Capita a chiunque di dare e ricevere consigli più o meno buoni. E capita anche di ricevere il medesimo suggerimento da diverse persone, cosi come di fornire lo stesso spunto a diversi interlocutori. Eppure, abbiamo la sensazione che non sia sempre la stessa cosa. A volte il nostro intervento risulta efficace. Altre invece, molto meno. Ed è possibile che ci sfuggano i parametri che fanno la differenza.
Magari siamo in un colloquio, con il nostro interlocutore che ci racconta la sua storia. Ci parla minuziosamente di quel fantomatico bivio nel quale non sa che strada prendere. A noi pare impossibile che l'altro non si accorga che la risposta è proprio sotto i suoi occhi. Cosi ci precipitiamo nell'interpretazione del suo sentire, quasi lo precediamo nel tentativo di alleviare quel peso. E quello che a volte accade, è che l'altro non pare affatto sollevato dal nostro intervento anzi, magari manifesta un pizzico di delusione.
Questo ci provoca un senso di frustrazione.
Ci lanciano in mille congetture e solo se siamo disposti a fare un serio "focusing", riusciamo a far salire dal profondo quel genere di domande spinose che parlano di noi, piuttosto che dell'altro.
Perché volevo aiutarlo? Cosa ho sbagliato? Come mi sento adesso?
Gira e rigira, se non siamo andati fuori tema finendo col parlare di noi, se le nostre parole veicolavano un autentico desiderio di condivisione, non resta che considerare la variabile del tempo: abbiamo scelto il momento giusto? E qual'è il momento giusto?
•Il tempo racconta quanto noi siamo " dentro" con l'altro. Se siamo con lui, siamo capaci di scegliere l'istante in cui un nodo è pronto a sciogliersi.
•Svela se siamo realmente in grado di comprendere il linguaggio dell'altro. "Parlerò quando a modo tuo mi farai capire che è il momento. Che sei pronto."
•Il tempo infine, suggerisce se sia possibile fidarsi di noi, perchè la consapevolezza che il momento per svelare qualcosa potrebbe non arrivare mai, non è di per sé gratificante e l'attesa in sé è un macigno da gestire che richiede un affetto disinteressato.
Magari siamo in un colloquio, con il nostro interlocutore che ci racconta la sua storia. Ci parla minuziosamente di quel fantomatico bivio nel quale non sa che strada prendere. A noi pare impossibile che l'altro non si accorga che la risposta è proprio sotto i suoi occhi. Cosi ci precipitiamo nell'interpretazione del suo sentire, quasi lo precediamo nel tentativo di alleviare quel peso. E quello che a volte accade, è che l'altro non pare affatto sollevato dal nostro intervento anzi, magari manifesta un pizzico di delusione.
Questo ci provoca un senso di frustrazione.
Ci lanciano in mille congetture e solo se siamo disposti a fare un serio "focusing", riusciamo a far salire dal profondo quel genere di domande spinose che parlano di noi, piuttosto che dell'altro.
Perché volevo aiutarlo? Cosa ho sbagliato? Come mi sento adesso?
Gira e rigira, se non siamo andati fuori tema finendo col parlare di noi, se le nostre parole veicolavano un autentico desiderio di condivisione, non resta che considerare la variabile del tempo: abbiamo scelto il momento giusto? E qual'è il momento giusto?
•Il tempo racconta quanto noi siamo " dentro" con l'altro. Se siamo con lui, siamo capaci di scegliere l'istante in cui un nodo è pronto a sciogliersi.
•Svela se siamo realmente in grado di comprendere il linguaggio dell'altro. "Parlerò quando a modo tuo mi farai capire che è il momento. Che sei pronto."
•Il tempo infine, suggerisce se sia possibile fidarsi di noi, perchè la consapevolezza che il momento per svelare qualcosa potrebbe non arrivare mai, non è di per sé gratificante e l'attesa in sé è un macigno da gestire che richiede un affetto disinteressato.