Non c'è alcuna delusione, che non nasca da una precedente illusione.
L'illusione è madre di quella delusione di cui tutti abbiamo fatto esperienza nell'amore, nell'amicizia, nei rapporti con i genitori, con i maestri, con i figli, nel lavoro, come in tutte quelle esperienze di vita cariche di aspettativa, il cui movimento sembra aver seguito lo stesso protocollo d'azione: da "ti amo, mi fido di te" a "ti odio, mi hai tradito".
L'assenza di tale consapevolezza, del binomio inscindibile tra illusione e delusione, sembra essere causa della mancata cicatrizzazione delle ferite di una vita, come dell'atteggiamento accusatorio che ne consegue: quello di puntare il dito verso colui che ci aveva invitato al gioco.
Già, che il-ludere e de-ludere, al-ludono proprio alla nostra conclusione: "non gioco più, me ne vado". E-ludendo, così, la possibilità stessa di stare con contenuti propri, carichi di emozioni critiche.
In un percorso di crescita, devono cambiare le regole del gioco.
Dal gioco del bambino, bisogna approdare al gioco dell'essere adulto. Se si finge soltanto di cambiarne le regole, lo schema resta immutato, col suo dito puntato. Cambia solo il destinatario: questa volta se stessi, col risultato di una paralisi.
La maturazione, che ridona alla vita movimento e gioia espansiva, può alimentarsi in un clima di accettazione, di non giudizio, di dialogo fecondo tra parti di sé ritenute dissonanti. Una via, indicata da antiche tradizioni di saggezza, in cui il gioco diventa danza, tra i passi alterni della centratura in sé e del non attaccamento.
L'illusione è madre di quella delusione di cui tutti abbiamo fatto esperienza nell'amore, nell'amicizia, nei rapporti con i genitori, con i maestri, con i figli, nel lavoro, come in tutte quelle esperienze di vita cariche di aspettativa, il cui movimento sembra aver seguito lo stesso protocollo d'azione: da "ti amo, mi fido di te" a "ti odio, mi hai tradito".
L'assenza di tale consapevolezza, del binomio inscindibile tra illusione e delusione, sembra essere causa della mancata cicatrizzazione delle ferite di una vita, come dell'atteggiamento accusatorio che ne consegue: quello di puntare il dito verso colui che ci aveva invitato al gioco.
Già, che il-ludere e de-ludere, al-ludono proprio alla nostra conclusione: "non gioco più, me ne vado". E-ludendo, così, la possibilità stessa di stare con contenuti propri, carichi di emozioni critiche.
In un percorso di crescita, devono cambiare le regole del gioco.
Dal gioco del bambino, bisogna approdare al gioco dell'essere adulto. Se si finge soltanto di cambiarne le regole, lo schema resta immutato, col suo dito puntato. Cambia solo il destinatario: questa volta se stessi, col risultato di una paralisi.
La maturazione, che ridona alla vita movimento e gioia espansiva, può alimentarsi in un clima di accettazione, di non giudizio, di dialogo fecondo tra parti di sé ritenute dissonanti. Una via, indicata da antiche tradizioni di saggezza, in cui il gioco diventa danza, tra i passi alterni della centratura in sé e del non attaccamento.