Nel suo libro "The five dysfunctions of a team" (in Italia “La guerra nel team”) Patrick Lencioni evidenzia, con gustosa narrazione, come la fiducia reciproca, la buona comunicazione e la corresponsabilità siano presupposti essenziali per il buon funzionamento di un team. Gli stessi temi sono stati poi ripresi da Chiara Romersa, con riferimento anche alla realtà socio-economica e al mondo politico, in un articolo dell’ottobre 2017 sul Sole 24 Ore, dal titolo “Il teamwork è una strada possibile? No, è l'unica strada percorribile”.
È una domanda che si pongono certamente anche molti imprenditori e leader d'azienda, prima di arrivare a una risposta così categorica; per questo è importante ricordare che il lavoro di team non piace necessariamente a tutti. Nel suo lavoro "The myths and realities of Teamwork" (2013, facilmente reperibile in rete), David Wright sostiene che un terzo delle persone ama il lavoro di team, un terzo è neutrale e un terzo preferisce lavorare da solo.
Ammettendo che questo sia vero o plausibile (senza entrare nel merito della ripartizione) è evidente che un passaggio fondamentale nella formazione di team nelle aziende, per progetti ben definiti, è il buon assortimento delle risorse: questo non significa creare team omogenei, che potrebbero presto appiattirsi in comportamenti di routine, ma team equilibrati per carattere e contributo professionale dei vari membri.
Wright sostiene anche che è possibile creare "ambienti di team" che tengano conto delle modalità di lavoro preferite di ciascun individuo. Sono d'accordo: in azienda, con leader consapevoli e bravi coach, questo è senz'altro possibile.
Torno però su un altro aspetto da non sottovalutare: un team non è sempre costituito da persone che si sono scelte per lavorare insieme. Ogni membro è lì perché il suo ruolo lo richiede; perché un leader, o comunque qualcuno sopra di lui o lei, ha pensato e deciso che in qualche modo potesse portare un valido contributo; ma il fatto di stimarsi o di riconoscere le capacità professionali l’uno dell’altro non garantisce l’allineamento esplicito e autentico delle persone, rispetto a uno o più (ma non troppi) obiettivi condivisi. Si può lavorare in modo efficace e costruttivo nella quotidianità e tuttavia può mancare l’intelligenza collettiva del lavoro di squadra.
È come se nella linea di punta di una squadra di calcio ognuno dei giocatori conducesse, palla al piede, un’azione personale e mancasse l’intuizione e la geometria di qualche passaggio. Mancanza talvolta aggravata, negli sport di squadra come in azienda, da dinamiche interpersonali non risolte.
Di sicuro c’è un percorso da compiere prima di arrivare alla condizione ideale, in cui i membri del team si sentono liberi di esprimersi con tutte le loro risorse cognitive ed emotive, trovandosi, fidandosi e passandosi la palla (per restare nella metafora sportiva) nel momento e nel modo più funzionale. Il percorso è un lavoro di amalgama, che riesce tanto meglio quanto più sono chiari non solo gli obiettivi, ma le ragioni per cui gli obiettivi sono quelli e non altri: la “reason why” insita nella Vision aziendale, che caratterizza un’identità collettiva, compresa e fatta propria.
La leadership aziendale ha un ruolo cruciale nel facilitare questo percorso di chiarezza e, certo, ne fa parte anche la risoluzione “a monte” di questioni interpersonali – nelle PMI, talvolta anche di natura familiare. Significa cercare e trovare unità nei Valori fondanti dell’impresa o dell’organizzazione, per riconoscere e risolvere rapidamente conflitti e dissonanze a livello dei comportamenti.
È una domanda che si pongono certamente anche molti imprenditori e leader d'azienda, prima di arrivare a una risposta così categorica; per questo è importante ricordare che il lavoro di team non piace necessariamente a tutti. Nel suo lavoro "The myths and realities of Teamwork" (2013, facilmente reperibile in rete), David Wright sostiene che un terzo delle persone ama il lavoro di team, un terzo è neutrale e un terzo preferisce lavorare da solo.
Ammettendo che questo sia vero o plausibile (senza entrare nel merito della ripartizione) è evidente che un passaggio fondamentale nella formazione di team nelle aziende, per progetti ben definiti, è il buon assortimento delle risorse: questo non significa creare team omogenei, che potrebbero presto appiattirsi in comportamenti di routine, ma team equilibrati per carattere e contributo professionale dei vari membri.
Wright sostiene anche che è possibile creare "ambienti di team" che tengano conto delle modalità di lavoro preferite di ciascun individuo. Sono d'accordo: in azienda, con leader consapevoli e bravi coach, questo è senz'altro possibile.
Torno però su un altro aspetto da non sottovalutare: un team non è sempre costituito da persone che si sono scelte per lavorare insieme. Ogni membro è lì perché il suo ruolo lo richiede; perché un leader, o comunque qualcuno sopra di lui o lei, ha pensato e deciso che in qualche modo potesse portare un valido contributo; ma il fatto di stimarsi o di riconoscere le capacità professionali l’uno dell’altro non garantisce l’allineamento esplicito e autentico delle persone, rispetto a uno o più (ma non troppi) obiettivi condivisi. Si può lavorare in modo efficace e costruttivo nella quotidianità e tuttavia può mancare l’intelligenza collettiva del lavoro di squadra.
È come se nella linea di punta di una squadra di calcio ognuno dei giocatori conducesse, palla al piede, un’azione personale e mancasse l’intuizione e la geometria di qualche passaggio. Mancanza talvolta aggravata, negli sport di squadra come in azienda, da dinamiche interpersonali non risolte.
Di sicuro c’è un percorso da compiere prima di arrivare alla condizione ideale, in cui i membri del team si sentono liberi di esprimersi con tutte le loro risorse cognitive ed emotive, trovandosi, fidandosi e passandosi la palla (per restare nella metafora sportiva) nel momento e nel modo più funzionale. Il percorso è un lavoro di amalgama, che riesce tanto meglio quanto più sono chiari non solo gli obiettivi, ma le ragioni per cui gli obiettivi sono quelli e non altri: la “reason why” insita nella Vision aziendale, che caratterizza un’identità collettiva, compresa e fatta propria.
La leadership aziendale ha un ruolo cruciale nel facilitare questo percorso di chiarezza e, certo, ne fa parte anche la risoluzione “a monte” di questioni interpersonali – nelle PMI, talvolta anche di natura familiare. Significa cercare e trovare unità nei Valori fondanti dell’impresa o dell’organizzazione, per riconoscere e risolvere rapidamente conflitti e dissonanze a livello dei comportamenti.