Separarsi da qualcosa è un andirivieni. Si va avanti, si torna indietro, si rimugina sulla perdita, si mantiene un legame fantastico e virtuale con il mancante, ma c’è un compito fondamentale da realizzare in questa prima fase del processo di separazione: inviare al cervello biologico un messaggio di chiusura, chiara e definitiva, della relazione.
La metafora di una tragedia come il naufragio su un’isola deserta può aiutarci a capire quanto sia complessa questa fase. Dopo il naufragio su una spiaggia sperduta e aver realizzato dove si trova, il protagonista prende atto che deve trovare riparo, esplorare il territorio, cibarsi, scrivere un messaggio in bottiglia o fare segnali di fumo. Viceversa, muore.
In pratica, il protagonista ‘deve’ accettare il naufragio e con esso la mancanza di strade alternative oltre alla realtà dei fatti. Qualsiasi fantasia viene stroncata dalle evidenze e dal tempo che passa e va riconosciuta. Invece di sperare e di fantasticare recuperi reali o simbolici, il protagonista dovrà tagliare la legna per fare un fuoco, scaldarsi e fare una zattera di salvataggio.
La metafora del naufragio ci aiuta a comprendere che in un cambiamento drammatico … ‘o ti adatti, o muori!’.
Per ritornare alla nostra relazione, che non c’è più, le parole da dire sono semplici e chiare: ‘la storia è finita, la relazione è finita, mi separo da te!’
Cosa succede invece?
Si attivano rituali opposti. Si rafforza la memoria della perdita e si compiono azioni e giuramenti che tengono in vita i ricordi in una sorta di legame virtuale, criogenico.
Nella nostra metafora del naufragio ci si accascia sconsolati, spiaggiati e ripiegati nel dolore. Si arriva a desiderare di lasciar morire qualche parte di sé e di lasciar naufragare ogni barlume di vita e di speranza: ‘tanto è inutile’.
Prima di poter dire ‘chiudo la relazione, mi separo da te per sempre, ti lascio andare’ si fanno i conti con promesse, fissazioni e rituali che congelano il lutto e lo paralizzano.
Le promesse (‘non sarò mai più così …’, ‘senza di te non potrò realizzarmi, essere, amare ...’,‘tu sei mio per sempre!’), le fissazioni (atteggiamenti che apparentemente riducono il malessere e fanno sentire ‘a posto’) ed i rituali (comportamenti che reificano la presenza del mancante) diventano la prigione di un io diviso, esausto e incapace di reagire.
Questa fase, che è la prima di sei fasi dell’elaborazione del lutto, a mio parere è la più difficile. La persona vive in una bolla senza tempo e senza spazio e ha continue riedizioni dello stesso film.
Qual è il problema di questa fase? Non riuscire a innescare nuove configurazioni neurali. La persona fatica a vivere i propri momenti come ‘esperienza’, non individua la propria capacità di reazione di fronte al vissuto paralizzante e di conseguenza non riconosce le ‘magie’ di cui può essere capace in determinate situazioni.
Veniamo al dunque. Le promesse sono un impegno a compiere determinati atti o a tenere determinati comportamenti; le fissazioni sono pulsioni che non trovano sbocco; ed i rituali servono a preservare l’equilibrio della propria identità. In pratica sono soprattutto ‘esperienze soggettive’.
Il problema allora si ribalta. Non è più la mancanza di qualcosa o qualcuno, ma l’esperienza della mancanza: ‘che tipo di esperienza è mantenere una promessa, percepire le proprie pulsioni bloccate o sentir vacillare la propria identità?’
Prima di riuscire a dire ‘chiudo la relazione, mi separo da te per sempre, ti lascio andare’ la persona ha bisogno di esplorare e gestire le proprie sensazioni creando una base che gli permetta di riconoscere il passaggio da impotente, incapace, annichilito a ’sento qualcosa, in questa situazione potrei gestirla in questo modo, qui potrei fare così, e così via’.
In pratica, utilizzando delle domande, si creano i presupposti per operare su due piani paralleli. Si opera con il corpo attraverso piccoli movimenti ripetuti e facendo domande mirate, oppure si creano le condizioni per uno stato di rilassamento dialogando in un leggero stato di trance.
Si fissa una base di partenza e si individuano i piccoli passi che portano alla meta di questa prima fase del lutto: ‘quanto è difficile vivere in questa condizione da 1 a 10? Quello che provi, come lo provi? Che speranze hai rispetto al vissuto di questa condizione? Che margine di tempo ti concedi? Quanto forte percepisci la tua capacità di reagire a questa situazione da 1 a 10? Possiamo valutare insieme cosa ti aiuterebbe a passare da 3 a 4 nella tua capacità di …? Etc.
Solo riuscendo a ritrovare rilassatezza, parole e risorse, la persona sarà in grado di accedere al proprio potenziale di reazione e affermare le fatidiche frasi: ‘mi fa male, ma sto comprendendo che non ci sei più’; ‘non lo vorrei, ma è bene che mi separi da te’; ’ti vorrei avere qui con me, ma capisco che ti debbo lasciare andare’.
