Non vi è mai capitato di pensare che, forse, molti dei nostri atteggiamenti riflettono condizionamenti subiti durante l’infanzia e interiorizzati nella parte più profonda di ognuno di voi? Come agiscono tali influenze sul nostro modo di essere, di vivere, di affrontare le varie situazioni che, giorno dopo giorno, si presentano più o meno difficili, più o meno comprensibili? Thomas Trobe, in arte Krishnananda, uno psichiatra americano, ci guida all’interno di questa interessante esplorazione di se stessi, rivelandoci che, dentro di noi esiste un “bambino emozionale” ferito e spaventato con cui è necessario confrontarsi per capire quali e quante ferite porta con sé, superarle e raggiungere uno stato di quiete e di equilibrio interiore.
Tanto maggiore è l’identificazione con i traumi e le ferite del nostro “bambino”, che sfuggono al nostro controllo e creano un’immagine “deviata” di noi stessi, tanto più ci convinciamo di essere realmente quello che il “bambino emozionale”, in realtà, ci induce a sperimentare, pensare, credere. Esso rappresenta uno spazio interiore fatto di antiche paure e insicurezze. A ognuna di queste emozioni è associata una determinata risposta comportamentale, ovverosia reazione e controllo, aspettative e pretese, compromesso, assuefazione e pensiero magico. “Identificati” in questo “spazio” reagiamo in maniera automatica agli eventi della vita, agli atteggiamenti degli altri; dallo stimolo passiamo subito alla reazione in maniera quasi compulsiva, senza riflettere.
Il “bambino” è impaziente, spaventato, incapace di contenere le emozioni più intense, la rabbia, la pressione del mondo esterno: è una miccia pronta ad “esplodere”. In balia di questa energia, reagiamo, dunque, perché ci sentiamo minacciati, per soddisfare i nostri bisogni oppure per contrastare la sensazione di non essere amati o accettati. Il “bambino ferito” nutre aspettative su di sé e sugli altri, pensa di dover essere liberato o salvato da qualcuno. In questa condizione mentale siamo spaventati, temiamo il giudizio degli altri e così perdiamo il contatto con il nostro “centro”, con la forza interiore che non “ascoltiamo”.
Questo “infante” fa il bello e il cattivo tempo, scalpita e un attimo dopo giudica, nutre il rimorso e il senso di colpa e frena l’agire della nostra reale personalità. Impareremo che è fondamentale “accogliere” ogni tipo di emozione, senza negarla o giudicarla, come farebbe il “bambino”, senza alcun bisogno di lottare per eliminarla o reprimerla.
Il vero cambiamento deve avvenire in noi. Riusciremo a costruire relazioni più consapevoli, basate su affettività più autentiche. Affrontare la vita con maggiore lucidità per capire chi siamo e dove vogliamo andare è un grande compito che richiede impegno e dedizione e, soprattutto, tempo. Ciò che conta è il naturale dispiegarsi delle nostre qualità: dobbiamo ritrovare il nostro centro, entrando in un dialogo profondo e infinito con noi stessi per far crescere quel “bambino incontrollabile
Tanto maggiore è l’identificazione con i traumi e le ferite del nostro “bambino”, che sfuggono al nostro controllo e creano un’immagine “deviata” di noi stessi, tanto più ci convinciamo di essere realmente quello che il “bambino emozionale”, in realtà, ci induce a sperimentare, pensare, credere. Esso rappresenta uno spazio interiore fatto di antiche paure e insicurezze. A ognuna di queste emozioni è associata una determinata risposta comportamentale, ovverosia reazione e controllo, aspettative e pretese, compromesso, assuefazione e pensiero magico. “Identificati” in questo “spazio” reagiamo in maniera automatica agli eventi della vita, agli atteggiamenti degli altri; dallo stimolo passiamo subito alla reazione in maniera quasi compulsiva, senza riflettere.
Il “bambino” è impaziente, spaventato, incapace di contenere le emozioni più intense, la rabbia, la pressione del mondo esterno: è una miccia pronta ad “esplodere”. In balia di questa energia, reagiamo, dunque, perché ci sentiamo minacciati, per soddisfare i nostri bisogni oppure per contrastare la sensazione di non essere amati o accettati. Il “bambino ferito” nutre aspettative su di sé e sugli altri, pensa di dover essere liberato o salvato da qualcuno. In questa condizione mentale siamo spaventati, temiamo il giudizio degli altri e così perdiamo il contatto con il nostro “centro”, con la forza interiore che non “ascoltiamo”.
Questo “infante” fa il bello e il cattivo tempo, scalpita e un attimo dopo giudica, nutre il rimorso e il senso di colpa e frena l’agire della nostra reale personalità. Impareremo che è fondamentale “accogliere” ogni tipo di emozione, senza negarla o giudicarla, come farebbe il “bambino”, senza alcun bisogno di lottare per eliminarla o reprimerla.
Il vero cambiamento deve avvenire in noi. Riusciremo a costruire relazioni più consapevoli, basate su affettività più autentiche. Affrontare la vita con maggiore lucidità per capire chi siamo e dove vogliamo andare è un grande compito che richiede impegno e dedizione e, soprattutto, tempo. Ciò che conta è il naturale dispiegarsi delle nostre qualità: dobbiamo ritrovare il nostro centro, entrando in un dialogo profondo e infinito con noi stessi per far crescere quel “bambino incontrollabile