Sono in una fase della vita in cui mi interrogo sul senso di quest’ultima e non posso fare a meno di notare che siamo un popolo che soffre tantissimo.
Interi sistemi sull’orlo del precipizio, vecchi schemi che si sovrappongono ad un nuovo che prova ad avanzare, rapporti che più in generale non possono essere filtrati su ciò che veramente conta per ogni individuo perché tutti siamo affetti da una grande ed universale paura, che è quella della perdita.
Così, molto spesso, piuttosto che raccogliere le idee, approfondire l’efficacia dei legami, ammettere che molti di questi siano davvero degli agenti inquinanti e che intossicano il nostro spazio vitale, facciamo finta che la sfiducia con la quale percepiamo il prossimo, altro non sia che un aspetto normale di una nuova era.
Il viaggio verso la felicità sembra essere la metà più ambita ma il grosso limite è che in pochi sanno davvero come raggiungerla, ma più che altro, che cosa rappresenti. Così, il rischio immediato è lo stato di semi paralisi di un corpo che pulsa ma che si sente imprigionato nell’insieme delle tante frustrazioni raccolte nel tempo.
Generiamo figli, con la speranza che l’espandersi dei nostri rami porti ad una evoluzione. Ci concentriamo sul lavoro, sulla carriera, sui soldi, sicuri che l’accumulo di case, macchine e ogni bene materiale, sedi il bisogno di gioia innata.
Ma poi cadiamo in una crisi profonda ed esistenziale; con tutta questa roba addosso ci sentiamo soli, abbandonati e freddi ed in preda al panico, cominciamo il nostro graduale calvario interiore.
Questo è il momento in cui il processo ha inizio. Un guscio che cede porta ad una chiamata interiore e sarebbe un peccato quasi mortale non rispondere.
Secondo le teorie di Haanel, la vita è crescita e la crescita è cambiamento e ogni periodo, all’incirca delle durata di sette anni ci porta in un nuovo ciclo.
Lottiamo per raggiungere gli obbiettivi che ci siamo prefissati ma nel momento in cui li abbiamo tra le mani ci scivolano tra le dita e tutto l’accumulo della stanchezza dopo tanto agire, ci riporta all’origine.
È questa la grande felicità. L’energia del movimento, l’accettazione che siamo in un divenire costante, la comprensione che ogni stagione ci rimette in vita e allo stesso tempo ci impone a stati di reclusione ma che soprattutto, non possediamo niente, neanche noi stessi, come un “un ruscello in cui possiamo guardare tutte le nostre vite e non vedere mai passare la stessa acqua”.
Interi sistemi sull’orlo del precipizio, vecchi schemi che si sovrappongono ad un nuovo che prova ad avanzare, rapporti che più in generale non possono essere filtrati su ciò che veramente conta per ogni individuo perché tutti siamo affetti da una grande ed universale paura, che è quella della perdita.
Così, molto spesso, piuttosto che raccogliere le idee, approfondire l’efficacia dei legami, ammettere che molti di questi siano davvero degli agenti inquinanti e che intossicano il nostro spazio vitale, facciamo finta che la sfiducia con la quale percepiamo il prossimo, altro non sia che un aspetto normale di una nuova era.
Il viaggio verso la felicità sembra essere la metà più ambita ma il grosso limite è che in pochi sanno davvero come raggiungerla, ma più che altro, che cosa rappresenti. Così, il rischio immediato è lo stato di semi paralisi di un corpo che pulsa ma che si sente imprigionato nell’insieme delle tante frustrazioni raccolte nel tempo.
Generiamo figli, con la speranza che l’espandersi dei nostri rami porti ad una evoluzione. Ci concentriamo sul lavoro, sulla carriera, sui soldi, sicuri che l’accumulo di case, macchine e ogni bene materiale, sedi il bisogno di gioia innata.
Ma poi cadiamo in una crisi profonda ed esistenziale; con tutta questa roba addosso ci sentiamo soli, abbandonati e freddi ed in preda al panico, cominciamo il nostro graduale calvario interiore.
Questo è il momento in cui il processo ha inizio. Un guscio che cede porta ad una chiamata interiore e sarebbe un peccato quasi mortale non rispondere.
Secondo le teorie di Haanel, la vita è crescita e la crescita è cambiamento e ogni periodo, all’incirca delle durata di sette anni ci porta in un nuovo ciclo.
Lottiamo per raggiungere gli obbiettivi che ci siamo prefissati ma nel momento in cui li abbiamo tra le mani ci scivolano tra le dita e tutto l’accumulo della stanchezza dopo tanto agire, ci riporta all’origine.
È questa la grande felicità. L’energia del movimento, l’accettazione che siamo in un divenire costante, la comprensione che ogni stagione ci rimette in vita e allo stesso tempo ci impone a stati di reclusione ma che soprattutto, non possediamo niente, neanche noi stessi, come un “un ruscello in cui possiamo guardare tutte le nostre vite e non vedere mai passare la stessa acqua”.