“È colpa tua, è colpa di quello, è colpa di quella, è colpa dell’altro….è colpa dell’arbitro, dell’insegnante, del capo, dell’allenatore…è colpa della pioggia, del meteo, del traffico…”
Quante volte capita di dire o sentire queste frasi?
Spesso il linguaggio che utilizziamo è lo specchio della cultura dominante.
La cultura è un insieme di valori, convinzioni e credenze dalle quali discendono poi costumi, comportamenti e modi di fare che caratterizzano un determinato gruppo.
La cultura è un forte aggregante, definisce un’identità, regolamenta i rapporti all’interno del gruppo e con la realtà esterna.
La cultura fornisce sicurezza; fintanto che si rispetta quella determinata cultura si è riconosciuti, accettati, coinvolti, dal momento che se ne dissente ci si trova isolati, ripudiati, estranei.
Una cultura, al pari di una persona, nasce, cresce, evolve, degenera, cambia e talvolta può anche morire.
A volte però si assiste ad una involuzione della cultura; da una cultura potenziante che valorizza la persona, si passa ad una cultura depotenziante che sminuisce l’individuo.
Il valore, la condivisione, la crescita lasciano spazio alle scuse, alle giustificazioni e infine alle colpe e ai colpevoli.
Il linguaggio quotidianamente utilizzato è un indicatore sintomatico di questa involuzione, una sorta di specchio della cultura stessa:
“Ottimo risultato, bravo/a/i…”…“Era troppo difficile, se solo fosse stato cosi…”…“È colpa sua…”.
Per quanto la cultura possa sembrare una entità astratta e lontana in realtà permea e determina fortemente il nostro comportamento all’interno di quella che è la nostra realtà familiare, sociale, sportiva, lavorativa e ognuna di queste diverse realtà ha una sua cultura dominante alla quale aderiamo o meno.
Quindi entriamo in contatto con diverse culture in ogni ambito della nostra vita, ne veniamo sfiorati, toccati, permeati e talvolta forgiati; a nostra volta poi possiamo diventare co-fautori di una determinata cultura.
Nella realtà odierna ci si focalizza sempre più spesso su quello che non va, su quello che è stato sbagliato e soprattutto su chi ha sbagliato, perdendo più tempo a cercare il o un colpevole che a risolvere il problema o la questione.
Talvolta questa ricerca assume anche connotati psicologici deleteri e distruttivi, dove diventiamo giudici e imputati di noi stessi, ricercando le colpe e attribuendoci le colpe contemporaneamente.
Questo atteggiamento provoca una involuzione dell’individuo, una sorta di guerra primordiale dove prevarica il più forte.
La vittoria in tutto ciò è ben poca cosa.
È una vittoria effimera che porta disgregazione, distruzione, annichilimento; è una vittoria che altro non è affermazione di individualismo e cinismo; è una vittoria che genera risentimento, allontanamento, vendetta.
Come uscire da questa spirale degenerativa?
Cosa fare?
Quello su cui ci focalizziamo determina le nostre azioni.
Se ci focalizziamo sulla ricerca del colpevole troveremo un colpevole; se ci focalizziamo sul raggiungimento dell’obiettivo raggiungeremo l’obiettivo prefissato.
Una mera ricerca delle colpe e del colpevole fine a sé stessa porta a stasi, inazione, impotenza, paura.
La cultura della colpa e del colpevole va innanzitutto ristrutturata, riequilibrata, reinquadrata in una ottica più grande e completa, volta al miglioramento continuo e alla crescita e valorizzazione del singolo individuo e del gruppo a favore della cultura stessa.
Spesso si sente dire “sbagliando si impara” ma poi nella realtà a chi piace sbagliare? A nessuno.
Sbagliare difficilmente fa piacere, riconoscere un errore e ammetterlo risulta difficile tanto che spesso tendiamo a coprire i nostri errori piuttosto che a parlarne apertamente.
Tuttavia, l’errore è parte integrante dell’essere umano e riconoscere questo aspetto significa riconoscere la nostra fragilità, il nostro bisogno di aiuto, la nostra naturale imperfezione, significa riconoscere che insieme possiamo fare di più, possiamo imparare gli uni dagli altri e in fondo riconoscere in noi stessi e nell’altro l’essere umano.
Un antico detto recita: “Errare human est, perseverare diabolicum”.
Il segreto quindi del cambiamento risiede nella stessa parola “cultura”.
Cultura deriva da un verbo latino che significa coltivare.
Quando si coltiva il presupposto è che ci sia un qualcosa da coltivare, un terreno fertile su cui lavorare e un qualcuno che quotidianamente con amore e passione si dedica all’attività.
In questa ottica cultura significa crescita, dedizione, errore, aiuto, condivisione e risultato.
La cultura esiste perché esistono le persone, la società stessa esiste perché esistono le persone.
Si può quindi scegliere se restare passivi e a volte “vittime” di quella che è la cultura o si può diventare parte attiva e contribuire a coltivarla.
Piccoli miglioramenti quotidiani sommati giorno dopo giorno diventano un grande miglioramento.
Un ambiente fisico e psicologico sano, vitale e costruttivo costituisce il terreno fertile su cui seminare.
Favorire un clima aperto al dialogo, allo scambio e alla condivisione crea le basi per una crescita forte e robusta.
Uno sviluppo che valorizza la persona in quanto essere umano, con i suoi pregi e difetti, permette una piena affermazione e realizzazione dell’individuo in quanto tale.
Infine un coltivatore che provvede a mantenere l’equilibrio di questi elementi permette la crescita del più bel fiore che possa mai crescere.
E tu che cultura coltivi?
