Nella cosiddetta “relazione di aiuto” in cui il Coach accompagna l’altro alla conoscenza ulteriore di se stesso, in un viaggio interiore, attraverso l'esplorazione delle proprie risorse cognitive, emotive, fisiche e in questo agire gioca un ruolo di grande importanza la dimensione della “non urgenza”. Cosa significa “Non urgenza”? per il Coach vuol dire non avere “fretta” di depositare consigli o suggerimenti che gli derivano da coinvolgimenti personali, dinamiche irrisolte che colgono l’occasione di emergere alla ricerca di conferme.
Coinvolgersi, etimologicamente, rimanda al concetto di “avvolgere insieme” quindi mescolarsi, farsi “un tutt’uno con l’altro”, ruotare “nel medesimo vortice emozionale” ed è una circostanza da evitare per non alterare la cosiddetta situazione ideale del setting ovverosia quella in cui Coach e coachee siedono uno di fronte all’altro, senza confondersi.
Diventa “conditio sine qua non” lo “spaesarsi” ovverosia “uscire dal proprio paese” narcisistico, costituto dalla paure, dalle emozioni represse, dagli schemi, dai filtri che fanno parte di noi ma che nell’espletare il ruolo di “ascoltatore attivo e neutro” non devono prevalere né essere assecondati. Su queste dinamiche personali è necessario lavorare costantemente per disapprendere, in fase di colloquio, l’urgenza di interpretare. Si fa strada, invece, la capacità di riformulare e chiarificare i concetti espressi dal coachee aiutato ad analizzarli sotto un’altra veste, con radicamento sul “qui e ora” per orientare scelte future oppure con visione sul domani per comprendere punti di osservazione presenti.
La pratica del rilassamento aiuta il Coach a “spaesarsi” e quindi a dialogare con le proprie emozioni “urgenti” per dare loro uno spazio interiore in cui rimanere sedute e osservare senza interferire nella relazione di aiuto e di ascolto empatico, che, allo stesso tempo, si mantiene lucido e razionale.
Difficile pensare a se stessi come ad esseri neutrali nel momento in cui ascoltiamo il vissuto di un’altra persona con il quale, a volte, ci identifichiamo. Diventa quasi automatico “farsi specchio” dell’altro, perché in fondo, in noi, traspare un “bisogno di aiutare” e di “salvare”. Nel coaching non si operano “conversioni” come si argomentava durante la sessione del Master in Mental Training & Coach. Non si “porta l’altro” a pensare in un certo modo, ma lo si accompagna a riformulare il proprio pensiero, che significa dare degli strumenti per uscire dalla “bolla di comfort” e camminare sulla “sponda” verso un cambiamento di paradigma ovverosia di “lettura” di un modo di essere o di credere come un nuovo orizzonte da cui osservare se stessi per cogliere soluzioni e stimolare la creatività e l’intuizione.
Il Coach segue l’arte maieutica che mira a definire la comprensione di processi di trasformazione e di apprendimento come motivazione interna, soggettiva, lontana da qualsiasi forma di persuasione. Socrate agiva come una “levatrice” per “tirare fuori” dall’allievo pensieri assolutamente personali, da ascoltatore “paziente” e “spaesato”.
E un uomo disse: Parlaci della Conoscenza di Sé. Ed egli rispose, dicendo:
I vostri cuori conoscono in silenzio i segreti dei giorni e delle notti.
Ma le vostre orecchie hanno sete del suono della conoscenza del vostro cuore.
Voi vorreste conoscere in parole quello che voi avete sempre conosciuto in pensiero.
Voi vorreste toccare con le vostre dita il corpo nudo dei vostri sogni.
Ed è bene che sia così.
La nascosta sorgente della vostra anima deve necessariamente sgorgare e affluire mormorando al mare;
E il tesoro delle vostre infinite profondità sarebbe rivelato ai vostri occhi.
Ma fate che non vi sia bilancia a pesare il vostro ignoto tesoro; E non indagate le profondità della vostra conoscenza con asta graduata o scandaglio.
Poiché il sé è un mare sconfinato e smisurato.
Non dite: «Io ho trovato la verità», ma piuttosto: «Io ho trovato una verità».
Non dite: «Io ho trovato il sentiero dell'anima». Dite piuttosto: «Io ho incontrato l'anima in cammino sul mio sentiero».
