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'La notte poco prima delle foreste con Pierfrancesco Favino' di Edmea Prando

7/2/2019

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Foto
Sono stata a teatro a vedere ‘La notte poco prima delle foreste’, Opera teatrale di Bernard-Marie Koltès, monologo di un’ora e un quarto.

Nessuna scenografia, solo una sedia e l’attore. Piove…la pioggia ha completamente inzuppato il protagonista che, senza un soldo, un lavoro, un amore, cerca una stanza per la notte ma non tanto per dormire ma avere un luogo dove andare, dove passare la notte.
È  straniero…un accento dell’Est Europa mescolato ad un italiano ‘romanesco’ lo fa capire chiaramente. Non ha più un lavoro, non ha più una stanza d’albergo dove dormire, dove asciugare i propri abiti, i propri capelli.

Rincorre e ferma un ragazzo nella notte, lo vede passare spesso da quella strada, non tanto perché lo conosce o perché cerca una stanza quanto per poter parlare con qualcuno, per poterlo chiamare ‘amico’…
Ha bisogno di un posto dove andare ma forse ha più bisogno di un contatto umano…e qui mi perdo nelle mie riflessioni…

Cosa si prova ad essere un immigrato in un paese che mal ti sopporta?

Cosa passa per la mente mentre, senza un soldo, un posto dove andare, con lo stomaco vuoto, guardi la gente passarti accanto senza nemmeno vederti o peggio…schivandoti come fossi un lebbroso?
Come può essere che viviamo in un mondo civilizzato, pieno di tutto e ci sono persone che non hanno nulla, sono lontani da casa, che vengono trattate peggio degli ‘ultimi della terra’?

Com’è possibile che viviamo nella paura che l’altro sia sempre nostro nemico?
​
È vero ci sono persone che arrivano nel nostro paese non certo per fare del bene ma sono poi tutti uguali? Sono tutti qui per delinquere? O abbandonandoli a se stessi siamo noi a generare e a creare quell’isolamento che li porta a diventare un problema sociale? Ripeto, c’è sicuramente chi arriva con intenti malevoli ma perché non riusciamo a vedere l’essere umano che è? Con tutte le sue paure, le sue difficoltà, la sua voglia di riscatto da una vita che poco gli ha donato, visto che ha deciso di abbandonare tutto per l’ignoto.

Credo poco a chi mi dice che vengono nel nostro paese per avere ciò che noi abbiamo sudato senza guadagnarselo.
Credo piuttosto che nel loro cuore ci sia un desiderio di rivalsa nei confronti di ciò che la vita non gli ha dato. Non avranno la nostra cultura del lavoro o sarà semplicemente diversa dalla nostra ma ciò non toglie che per forza debbano essere ‘brutte persone’.
Chi siamo noi per giudicarli, per privarli della possibilità di dimostrare al mondo che anche loro possono dare il loro contributo? Possono arricchirci di nuove culture, di nuovi modi di vedere e vivere la vita.
In tutto il mondo sto assistendo alla lotta fra il ‘ricco’ che chiude le porte al ‘povero’ pensando che sia l’unico modo di riuscire a salvare i propri averi…

Bisognerebbe invece condividere ciò che si ha, permettendo a tutti di avere una vita dignitosa…ma purtroppo non funziona così…e infatti se ne vedono gli effetti…

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