Mai come in questo periodo mi sono trovata a riflettere e ad ascoltarmi in profondità sul tema dell’accoglienza. Accogliere, essere accolta, sono temi su cui mi sono molto interrogata negli ultimi anni, partendo dal chiedermi che significato profondo abbiano per me, per arrivare a comprendere che non esiste un’unica risposta, perché la vita è cambiamento e cambiano anche i significati che diamo alla vita stessa... e credo che da un anno a questa parte tutti noi abbiamo sperimentato quanto la vita, per come la conosciamo, possa cambiare in modo così “drastico”.
Per me, nel qui e ora, l’accogliere è legato alla piccola vita che sta crescendo dentro di me e che esiste proprio perché mi sono permessa ad un livello molto profondo di poterla accogliere. E questo è un grandissimo miracolo, soprattutto perché mi ero convinta che non potesse accedere, di non essere “accogliente” ad un livello psico-fisico profondo.
Mi piace pensare a me stessa come ad una persona accogliente, sicuramente sento di esserlo a livello fisico, una stretta di mano presente, un abbraccio sentito, un sorriso aperto, sono tutte caratteristiche che riconosco in me stessa e che mi sono state riportate più volte da chi mi circonda. Poi c’è l’accoglienza più profonda, quella che non giudica chi si ha davanti, quella che ha a che fare con l’empatia, con l’ascolto, con il rispetto profondo dell’altro, che può essere possibile solo dopo aver imparato ad accogliere veramente e profondamente noi stessi. E questa è tutta un’altra storia, una storia che si può imparare a mettere in pratica se con costanza e onestà si ha il coraggio e la perseveranza di guardarsi dentro per conoscere chi davvero siamo, al di là della nostra storia, delle nostre convinzioni, dei condizionamenti e anche delle definizioni che diamo di noi stessi.
Spesso infatti portiamo avanti appellativi che da soli ci siamo dati molto tempo fa e che ormai non hanno più niente a che fare con il presente, ma il nostro cervello li ha registrati e li porta avanti.
Una delle mie convinzioni è sempre stata che il femminile fosse legato alla passività e alla debolezza, a quella parte bisognosa incapace di stare in piedi con le proprie gambe. Grazie ai percorsi personali e alla scuola di counseling ho fatto una scoperta che per me ha significato una svolta: il femminile è legato alla forza, alla potenza (in primis della creazione) che si esprimono a partire dal permettersi di essere vulnerabili, che non significa essere deboli.
Ho imparato che nel permettermi di farmi vedere vulnerabile c’è invece una grandissima forza, come dire “si, se mi colpisci sanguino, se mi offendi soffro e non ho bisogno di farti credere il contrario né di aggredirti per difendermi. Così è”. Avendo sempre pensato alla vulnerabilità come ad un aspetto negativo, riconoscerla, legittimarla ed accoglierla è stato forse il primo passo per imparare ad accogliere per prima me stessa, e poi l’altro per ciò che è, non per ciò che io mi aspetto sia e anche questo fa parte del potere legato al femminile (l’accoglienza è una delle caratteristiche principali del femminile).
Accogliere l’altro significa permettergli di essere ciò che è, non seguire le nostre aspettative o immagini mentali, aprirsi a qualcuno senza giudizio e renderlo libero di esprimersi seguendo solo la sua natura.
Penso al colloquio di counseling e di coaching: quando una persona sente di trovarsi in un ambiente “protetto” cioè di fronte a qualcuno che non lo sta giudicando, ma al contrario è curioso di conoscerlo, allora si sente libero di esprimere ciò che davvero ha dentro, anche quello che egli stesso giudica “cattivo” e il counselor (o coach) stesso si sentirà a sua volta più legittimato a fare la stessa cosa nella sua vita perché è testimone che questo funziona.
Carl Rogers parla di accettazione incondizionata: “l’accettazione dei vissuti e delle esperienze, astenendosi da ogni forma di interpretazione e /o giudizio, accettare la realtà esistenziale dell’altro e valorizzare l’altro per ciò che è. Accettazione non vuol dire condivisione o approvazione incondizionata di idee, opinioni e sentimenti diversi dai nostri, bensì il riconoscere all’altro la libertà di provarli; è una forma di rispetto profondo dell’altro da sé, un modo di essere dell’agevolatore che contribuisce a dare alla relazione la qualità imprescindibile della comprensione profonda”.
“Esiste un curioso paradosso, quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare”.
Tornando al mio qui e ora ciò che forse mi ha più emozionata nell’ultimo periodo è stato dare la notizia alle persone a me care: le reazioni sono state le più svariate, dall’incredulità alla meraviglia, dall’euforia al disorientamento… ma l’emozione comune che ho percepito è stata la gioia. Gioia partecipe della mia gioia. Ho sentito la vicinanza emotiva nonostante la distanza fisica. Ho ricevuto tantissime offerte d’aiuto sia materiale che emotivo, ho sentito più volte la frase “conta su di me, per qualsiasi cosa tu abbia bisogno... io ci sono” e questo mi ha fatto sentire accolta, oltre che legittimata nel permettermi di chiedere aiuto. E anche questo è un grande passo avanti nel riconoscere la mia vulnerabilità e nel permettermi di accogliere tutte le parti di me.
