(Nelson Mandela)
Una delle grandi sfide da affrontare per chi sceglie di "guardarsi dentro" in una relazione di coaching o counselling è proprio quella di guardare in faccia la propria "zona di comfort" ovvero l'area del "noto e conosciuto, quindi accettato e difeso", la cui forza è contraria a quella dell'area del "cambiamento e rinnovamento". Quest'ultima spaventa perché "non nota e non conosciuta": occorre trovare in sé il coraggio di andare oltre l'ostacolo ed è una ricerca che necessita di allenamento, volontà e umiltà, prima di tutto verso se stessi. Si chiudono gli occhi, ci si affida e si fa un bel respiro: il coach o il counsellor guidano, la Persona sceglie la strada.
Non è un percorso facile, anzi: i nostri blocchi emotivi e cognitivi sono parti di una sovrastruttura che indirizza i nostri "sì" oppure i nostri "no" o, ancora, i nostri "non lo so", secondo logiche "socialmente condivise e accettate", che non risuonano, il più delle volte, con quanto, in realtà, davvero pensiamo. In queste "bolle di comfort" "crediamo" di scrivere la nostra quotidiana esistenza, mentre la stiamo semplicemente osservando da una poltrona comoda e ben salda a terra e dalla cui posizione difficilmente riusciamo a "vedere" con altri occhi.
Le nostre abitudini sono griglie da cui osserviamo tratti parziali della realtà, questa intesa come "propria realtà interiore", quella che sa dove siamo diretti e su quale treno dovremmo salire: per prima cosa, si individuano i "modus operandi" che utilizziamo per risolvere i nostri enigmi quotidiani, le nostre ansie, al fine di comprendere come ci approcciamo, in quale forma, con quali sistemi di pensiero; dopodiché, si fa amicizia con questi schemi, diventandone consapevoli, quindi assumendo un ruolo attivo e non più passivo rispetto alla loro influenza sul nostro agire. Con la consapevolezza diventiamo più "luminosi", apriamo delle "porte" importanti dentro di noi, andiamo incontro a intuizioni e a prese di coscienza che aiutano a sgretolare le griglie, a far cadere credenze limitanti.
L'evoluzione personale non può avvenire all'interno di aree confortevoli, calde, appaganti, familiari ed ermeticamente chiuse: è necessario creare una crepa sulla bolla protettiva, per fare entrare aria e ossigeno, per inspirare ed espirare in modo più profondo e far uscire idee, pregiudizi, giudizi, "ma", "non so", "paure", immondizia per il cervello, che si plasma a contatto con l'ambiente.
Seduti nella nostra sedia comoda, proviamo a immaginare di alzarci per esplorare una nuova stanza: come la vediamo? Come sono le pareti? Usciamo fuori: di che colore è il cielo? Espandiamo la visuale: come è il panorama? Più bello, che ne dite?