Oggi mi è stato chiesto di fare un’integrazione ad un lavoro realizzato in passato, piuttosto lungo, credo anche esauriente, e che, al tempo, mi era costato parecchio in termini di risorse impiegate.
L’integrazione da apportare è poca cosa, qualche riga… eppure… questa richiesta mi è entrata dentro come una carica di esplosivo ed ha innescato la crisi. E’ andata dritta, dritta ad intercettare il mio senso del dovere, compagno di vita che certo tanto mi ha aiutato, leva importante per l’efficacia, il raggiungimento degli obiettivi, il risultato, l’azione, ma che ora, in questa delicata fase di transizione, è diventato un “troppo” che non voglio più sostenere.
Il mio viandante interiore ha bisogno di alleggerire lo zaino, di lasciare qualcosa lungo la strada e il senso del dovere è un gran peso…. ma non solo, anche il perfezionismo, la mente controllante, l’eccessivo rigore.
C’è più di una cosa di cui sto cercando, a fatica, di sbarazzarmi. Non è facile dopo tanti anni, non è facile quando quei fardelli sono stati per tutti quegli anni anche i tuoi migliori alleati, le preziose difese che ti hanno salvato la vita.
Ma ora basta, mi sono detta… non servono più… D’ora in poi, per cambiare, c’è bisogno di fare un po’ le cose “alla ca…o”! L’ho focalizzato bene anche durante il corso con Francesca Marchegiano: che cosa potrebbe fare quel viandante per superare i suoi “vorrei…ma…”, varcare quella soglia e trasformarsi, finalmente, in “amante”? “Ce l’ho la risposta, Francesca !”, ho pensato, e l’ho anche scritta…”fare un po’ le cose alla cazzo…”. Sì, è questo.
Dal giorno in cui l’ho scritto, ci sto provando: piccoli tentativi, qualche accenno… prove di volo.
Ma ecco la telefonata, la richiesta…. c’è da fare qualcosa in più…
Accidenti, proprio adesso !!
Io mi sforzo di andare in una direzione e là fuori tirano dall’altra parte. Si scatena il conflitto. L’ambiente chiede, chiede e… io mi sono sempre adeguata all’ambiente. E che caspita !!
Sento il disagio crescere dentro di me, mi innervosisco, comincio a muovermi freneticamente per casa…
Noto che il corpo si sta irrigidendo, il trapezio è di nuovo un blocco di marmo che deve sostenere un fardello pesante. Allora mi fermo, porto l’attenzione al respiro e ascolto… La respirazione è alta, tutta toracica. La gola è chiusa… respiro ancora… Cosa provo? Non capisco… ancora qualche respiro …RABBIA, è rabbia… sì proprio rabbia quella che provo…
Che qualcuno, da fuori, mi faccia sentire ancora il peso di quel fardello mi fa proprio incazzare!!!
Ma è col “fuori” che ce l’ho, o con me stessa ? Con me, che vivo quel “fuori” con tanta serietà, che lascio entrare ogni richiesta troppo nel profondo, con me che ancora vivo le richieste come un “devo”.
Di nuovo qualche respiro e provo a capire dove sento la rabbia nel corpo … E’ qui, in un punto preciso tra il cuore e la gola… ci respiro dentro, ci sto dentro, la visualizzo con un colore, pronuncio il suo nome … rabbia, rabbia… ascolto la qualità della mia voce mentre escono le parole… cambio il tono, l’intensità, prima forte, poi piano, un sussurro… do voce alla mia emozione e ascolto l’effetto che fa.
