Germania, 1944. Un bambino tedesco di 10 anni, cresciuto nella gioventù hitleriana, fanatico del regime e del suo dittatore, chiede ad una ragazza ebrea di disegnare il “luogo in cui vivono gli Ebrei”; la ragazza, esasperando la curiosità del bambino e cogliendone la bontà di fondo, disegna un ritratto caricaturato del volto del bambino stesso, spiegando che “è lì che noi Ebrei abitiamo, nella testa dei Tedeschi”.
Questo passaggio, tratto dal film uscito di recente “Jo Jo Rabbit”, può essere, a mio avviso, spunto di riflessione e condivisione. Soprattutto sui concetti di “rispetto”, “riconoscimento dell’altro” e “giudizio”, o, meglio, di “pregiudizio”.
La sua drammatica emblematicità può far cogliere fino a che punto l’immaginato possa sovrastare il reale.
Lungi da me il paragonare le nostre rigidità e la diffusa tendenza al giudizio e al pregiudizio alle convinzioni deviate di certe ideologie; nel fissare questa scena, però, ho percepito come non mai quanto il rispetto per l’altro e il riconoscimento dell’altro siano concetti profondi e non graduabili.
Profondi perché dovrebbero valere a tutti i livelli e in qualsiasi contesto o situazione; non graduabili perché in qualsiasi contesto o situazione dovrebbero essere tenuti saldi con la stessa intensità.
Purtroppo la costante tendenza al giudizio e al vivere trincerati dietro barriere di pregiudizi comporta il permanere di atteggiamenti che hanno a che fare con tutto tranne che con il rispetto ed il riconoscimento.
L’unico modo per rendersi conto che dietro queste barriere esistono mondi ricchissimi di relazioni, cultura e umanità è avere la fortuna di confrontarsi con chi si crede “stia dall'altra parte”, qualsiasi siano le apparenti diversità rilevate, ponendosi in atteggiamento di ascolto umile e disponibile.
Collaborando alla costruzione di un “ponte” attraverso la relazione.
Il bambino, di fronte al disegno della ragazza, resta ammutolito e da quel momento inizia ad interrogarsi sulle sue convinzioni e sull'educazione ricevuta. Finirà per rendersi conto che quanto gli era stato inculcato senza alcuna spiegazione era privo di qualsiasi fondamento e che della ragazza ebrea che aveva di fronte avrebbe potuto persino…innamorarsi.
Questo passaggio, tratto dal film uscito di recente “Jo Jo Rabbit”, può essere, a mio avviso, spunto di riflessione e condivisione. Soprattutto sui concetti di “rispetto”, “riconoscimento dell’altro” e “giudizio”, o, meglio, di “pregiudizio”.
La sua drammatica emblematicità può far cogliere fino a che punto l’immaginato possa sovrastare il reale.
Lungi da me il paragonare le nostre rigidità e la diffusa tendenza al giudizio e al pregiudizio alle convinzioni deviate di certe ideologie; nel fissare questa scena, però, ho percepito come non mai quanto il rispetto per l’altro e il riconoscimento dell’altro siano concetti profondi e non graduabili.
Profondi perché dovrebbero valere a tutti i livelli e in qualsiasi contesto o situazione; non graduabili perché in qualsiasi contesto o situazione dovrebbero essere tenuti saldi con la stessa intensità.
Purtroppo la costante tendenza al giudizio e al vivere trincerati dietro barriere di pregiudizi comporta il permanere di atteggiamenti che hanno a che fare con tutto tranne che con il rispetto ed il riconoscimento.
L’unico modo per rendersi conto che dietro queste barriere esistono mondi ricchissimi di relazioni, cultura e umanità è avere la fortuna di confrontarsi con chi si crede “stia dall'altra parte”, qualsiasi siano le apparenti diversità rilevate, ponendosi in atteggiamento di ascolto umile e disponibile.
Collaborando alla costruzione di un “ponte” attraverso la relazione.
Il bambino, di fronte al disegno della ragazza, resta ammutolito e da quel momento inizia ad interrogarsi sulle sue convinzioni e sull'educazione ricevuta. Finirà per rendersi conto che quanto gli era stato inculcato senza alcuna spiegazione era privo di qualsiasi fondamento e che della ragazza ebrea che aveva di fronte avrebbe potuto persino…innamorarsi.