In seguito approfondiremo tecnicamente.
La metafora di una tragedia come il naufragio su un’isola deserta può aiutarci a capire quanto sia complessa questa fase. Dopo il naufragio su una spiaggia sperduta e aver realizzato dove si trova, il protagonista prende atto che deve trovare riparo, esplorare il territorio, cibarsi, scrivere un messaggio in bottiglia o fare segnali di fumo. Viceversa, muore.
In pratica, il protagonista ‘deve’ accettare il naufragio e con esso la mancanza di strade alternative oltre alla realtà dei fatti. Qualsiasi fantasia viene stroncata dalle evidenze e dal tempo che passa e va riconosciuta. Invece di sperare e di fantasticare recuperi reali o simbolici, il protagonista dovrà tagliare la legna per fare un fuoco, scaldarsi e fare una zattera di salvataggio.
La metafora del naufragio ci aiuta a comprendere che in un cambiamento drammatico … ‘o ti adatti, o muori!’.
Per ritornare alla nostra relazione, che non c’è più, le parole da dire sono semplici e chiare: ‘la storia è finita, la relazione è finita, mi separo da te!’
Cosa succede invece?
Si attivano rituali opposti. Si rafforza la memoria della perdita e si compiono azioni e giuramenti che tengono in vita i ricordi in una sorta di legame virtuale, criogenico.
Nella nostra metafora del naufragio ci si accascia sconsolati, spiaggiati e ripiegati nel dolore. Si arriva a desiderare di lasciar morire qualche parte di sé e di lasciar naufragare ogni barlume di vita e di speranza: ‘tanto è inutile’.
Prima di poter dire ‘chiudo la relazione, mi separo da te per sempre, ti lascio andare’ si fanno i conti con promesse, fissazioni e rituali che congelano il lutto e lo paralizzano.
Le promesse (‘non sarò mai più così …’, ‘senza di te non potrò realizzarmi, essere, amare ...’,‘tu sei mio per sempre!’), le fissazioni (atteggiamenti che apparentemente riducono il malessere e fanno sentire ‘a posto’) ed i rituali (comportamenti che reificano la presenza del mancante) diventano la prigione di un io diviso, esausto e incapace di reagire.
Questa fase, che è la prima di sei fasi dell’elaborazione del lutto, a mio parere è la più difficile. La persona vive in una bolla senza tempo e senza spazio e ha continue riedizioni dello stesso film.
Qual è il problema di questa fase? Non riuscire a innescare nuove configurazioni neurali. La persona fatica a vivere i propri momenti come ‘esperienza’, non individua la propria capacità di reazione di fronte al vissuto paralizzante e di conseguenza non riconosce le ‘magie’ di cui può essere capace in determinate situazioni.
Veniamo al dunque. Le promesse sono un impegno a compiere determinati atti o a tenere determinati comportamenti; le fissazioni sono pulsioni che non trovano sbocco; ed i rituali servono a preservare l’equilibrio della propria identità. In pratica sono soprattutto ‘esperienze soggettive’.
Il problema allora si ribalta. Non è più la mancanza di qualcosa o qualcuno, ma l’esperienza della mancanza: ‘che tipo di esperienza è mantenere una promessa, percepire le proprie pulsioni bloccate o sentir vacillare la propria identità?’
Prima di riuscire a dire ‘chiudo la relazione, mi separo da te per sempre, ti lascio andare’ la persona ha bisogno di esplorare e gestire le proprie sensazioni creando una base che gli permetta di riconoscere il passaggio da impotente, incapace, annichilito a ’sento qualcosa, in questa situazione potrei gestirla in questo modo, qui potrei fare così, e così via’.
In pratica, utilizzando delle domande, si creano i presupposti per operare su due piani paralleli. Si opera con il corpo attraverso piccoli movimenti ripetuti e facendo domande mirate, oppure si creano le condizioni per uno stato di rilassamento dialogando in un leggero stato di trance.
Si fissa una base di partenza e si individuano i piccoli passi che portano alla meta di questa prima fase del lutto: ‘quanto è difficile vivere in questa condizione da 1 a 10? Quello che provi, come lo provi? Che speranze hai rispetto al vissuto di questa condizione? Che margine di tempo ti concedi? Quanto forte percepisci la tua capacità di reagire a questa situazione da 1 a 10? Possiamo valutare insieme cosa ti aiuterebbe a passare da 3 a 4 nella tua capacità di …? Etc.
Solo riuscendo a ritrovare rilassatezza, parole e risorse, la persona sarà in grado di accedere al proprio potenziale di reazione e affermare le fatidiche frasi: ‘mi fa male, ma sto comprendendo che non ci sei più’; ‘non lo vorrei, ma è bene che mi separi da te’; ’ti vorrei avere qui con me, ma capisco che ti debbo lasciare andare’.
In seguito approfondiremo tecnicamente.