Per me, nel qui e ora, l’accogliere è legato alla piccola vita che sta crescendo dentro di me e che esiste proprio perché mi sono permessa ad un livello molto profondo di poterla accogliere. E questo è un grandissimo miracolo, soprattutto perché mi ero convinta che non potesse accedere, di non essere “accogliente” ad un livello psico-fisico profondo.
Mi piace pensare a me stessa come ad una persona accogliente, sicuramente sento di esserlo a livello fisico, una stretta di mano presente, un abbraccio sentito, un sorriso aperto, sono tutte caratteristiche che riconosco in me stessa e che mi sono state riportate più volte da chi mi circonda. Poi c’è l’accoglienza più profonda, quella che non giudica chi si ha davanti, quella che ha a che fare con l’empatia, con l’ascolto, con il rispetto profondo dell’altro, che può essere possibile solo dopo aver imparato ad accogliere veramente e profondamente noi stessi. E questa è tutta un’altra storia, una storia che si può imparare a mettere in pratica se con costanza e onestà si ha il coraggio e la perseveranza di guardarsi dentro per conoscere chi davvero siamo, al di là della nostra storia, delle nostre convinzioni, dei condizionamenti e anche delle definizioni che diamo di noi stessi.
Spesso infatti portiamo avanti appellativi che da soli ci siamo dati molto tempo fa e che ormai non hanno più niente a che fare con il presente, ma il nostro cervello li ha registrati e li porta avanti.
Una delle mie convinzioni è sempre stata che il femminile fosse legato alla passività e alla debolezza, a quella parte bisognosa incapace di stare in piedi con le proprie gambe. Grazie ai percorsi personali e alla scuola di counseling ho fatto una scoperta che per me ha significato una svolta: il femminile è legato alla forza, alla potenza (in primis della creazione) che si esprimono a partire dal permettersi di essere vulnerabili, che non significa essere deboli.
Ho imparato che nel permettermi di farmi vedere vulnerabile c’è invece una grandissima forza, come dire “si, se mi colpisci sanguino, se mi offendi soffro e non ho bisogno di farti credere il contrario né di aggredirti per difendermi. Così è”. Avendo sempre pensato alla vulnerabilità come ad un aspetto negativo, riconoscerla, legittimarla ed accoglierla è stato forse il primo passo per imparare ad accogliere per prima me stessa, e poi l’altro per ciò che è, non per ciò che io mi aspetto sia e anche questo fa parte del potere legato al femminile (l’accoglienza è una delle caratteristiche principali del femminile).
Accogliere l’altro significa permettergli di essere ciò che è, non seguire le nostre aspettative o immagini mentali, aprirsi a qualcuno senza giudizio e renderlo libero di esprimersi seguendo solo la sua natura.
Penso al colloquio di counseling e di coaching: quando una persona sente di trovarsi in un ambiente “protetto” cioè di fronte a qualcuno che non lo sta giudicando, ma al contrario è curioso di conoscerlo, allora si sente libero di esprimere ciò che davvero ha dentro, anche quello che egli stesso giudica “cattivo” e il counselor (o coach) stesso si sentirà a sua volta più legittimato a fare la stessa cosa nella sua vita perché è testimone che questo funziona.
Carl Rogers parla di accettazione incondizionata: “l’accettazione dei vissuti e delle esperienze, astenendosi da ogni forma di interpretazione e /o giudizio, accettare la realtà esistenziale dell’altro e valorizzare l’altro per ciò che è. Accettazione non vuol dire condivisione o approvazione incondizionata di idee, opinioni e sentimenti diversi dai nostri, bensì il riconoscere all’altro la libertà di provarli; è una forma di rispetto profondo dell’altro da sé, un modo di essere dell’agevolatore che contribuisce a dare alla relazione la qualità imprescindibile della comprensione profonda”.
“Esiste un curioso paradosso, quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare”.
Tornando al mio qui e ora ciò che forse mi ha più emozionata nell’ultimo periodo è stato dare la notizia alle persone a me care: le reazioni sono state le più svariate, dall’incredulità alla meraviglia, dall’euforia al disorientamento… ma l’emozione comune che ho percepito è stata la gioia. Gioia partecipe della mia gioia. Ho sentito la vicinanza emotiva nonostante la distanza fisica. Ho ricevuto tantissime offerte d’aiuto sia materiale che emotivo, ho sentito più volte la frase “conta su di me, per qualsiasi cosa tu abbia bisogno... io ci sono” e questo mi ha fatto sentire accolta, oltre che legittimata nel permettermi di chiedere aiuto. E anche questo è un grande passo avanti nel riconoscere la mia vulnerabilità e nel permettermi di accogliere tutte le parti di me.