Ad uno dei miei primi corsi sulle tecniche di vendita mi fu presentato il video della famosissima scena del film “Pretty Woman” (che sicuramente tutti ricorderete), in cui Vivian Ward (Julia Roberts) va a fare shopping sulla Rodeo Drive a Beverly Hills, vestita in modo… diciamo “non consono al contesto” e viene snobbata e derisa dalle commesse della boutique in cui è entrata. Il giorno seguente torna al negozio con diversi sacchetti in mano…mostrandoli alle commesse – il messaggio devo dire è stato molto chiaro: mai fermarsi alle apparenze!!
Ma come si forma nella nostra mente un pregiudizio? Beh, l’ho appreso successivamente.
In modo meccanico categorizziamo il mondo attraverso il linguaggio ed ogni fenomeno viene così incasellato. Il passaggio successivo è quello che in gergo viene definito “l’errore fondamentale di attribuzione” che è una generalizzazione su un comportamento osservato o che ci è stato raccontato che, in assenza di dati, induce a conclusioni non veritiere. Quindi si attribuisce, dato un comportamento umano, una certa caratteristica all’individuo (carattere, pregi o difetti). Questo ci è utile per spiegare la realtà. Non solo: economizziamo risorse cognitive e manteniamo alta l’autostima.
Può succedere infatti di fronte ad un successo personale, per mantenere alta l’autostima, di fare un attribuzione interna mentre in caso di insuccesso siamo portati a fare un’attribuzione esterna. Questa dinamica la ritroviamo anche nei gruppi, dove nel gruppo di appartenenza (ingroup) è presente un favoritismo mentre vediamo il gruppo esterno (outgroup) molto diverso da noi.
La cosa che maggiormente mi ha colpita è che, chi subisce lo stereotipo, può sperimentare il timore di confermare le aspettative negative e suscitare nel soggetto un comportamento di profezia che si autoavvera.
Come ne usciamo?
Il lavoro è sicuramente dispendioso in termini cognitivi, e a volte potremmo non essere motivati a farlo. Tant’è che, mentre per i processi di valutazione automatica entra in gioco l’amigdala (parte del sistema limbico), un’attività volontaria coinvolge tutta una serie di aree corticali, molto più recenti.
Devo dire che sono caduta vittima di questo meccanismo nonostante ne fossi “al corrente”! Stress, mancanza di tempo, altre attività di certo non sono di aiuto. Ma in primis il mio calo di attenzione (;-)). L’oggettività, la verità delle cose e delle persone si pongono all’interno di un lungo cammino di crescita.
Cosa ho trovato utile?
Sapere che è possibile sospendere il giudizio, che esiste un territorio neutro in cui si può incontrare l’altro, che per eliminare lo stereotipo il modo migliore è quello di conoscere la persona o le persone.
“Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo, ti aspetterò laggiù” – Rumi.
Ma come si forma nella nostra mente un pregiudizio? Beh, l’ho appreso successivamente.
In modo meccanico categorizziamo il mondo attraverso il linguaggio ed ogni fenomeno viene così incasellato. Il passaggio successivo è quello che in gergo viene definito “l’errore fondamentale di attribuzione” che è una generalizzazione su un comportamento osservato o che ci è stato raccontato che, in assenza di dati, induce a conclusioni non veritiere. Quindi si attribuisce, dato un comportamento umano, una certa caratteristica all’individuo (carattere, pregi o difetti). Questo ci è utile per spiegare la realtà. Non solo: economizziamo risorse cognitive e manteniamo alta l’autostima.
Può succedere infatti di fronte ad un successo personale, per mantenere alta l’autostima, di fare un attribuzione interna mentre in caso di insuccesso siamo portati a fare un’attribuzione esterna. Questa dinamica la ritroviamo anche nei gruppi, dove nel gruppo di appartenenza (ingroup) è presente un favoritismo mentre vediamo il gruppo esterno (outgroup) molto diverso da noi.
La cosa che maggiormente mi ha colpita è che, chi subisce lo stereotipo, può sperimentare il timore di confermare le aspettative negative e suscitare nel soggetto un comportamento di profezia che si autoavvera.
Come ne usciamo?
Il lavoro è sicuramente dispendioso in termini cognitivi, e a volte potremmo non essere motivati a farlo. Tant’è che, mentre per i processi di valutazione automatica entra in gioco l’amigdala (parte del sistema limbico), un’attività volontaria coinvolge tutta una serie di aree corticali, molto più recenti.
Devo dire che sono caduta vittima di questo meccanismo nonostante ne fossi “al corrente”! Stress, mancanza di tempo, altre attività di certo non sono di aiuto. Ma in primis il mio calo di attenzione (;-)). L’oggettività, la verità delle cose e delle persone si pongono all’interno di un lungo cammino di crescita.
Cosa ho trovato utile?
Sapere che è possibile sospendere il giudizio, che esiste un territorio neutro in cui si può incontrare l’altro, che per eliminare lo stereotipo il modo migliore è quello di conoscere la persona o le persone.
“Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo, ti aspetterò laggiù” – Rumi.