Il sottotenente Giovanni Drogo, protagonista de “ Il Deserto dei Tartari “ di Dino Buzzati, attende per anni un nemico che non arriva e che non arriverà mai.
La lunga, estenuante, attesa del nemico che non compare all’orizzonte – magistralmente rappresentata da Buzzati nelle molte pagine che descrivono in un ambiente surreale ciò che .… non accade – fa sì che l’Ufficiale chieda, invano, ai propri superiori, per molti anni, di poter lasciare la “Fortezza Bastiani“ luogo, in realtà, in cui egli invecchierà, diventando Maggiore, nonché vice comandante della medesima.
Egli lascerà quel luogo soltanto quando, a causa di una grave malattia, sarà ricoverato nell’ospedale militare dove finirà i sui giorni senza aver avuto modo di avvistare un solo Tartaro.
Quale il messaggio del grande – seppur poco compreso all’epoca - scrittore bellunese: attesa come ansia, come aspettativa, entrambe le cose oppure altro?
Forte la sensazione provata ormai molti anni fa alla lettura di questo romanzo, ancor più intensa l’emozione che mi suscita oggi il suo ricordo.
Che cosa aspetta Giovanni Drogo o – più precisamente – che cosa si aspetta? Chi sono, veramente, i “ Tartari “?
Sicuramente il “ nemico “ che egli – giovane militare di carriera – vuole combattere e sconfiggere, essendo quello il compito che la Patria, cui ha giurato fedeltà, si aspetta da lui.
I Tartari rappresentano l’occasione, lo scopo stesso della vita di Giovani Drogo, ma l’attacco del nemico da combattere non si concretizza ed il deserto ( della sua esistenza? ) resta ….tale.
La vana attesa crea negli anni ansia al militare, tanto da fargli nascere il desiderio di fuggire da quella fortezza divenuta, ormai la sua prigione, ma proprio quando, forse, il tanto atteso nemico sta per sferrare il suo attacco, egli viene sollevato dall’incarico, perché gravemente ammalato e pressochè in fin di vita.
Giovanni Drogo, tuttavia, finisce la propria esistenza sereno per aver fatto, in qualche modo, il suo dovere, consapevole, inoltre - questa la lettura del romanzo data dalla critica e con grande probabilità quello che Dino Buzzati voleva trasmettere - di aver vinto la più importante delle battaglie che un uomo possa combattere, quella contro la paura della morte.
Consapevolezza quindi…la “ parola – chiave “ ?
La storia emotiva del protagonista di questo romanzo è sovrapponibile a quella di chi è abituato a vivere con grandi aspettative che, se non soddisfatte, creano profonda frustrazione.
Entrare in contatto profondo, invece, al contenuto delle nostre aspettative, integrando le resistenze che normalmente si attivano, questa, forse, la soluzione per la non - frustrazione anche in caso di fallimento del progetto.
Il Maggiore Giovanni Drogo non ha vinto la “ battaglia della vita “, quella che egli avrebbe voluto ( si sarebbe aspettato di poter ) combattere, perché le cose sono andate diversamente, ma egli - seppur soltanto alla fine della sua esistenza – ci appare, comunque, come un vincente.
Un percorso di crescita cosiddetta “ eco – logica “ potrà essere tale solo se riusciremo a guardare non solo al di là, quindi al di fuori della nostra personale Fortezza Bastiani, ma anche e soprattutto ad indagare il “ dentro “ di essa, per riuscire finalmente a violare quella struttura interiore che, proprio perché poco conosciuta, quindi “ potenzialmente non accoglibile “, ci muove, talvolta, verso sfide non costruttive.
Un buon lavoro, pertanto, quello di allenare, con dedizione e costanza, la conoscenza/integrazione della nostra fortezza interna cosa assolutamente non scontata e comunque, a questo punto del cammino, non più rinunciabile.
La lunga, estenuante, attesa del nemico che non compare all’orizzonte – magistralmente rappresentata da Buzzati nelle molte pagine che descrivono in un ambiente surreale ciò che .… non accade – fa sì che l’Ufficiale chieda, invano, ai propri superiori, per molti anni, di poter lasciare la “Fortezza Bastiani“ luogo, in realtà, in cui egli invecchierà, diventando Maggiore, nonché vice comandante della medesima.
Egli lascerà quel luogo soltanto quando, a causa di una grave malattia, sarà ricoverato nell’ospedale militare dove finirà i sui giorni senza aver avuto modo di avvistare un solo Tartaro.
Quale il messaggio del grande – seppur poco compreso all’epoca - scrittore bellunese: attesa come ansia, come aspettativa, entrambe le cose oppure altro?
Forte la sensazione provata ormai molti anni fa alla lettura di questo romanzo, ancor più intensa l’emozione che mi suscita oggi il suo ricordo.
Che cosa aspetta Giovanni Drogo o – più precisamente – che cosa si aspetta? Chi sono, veramente, i “ Tartari “?
Sicuramente il “ nemico “ che egli – giovane militare di carriera – vuole combattere e sconfiggere, essendo quello il compito che la Patria, cui ha giurato fedeltà, si aspetta da lui.
I Tartari rappresentano l’occasione, lo scopo stesso della vita di Giovani Drogo, ma l’attacco del nemico da combattere non si concretizza ed il deserto ( della sua esistenza? ) resta ….tale.
La vana attesa crea negli anni ansia al militare, tanto da fargli nascere il desiderio di fuggire da quella fortezza divenuta, ormai la sua prigione, ma proprio quando, forse, il tanto atteso nemico sta per sferrare il suo attacco, egli viene sollevato dall’incarico, perché gravemente ammalato e pressochè in fin di vita.
Giovanni Drogo, tuttavia, finisce la propria esistenza sereno per aver fatto, in qualche modo, il suo dovere, consapevole, inoltre - questa la lettura del romanzo data dalla critica e con grande probabilità quello che Dino Buzzati voleva trasmettere - di aver vinto la più importante delle battaglie che un uomo possa combattere, quella contro la paura della morte.
Consapevolezza quindi…la “ parola – chiave “ ?
La storia emotiva del protagonista di questo romanzo è sovrapponibile a quella di chi è abituato a vivere con grandi aspettative che, se non soddisfatte, creano profonda frustrazione.
Entrare in contatto profondo, invece, al contenuto delle nostre aspettative, integrando le resistenze che normalmente si attivano, questa, forse, la soluzione per la non - frustrazione anche in caso di fallimento del progetto.
Il Maggiore Giovanni Drogo non ha vinto la “ battaglia della vita “, quella che egli avrebbe voluto ( si sarebbe aspettato di poter ) combattere, perché le cose sono andate diversamente, ma egli - seppur soltanto alla fine della sua esistenza – ci appare, comunque, come un vincente.
Un percorso di crescita cosiddetta “ eco – logica “ potrà essere tale solo se riusciremo a guardare non solo al di là, quindi al di fuori della nostra personale Fortezza Bastiani, ma anche e soprattutto ad indagare il “ dentro “ di essa, per riuscire finalmente a violare quella struttura interiore che, proprio perché poco conosciuta, quindi “ potenzialmente non accoglibile “, ci muove, talvolta, verso sfide non costruttive.
Un buon lavoro, pertanto, quello di allenare, con dedizione e costanza, la conoscenza/integrazione della nostra fortezza interna cosa assolutamente non scontata e comunque, a questo punto del cammino, non più rinunciabile.