come propri. E’ come sentirsi proprietari di una casa senza pagarne l’affitto. In apparenza c’è un tetto sopra la testa, ma si nasconde al mondo che ciò è falso. In pratica, si vive l’illusione di avere sotto quel tetto, una sorta di ‘completamento relazionale interiore’, tutto proprio.
Dare la colpa agli altri
Lo scopo è quello di salvaguardare se stessi e il proprio mondo emotivo. L’obiettivo è attribuirne la colpa agli altri. Significa evitare di mettere in discussione o di compromettere il confronto, le ragioni e le qualità affettive di sé che non si riconoscono o non si accettano.
Rimuginare sulla domanda infinita
Riguarda più cose. Da una parte ci si relaziona con gli altri cercando risposte, senza mai trovarle appaganti. Dall'altra cercando nella persona sbagliata qualcosa che appartiene a qualcun altro del passato.
Ricapitolando, le difese legate alla perdita isolano dal dolore (rifiuto), proteggono l’ego (negazione), confondono il giudizio (isolamento), giocano con le tre carte (gioco di prestigio sulle identificazioni), riducono le emozioni e le responsabilità (paura-depressione- tristezza), e dilatano il tempo del processo del lutto (venire a patti con la realtà). Insomma, niente di buono e questo niente di buono può durare mesi e anni. Una terra di nessuno nella quale si girovaga senza meta.
L’altro processo non positivo di tutta questa complessa fase si attualizza nella negazione del processo di attuazione del distacco (accettazione, perdono e rinascita).
Naturalmente, tutta questa gamma di reazioni emotive non è controllabile e dominabile a piacimento. Spesso si rimane bloccati e in quel blocco un aiuto lo possono dare gli amici, gli affetti, un nuovo modo di guardare le cose per addentrarsi nella ‘selva oscura’ alla ricerca della propria elevazione coscienziale e spirituale.
Dovremo avere la forza di cambiare segno e di pensare che anche senza l’altro … la nostra anima ha un buon paio di ali.