Poiché l'anima cammina su tutti i sentieri.
L'anima non cammina su una linea, né cresce come una canna. L'anima espande se stessa, come un loto dagli innumerevoli petali.
(Khalil Gibran ,sulla “Conoscenza di sé”)
Coinvolgersi, etimologicamente, rimanda al concetto di “avvolgere insieme” quindi mescolarsi, farsi “un tutt’uno con l’altro”, ruotare “nel medesimo vortice emozionale” ed è una circostanza da evitare per non alterare la cosiddetta situazione ideale del setting ovverosia quella in cui Coach e coachee siedono uno di fronte all’altro, senza confondersi.
Diventa “conditio sine qua non” lo “spaesarsi” ovverosia “uscire dal proprio paese” narcisistico, costituto dalla paure, dalle emozioni represse, dagli schemi, dai filtri che fanno parte di noi ma che nell’espletare il ruolo di “ascoltatore attivo e neutro” non devono prevalere né essere assecondati. Su queste dinamiche personali è necessario lavorare costantemente per disapprendere, in fase di colloquio, l’urgenza di interpretare. Si fa strada, invece, la capacità di riformulare e chiarificare i concetti espressi dal coachee aiutato ad analizzarli sotto un’altra veste, con radicamento sul “qui e ora” per orientare scelte future oppure con visione sul domani per comprendere punti di osservazione presenti.
La pratica del rilassamento aiuta il Coach a “spaesarsi” e quindi a dialogare con le proprie emozioni “urgenti” per dare loro uno spazio interiore in cui rimanere sedute e osservare senza interferire nella relazione di aiuto e di ascolto empatico, che, allo stesso tempo, si mantiene lucido e razionale.
Difficile pensare a se stessi come ad esseri neutrali nel momento in cui ascoltiamo il vissuto di un’altra persona con il quale, a volte, ci identifichiamo. Diventa quasi automatico “farsi specchio” dell’altro, perché in fondo, in noi, traspare un “bisogno di aiutare” e di “salvare”. Nel coaching non si operano “conversioni” come si argomentava durante la sessione del Master in Mental Training & Coach. Non si “porta l’altro” a pensare in un certo modo, ma lo si accompagna a riformulare il proprio pensiero, che significa dare degli strumenti per uscire dalla “bolla di comfort” e camminare sulla “sponda” verso un cambiamento di paradigma ovverosia di “lettura” di un modo di essere o di credere come un nuovo orizzonte da cui osservare se stessi per cogliere soluzioni e stimolare la creatività e l’intuizione.
Il Coach segue l’arte maieutica che mira a definire la comprensione di processi di trasformazione e di apprendimento come motivazione interna, soggettiva, lontana da qualsiasi forma di persuasione. Socrate agiva come una “levatrice” per “tirare fuori” dall’allievo pensieri assolutamente personali, da ascoltatore “paziente” e “spaesato”.
E un uomo disse: Parlaci della Conoscenza di Sé. Ed egli rispose, dicendo:
I vostri cuori conoscono in silenzio i segreti dei giorni e delle notti.
Ma le vostre orecchie hanno sete del suono della conoscenza del vostro cuore.
Voi vorreste conoscere in parole quello che voi avete sempre conosciuto in pensiero.
Voi vorreste toccare con le vostre dita il corpo nudo dei vostri sogni.
Ed è bene che sia così.
La nascosta sorgente della vostra anima deve necessariamente sgorgare e affluire mormorando al mare;
E il tesoro delle vostre infinite profondità sarebbe rivelato ai vostri occhi.
Ma fate che non vi sia bilancia a pesare il vostro ignoto tesoro; E non indagate le profondità della vostra conoscenza con asta graduata o scandaglio.
Poiché il sé è un mare sconfinato e smisurato.
Non dite: «Io ho trovato la verità», ma piuttosto: «Io ho trovato una verità».
Non dite: «Io ho trovato il sentiero dell'anima». Dite piuttosto: «Io ho incontrato l'anima in cammino sul mio sentiero».
Poiché l'anima cammina su tutti i sentieri.
L'anima non cammina su una linea, né cresce come una canna. L'anima espande se stessa, come un loto dagli innumerevoli petali.
(Khalil Gibran ,sulla “Conoscenza di sé”)