C’è un tema che, da tempo, stimola il mio interesse: il rapporto tra la vita mentale degli esseri umani e la loro salute fisica.
Oggi l’argomento appare di grande attualità, e ciò anche a causa della nota emergenza sanitaria, della crescente paura per la crisi ambientale, delle sanguinose guerre in atto nel pianeta e da una dilagante incertezza sul futuro, che colpisce soprattutto le più giovani generazioni.
A dispetto di ciò vi è ancora una diffusa resistenza nel mondo scientifico ad accogliere l’idea che pensiero ed emozione possano influenzare il corpo umano.
Martin Seligman, psicologo nordamericano, considerato il fondatore della psicologia positiva, ha cercato di dare una risposta a tre domande per capire la malattia fisica, riproponendo in chiave moderna il problema mente-corpo. Segnatamente, Seligman, nel saggio “Imparare l’ottimismo. Come cambiare la vita cambiando il pensiero” (Giunti, 2017) si è chiesto:
a) se la speranza sostiene davvero la vita e se lo stato di disperazione e di impotenza possa portare alla morte;
b) come agiscano speranza ed impotenza all’interno della materia e in quale modo fattori così spirituali possano incidere su quelli fisici;
c) se sia possibile migliorare la salute e prolungare la vita di un essere umano modificando il suo modo di pensare ed il suo stile esplicativo.
Secondo Seligman, l’approccio materialista seguito dalla maggior parte degli scienziati e dei medici occidentali moderni trascura il fatto che il sistema immunitario dell’uomo è connesso al cervello e che agli stati mentali, che riflettono la psicologia di un individuo, corrispondono stati cerebrali che influenzano - a loro volta - il benessere del corpo. Sulla base di tali premesse, pertanto, lo studioso afferma che non vi sarebbe alcun mistero nel processo mediante il quale le emozioni ed pensiero possono determinare l’insorgenza di una malattia o la sua regressione. La chiave per comprendere il fenomeno starebbe negli ormoni, ovvero nei messaggeri chimici del sangue, i quali trasmettono lo stato emotivo di un individuo da una parte all’altra dell’organismo. In particolare, in un essere umano depresso, i neurotrasmettitori possono diminuire la loro attività. E’ stato infatti rilevato che, durante la depressione, l’attività delle catecolamine diminuisce drasticamente, facendo aumentare l’attività biochimica delle endorfine. Così il sistema immunitario registra questo cambiamento e si indebolisce, favorendo l’insorgere della malattia.
Secondo l’autore vi sarebbero, quindi, attendibili prove empiriche di come stati psicologici quali la depressione, il pessimismo e l’afflizione danneggino realmente la salute degli esseri umani, facendo declinare il loro sistema immunitario e rendendoli maggiormente vulnerabili all’aggressione di agenti patogeni.
Oggi l’argomento appare di grande attualità, e ciò anche a causa della nota emergenza sanitaria, della crescente paura per la crisi ambientale, delle sanguinose guerre in atto nel pianeta e da una dilagante incertezza sul futuro, che colpisce soprattutto le più giovani generazioni.
A dispetto di ciò vi è ancora una diffusa resistenza nel mondo scientifico ad accogliere l’idea che pensiero ed emozione possano influenzare il corpo umano.
Martin Seligman, psicologo nordamericano, considerato il fondatore della psicologia positiva, ha cercato di dare una risposta a tre domande per capire la malattia fisica, riproponendo in chiave moderna il problema mente-corpo. Segnatamente, Seligman, nel saggio “Imparare l’ottimismo. Come cambiare la vita cambiando il pensiero” (Giunti, 2017) si è chiesto:
a) se la speranza sostiene davvero la vita e se lo stato di disperazione e di impotenza possa portare alla morte;
b) come agiscano speranza ed impotenza all’interno della materia e in quale modo fattori così spirituali possano incidere su quelli fisici;
c) se sia possibile migliorare la salute e prolungare la vita di un essere umano modificando il suo modo di pensare ed il suo stile esplicativo.
Secondo Seligman, l’approccio materialista seguito dalla maggior parte degli scienziati e dei medici occidentali moderni trascura il fatto che il sistema immunitario dell’uomo è connesso al cervello e che agli stati mentali, che riflettono la psicologia di un individuo, corrispondono stati cerebrali che influenzano - a loro volta - il benessere del corpo. Sulla base di tali premesse, pertanto, lo studioso afferma che non vi sarebbe alcun mistero nel processo mediante il quale le emozioni ed pensiero possono determinare l’insorgenza di una malattia o la sua regressione. La chiave per comprendere il fenomeno starebbe negli ormoni, ovvero nei messaggeri chimici del sangue, i quali trasmettono lo stato emotivo di un individuo da una parte all’altra dell’organismo. In particolare, in un essere umano depresso, i neurotrasmettitori possono diminuire la loro attività. E’ stato infatti rilevato che, durante la depressione, l’attività delle catecolamine diminuisce drasticamente, facendo aumentare l’attività biochimica delle endorfine. Così il sistema immunitario registra questo cambiamento e si indebolisce, favorendo l’insorgere della malattia.
Secondo l’autore vi sarebbero, quindi, attendibili prove empiriche di come stati psicologici quali la depressione, il pessimismo e l’afflizione danneggino realmente la salute degli esseri umani, facendo declinare il loro sistema immunitario e rendendoli maggiormente vulnerabili all’aggressione di agenti patogeni.