I programmi di formazione si stanno sempre più integrando. Nuove didattiche e tecnologie, innovative e coinvolgenti, si stanno aggiungendo a nuovi e vecchi modelli di apprendimento.
I video e i materiali interattivi, come gli ebook, i giochi virtuali, i simulatori comportamentali, per esempio, vengono sempre più utilizzati per l’acquisizione delle informazioni.
Nelle scuole e nelle aziende, tutto ciò è motivo di novità, confronto, scambio e dibattito, costruttivo e collaborativo. E’ una bellezza vedere gruppi di lavoro che hanno modo di comunicare su informazioni coerenti, puntuali, facili da comprendere e da scambiare.
Tutto questo arricchisce e velocizza il bagaglio cognitivo per l’acquisizione delle abilità, delle conoscenze e del fare.
Ma, mi chiedo: ‘in un contesto di formazione comparativo come la comunicazione in tutte le sue forme, per non parlare del coaching, del conseling o della psicoterapia, sono poi così utili per le competenze relazionali?
Avere modelli di pensiero strutturati sappiamo che aiuta ad erigere forti barriere alla propria crescita interiore. Infatti, quando si ascolta qualcuno, viene più facile dire ‘lo so, l’ho studiato, so anche quello, so dove vuoi arrivare!’, piuttosto che mettersi dall’altra parte e interrogarsi sugli aspetti positivi del modello che si esprime, o del comportamento che ci piacerebbe riprodurre.
Dove è necessario sperimentare emozioni, sensazioni, comportamenti, le relazioni e le loro dinamiche, servono a poco le conoscenze intellettuali. Servono come traccia. Non come strada maestra.
Nel contesto della relazione, la strada principale è la connessione, l’ascolto, la concordanza dei linguaggi, la sperimentazione, la supervisione. E’ per questo, secondo me, che certificazioni e attestazioni non bastano a garantire conoscenza ed esperienza.
Occorre esercitare l’essere all’ascolto umile di interazioni singolari e continuare a formarsi per crescere.
I video e i materiali interattivi, come gli ebook, i giochi virtuali, i simulatori comportamentali, per esempio, vengono sempre più utilizzati per l’acquisizione delle informazioni.
Nelle scuole e nelle aziende, tutto ciò è motivo di novità, confronto, scambio e dibattito, costruttivo e collaborativo. E’ una bellezza vedere gruppi di lavoro che hanno modo di comunicare su informazioni coerenti, puntuali, facili da comprendere e da scambiare.
Tutto questo arricchisce e velocizza il bagaglio cognitivo per l’acquisizione delle abilità, delle conoscenze e del fare.
Ma, mi chiedo: ‘in un contesto di formazione comparativo come la comunicazione in tutte le sue forme, per non parlare del coaching, del conseling o della psicoterapia, sono poi così utili per le competenze relazionali?
Avere modelli di pensiero strutturati sappiamo che aiuta ad erigere forti barriere alla propria crescita interiore. Infatti, quando si ascolta qualcuno, viene più facile dire ‘lo so, l’ho studiato, so anche quello, so dove vuoi arrivare!’, piuttosto che mettersi dall’altra parte e interrogarsi sugli aspetti positivi del modello che si esprime, o del comportamento che ci piacerebbe riprodurre.
Dove è necessario sperimentare emozioni, sensazioni, comportamenti, le relazioni e le loro dinamiche, servono a poco le conoscenze intellettuali. Servono come traccia. Non come strada maestra.
Nel contesto della relazione, la strada principale è la connessione, l’ascolto, la concordanza dei linguaggi, la sperimentazione, la supervisione. E’ per questo, secondo me, che certificazioni e attestazioni non bastano a garantire conoscenza ed esperienza.
Occorre esercitare l’essere all’ascolto umile di interazioni singolari e continuare a formarsi per crescere.