Questo è uno dei temi che verranno trattati in modo teorico, pratico ed esperienziale al
Master in Coaching e Mental Training
http://www.stepconsapevole.it
Copyright Lorenzo Savioli anteprima editoriale riservata
Quante volte capita di dire o sentire queste frasi?
Spesso il linguaggio che utilizziamo è lo specchio della cultura dominante.
La cultura è un insieme di valori, convinzioni e credenze dalle quali discendono poi costumi, comportamenti e modi di fare che caratterizzano un determinato gruppo.
La cultura è un forte aggregante, definisce un’identità, regolamenta i rapporti all’interno del gruppo e con la realtà esterna.
La cultura fornisce sicurezza; fintanto che si rispetta quella determinata cultura si è riconosciuti, accettati, coinvolti, dal momento che se ne dissente ci si trova isolati, ripudiati, estranei.
Una cultura, al pari di una persona, nasce, cresce, evolve, degenera, cambia e talvolta può anche morire.
A volte però si assiste ad una involuzione della cultura; da una cultura potenziante che valorizza la persona, si passa ad una cultura depotenziante che sminuisce l’individuo.
Il valore, la condivisione, la crescita lasciano spazio alle scuse, alle giustificazioni e infine alle colpe e ai colpevoli.
Il linguaggio quotidianamente utilizzato è un indicatore sintomatico di questa involuzione, una sorta di specchio della cultura stessa:
“Ottimo risultato, bravo/a/i…”…“Era troppo difficile, se solo fosse stato cosi…”…“È colpa sua…”.
Per quanto la cultura possa sembrare una entità astratta e lontana in realtà permea e determina fortemente il nostro comportamento all’interno di quella che è la nostra realtà familiare, sociale, sportiva, lavorativa e ognuna di queste diverse realtà ha una sua cultura dominante alla quale aderiamo o meno.
Quindi entriamo in contatto con diverse culture in ogni ambito della nostra vita, ne veniamo sfiorati, toccati, permeati e talvolta forgiati; a nostra volta poi possiamo diventare co-fautori di una determinata cultura.
Nella realtà odierna ci si focalizza sempre più spesso su quello che non va, su quello che è stato sbagliato e soprattutto su chi ha sbagliato, perdendo più tempo a cercare il o un colpevole che a risolvere il problema o la questione.
Talvolta questa ricerca assume anche connotati psicologici deleteri e distruttivi, dove diventiamo giudici e imputati di noi stessi, ricercando le colpe e attribuendoci le colpe contemporaneamente.
Questo atteggiamento provoca una involuzione dell’individuo, una sorta di guerra primordiale dove prevarica il più forte.
La vittoria in tutto ciò è ben poca cosa.
È una vittoria effimera che porta disgregazione, distruzione, annichilimento; è una vittoria che altro non è affermazione di individualismo e cinismo; è una vittoria che genera risentimento, allontanamento, vendetta.
Come uscire da questa spirale degenerativa?
Cosa fare?
Quello su cui ci focalizziamo determina le nostre azioni.
Se ci focalizziamo sulla ricerca del colpevole troveremo un colpevole; se ci focalizziamo sul raggiungimento dell’obiettivo raggiungeremo l’obiettivo prefissato.
Una mera ricerca delle colpe e del colpevole fine a sé stessa porta a stasi, inazione, impotenza, paura.
La cultura della colpa e del colpevole va innanzitutto ristrutturata, riequilibrata, reinquadrata in una ottica più grande e completa, volta al miglioramento continuo e alla crescita e valorizzazione del singolo individuo e del gruppo a favore della cultura stessa.
Spesso si sente dire “sbagliando si impara” ma poi nella realtà a chi piace sbagliare? A nessuno.
Sbagliare difficilmente fa piacere, riconoscere un errore e ammetterlo risulta difficile tanto che spesso tendiamo a coprire i nostri errori piuttosto che a parlarne apertamente.
Tuttavia, l’errore è parte integrante dell’essere umano e riconoscere questo aspetto significa riconoscere la nostra fragilità, il nostro bisogno di aiuto, la nostra naturale imperfezione, significa riconoscere che insieme possiamo fare di più, possiamo imparare gli uni dagli altri e in fondo riconoscere in noi stessi e nell’altro l’essere umano.
Un antico detto recita: “Errare human est, perseverare diabolicum”.
Il segreto quindi del cambiamento risiede nella stessa parola “cultura”.
Cultura deriva da un verbo latino che significa coltivare.
Quando si coltiva il presupposto è che ci sia un qualcosa da coltivare, un terreno fertile su cui lavorare e un qualcuno che quotidianamente con amore e passione si dedica all’attività.
In questa ottica cultura significa crescita, dedizione, errore, aiuto, condivisione e risultato.
La cultura esiste perché esistono le persone, la società stessa esiste perché esistono le persone.
Si può quindi scegliere se restare passivi e a volte “vittime” di quella che è la cultura o si può diventare parte attiva e contribuire a coltivarla.
Piccoli miglioramenti quotidiani sommati giorno dopo giorno diventano un grande miglioramento.
Un ambiente fisico e psicologico sano, vitale e costruttivo costituisce il terreno fertile su cui seminare.
Favorire un clima aperto al dialogo, allo scambio e alla condivisione crea le basi per una crescita forte e robusta.
Uno sviluppo che valorizza la persona in quanto essere umano, con i suoi pregi e difetti, permette una piena affermazione e realizzazione dell’individuo in quanto tale.
Infine un coltivatore che provvede a mantenere l’equilibrio di questi elementi permette la crescita del più bel fiore che possa mai crescere.
E tu che cultura coltivi?
Questo è uno dei temi che verranno trattati in modo teorico, pratico ed esperienziale al
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