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'La ricchezza dei legami' di Lorenzo Manfredini

5/12/2018

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La nostra ricchezza sono i legami. I sensi estendono il nostro Io nell’ambiente, la memoria registra quell’incontro, l’immaginazione conferisce sacralità ad ogni scoperta e relazione, l’azione del dare diventa un prendere e portare a sé, e quello che non si dà si spegne dentro.

Noi creiamo legami e questi diventano la nostra realtà, la nostra estensione, la nostra verità. In ogni legame investiamo energia, la trasformiamo in simboli e abbiamo l’opportunità di vedere la realtà sotto diversi punti di vista.

Siamo in grado di trasformare le nostre debolezze, limiti e difetti in opportunità. Nei legami che creiamo con le cose, con gli animali, con le altre persone, con la spiritualità, creiamo fari di luce che ci vedono immortali, illimitati, onnipotenti, onnipresenti, perfetti.

In ogni ruolo, dal genitore al medico, dal comandante al semplice essere umano, giorno dopo giorno, sperimentiamo il bisogno di crearci un’anima (come dice il filosofo di origine russa Gurdjieff) da coltivare e far crescere.

Cresciamo negli amori imperfetti, negli affetti senza carezze, nell’amicizia senza affetto, nell’attaccamento senza presenza e desideriamo tutto il contrario: saldare le nostre certezze e ancorarle per sempre all’amore.

Così, quando sperimentiamo l’abbandono, un lutto o un cambiamento, non siamo pronti. Non siamo pronti per il dolore, per nuovi significati, per nuove trasformazioni.

Quando siamo colti alla sprovvista da qualcosa che ribolle dentro di noi e che ci chiede di affrontare la realtà e risolvere i nostri problemi, abbiamo bisogno di carezze. Di qualcuno che senza secondi fini, senza nessuna dimostrazione di potere, con rispetto e attenzione gentile, comunichi con il nostro io essenziale, al di là della sofferenza, e ci trasmetta il desiderio di continuare a vivere.

Detestare la vita perché i nostri legami si sono frantumati o amare l’esistenza per quella che è, è una questione di scelta. La scelta di penetrare nei labirinti della memoria e distruggere quel giudice interiore che impedisce di riconoscere le pulsioni della morte e le devianze della personalità, fino ad avere il coraggio di dire: ‘questa è la vita, questa è la morte, questo sono io’.

Essere in grado di affrontare le ‘molestie della vita’ non è da tutti. Richiede una pazienza infinita e un amore profondo per i processi di riparazione. Richiede di attivare modi artistici di essere e di vivere che prima agiscono nei sogni e poi diventano realtà.

Ogni lutto, malattia, abbandono, ci ripiega su noi stessi, ma ci invita anche a riconoscere la realtà, a migliorare il rapporto con noi stessi e a riformulare necessità, desideri, sentimenti e idee.

Una rivoluzione che ci fa dire ‘riparto da qui!, dall’esperienza, da una sensazione, da un sentimento, da un atto naturale di sepoltura da cui può nascere un fiore e una visione diversa della morte e della vita’. 
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