Trasloco.
Se fosse sostantivo, lo declinerei. Ma questo è verbo, dunque, qualcosa ci sarà da coniugare.
È, nel modo, abbastanza indicativo. Presente nel tempo, con scatole fluttuanti tra passato e futuro. La persona, sottintesa, si presume la prima e singolare. Io.
Mi vedo alla guida.
È un’immagine nuova. Non sono al timone della mia barca, davanti e sotto non c’è il mare, ma una strada segnata. Forse porta al mare.
Il navigatore ha mappe vecchie, non aggiornate. Non contempla i nuovi sensi di marcia e spesso mi invita, con la voce nota: “…appena possibile, effettui una conversione ad U”. Lo spengo.
L’auto che guido ha un grande parabrezza panoramico, il territorio che attraverso è tanto esaltante quanto sfuggente. Ma ciò che continua a stupirmi è la grandezza degli specchi retrovisori.
Ho coscienza che la visione periferica mi rende vigile, ma mi sorprendo spesso, come assorto su quegli enormi specchi. Penso alle scatole che trasporto nel bagagliaio ed a come avrei potuto ridurle, liberandomi del superfluo.
Per ricondurmi al momento presente, porto l’attenzione alle manovre che eseguo in modo automatico. Provo un po’ di piacere nel sentire di nuovo il piede sinistro sulla frizione e la mano destra sul pomello del cambio.
Il segnale della radio è debole, mi è sfuggito proprio il messaggio che attendevo sulle previsioni del traffico. Ed ora, che danno le previsioni del tempo, gracchia ancora di più. Cerco una sintonizzazione fine con la manopola e la trovo sulla sigla finale. Rido di me e dell’ansia che riconosco.
Penso alla bellezza di guardare avanti senza l’attaccamento ad una previsione. Respiro e me ne accorgo.
Volgo lo sguardo a chi mi accompagna. Tiene gli occhi chiusi, ed i muscoli rilassati del viso accennano appena ad un sorriso. Le mani poggiano morbidamente sul ventre.
Mi commuovo.
Lo trovo un modo indicativo del tempo presente. In forma riflessiva.
Se fosse sostantivo, lo declinerei. Ma questo è verbo, dunque, qualcosa ci sarà da coniugare.
È, nel modo, abbastanza indicativo. Presente nel tempo, con scatole fluttuanti tra passato e futuro. La persona, sottintesa, si presume la prima e singolare. Io.
Mi vedo alla guida.
È un’immagine nuova. Non sono al timone della mia barca, davanti e sotto non c’è il mare, ma una strada segnata. Forse porta al mare.
Il navigatore ha mappe vecchie, non aggiornate. Non contempla i nuovi sensi di marcia e spesso mi invita, con la voce nota: “…appena possibile, effettui una conversione ad U”. Lo spengo.
L’auto che guido ha un grande parabrezza panoramico, il territorio che attraverso è tanto esaltante quanto sfuggente. Ma ciò che continua a stupirmi è la grandezza degli specchi retrovisori.
Ho coscienza che la visione periferica mi rende vigile, ma mi sorprendo spesso, come assorto su quegli enormi specchi. Penso alle scatole che trasporto nel bagagliaio ed a come avrei potuto ridurle, liberandomi del superfluo.
Per ricondurmi al momento presente, porto l’attenzione alle manovre che eseguo in modo automatico. Provo un po’ di piacere nel sentire di nuovo il piede sinistro sulla frizione e la mano destra sul pomello del cambio.
Il segnale della radio è debole, mi è sfuggito proprio il messaggio che attendevo sulle previsioni del traffico. Ed ora, che danno le previsioni del tempo, gracchia ancora di più. Cerco una sintonizzazione fine con la manopola e la trovo sulla sigla finale. Rido di me e dell’ansia che riconosco.
Penso alla bellezza di guardare avanti senza l’attaccamento ad una previsione. Respiro e me ne accorgo.
Volgo lo sguardo a chi mi accompagna. Tiene gli occhi chiusi, ed i muscoli rilassati del viso accennano appena ad un sorriso. Le mani poggiano morbidamente sul ventre.
Mi commuovo.
Lo trovo un modo indicativo del tempo presente. In forma riflessiva.