E, mentre faccio tutto questo, sento che sto dando spazio alla mia rabbia e allora l’accolgo perché …”tutto ciò a cui si resiste, persiste”, e ancora…”bisogna dare diritto di cittadinanza ad ogni parte di noi, anche quelle che ci piacciono meno o non ci piacciono affatto”… avrò pur imparato qualcosa in questi anni di percorso di counselling… quante volte ho sentito e poi ripetuto dentro di me queste frasi… So che sono vere e, mentre continuo a respirare, sento che sono vere anche nel corpo…
La rabbia è salita un po’ più in su, ora è tutta in gola, spinge verso le orecchie, da nera è diventata rossa, quasi arancione. Ma, mentre continuo a scrivere e a respirarci dentro, qualcosa cede… la rabbia s’allenta… immagino di accarezzarla con delicatezza, con compassione… porto la mano alla gola e percepisco il calore, l’energia di quell’emozione. Le ho dato voce, la mia voce… l’ho scritta, con le mie parole… ora sto meglio… è uscita fuori, nell’aria e sulla carta…
E’ questo, Lorenzo, che intendevi, quando mi hai chiesto di descrivere qualche esercizio pratico di lavoro col corpo? “Fallo per te”, mi hai detto, “a me non serve…” Fallo per te … che fatica ! Non so se l’ho fatto per me, ma certamente mi è servito e, in questo momento, non sento “dovere” dentro di me. E’ già molto e ti ringrazio.
L’integrazione da apportare è poca cosa, qualche riga… eppure… questa richiesta mi è entrata dentro come una carica di esplosivo ed ha innescato la crisi. E’ andata dritta, dritta ad intercettare il mio senso del dovere, compagno di vita che certo tanto mi ha aiutato, leva importante per l’efficacia, il raggiungimento degli obiettivi, il risultato, l’azione, ma che ora, in questa delicata fase di transizione, è diventato un “troppo” che non voglio più sostenere.
Il mio viandante interiore ha bisogno di alleggerire lo zaino, di lasciare qualcosa lungo la strada e il senso del dovere è un gran peso…. ma non solo, anche il perfezionismo, la mente controllante, l’eccessivo rigore.
C’è più di una cosa di cui sto cercando, a fatica, di sbarazzarmi. Non è facile dopo tanti anni, non è facile quando quei fardelli sono stati per tutti quegli anni anche i tuoi migliori alleati, le preziose difese che ti hanno salvato la vita.
Ma ora basta, mi sono detta… non servono più… D’ora in poi, per cambiare, c’è bisogno di fare un po’ le cose “alla ca…o”! L’ho focalizzato bene anche durante il corso con Francesca Marchegiano: che cosa potrebbe fare quel viandante per superare i suoi “vorrei…ma…”, varcare quella soglia e trasformarsi, finalmente, in “amante”? “Ce l’ho la risposta, Francesca !”, ho pensato, e l’ho anche scritta…”fare un po’ le cose alla cazzo…”. Sì, è questo.
Dal giorno in cui l’ho scritto, ci sto provando: piccoli tentativi, qualche accenno… prove di volo.
Ma ecco la telefonata, la richiesta…. c’è da fare qualcosa in più…
Accidenti, proprio adesso !!
Io mi sforzo di andare in una direzione e là fuori tirano dall’altra parte. Si scatena il conflitto. L’ambiente chiede, chiede e… io mi sono sempre adeguata all’ambiente. E che caspita !!
Sento il disagio crescere dentro di me, mi innervosisco, comincio a muovermi freneticamente per casa…
Noto che il corpo si sta irrigidendo, il trapezio è di nuovo un blocco di marmo che deve sostenere un fardello pesante. Allora mi fermo, porto l’attenzione al respiro e ascolto… La respirazione è alta, tutta toracica. La gola è chiusa… respiro ancora… Cosa provo? Non capisco… ancora qualche respiro …RABBIA, è rabbia… sì proprio rabbia quella che provo…
Che qualcuno, da fuori, mi faccia sentire ancora il peso di quel fardello mi fa proprio incazzare!!!
Ma è col “fuori” che ce l’ho, o con me stessa ? Con me, che vivo quel “fuori” con tanta serietà, che lascio entrare ogni richiesta troppo nel profondo, con me che ancora vivo le richieste come un “devo”.
Di nuovo qualche respiro e provo a capire dove sento la rabbia nel corpo … E’ qui, in un punto preciso tra il cuore e la gola… ci respiro dentro, ci sto dentro, la visualizzo con un colore, pronuncio il suo nome … rabbia, rabbia… ascolto la qualità della mia voce mentre escono le parole… cambio il tono, l’intensità, prima forte, poi piano, un sussurro… do voce alla mia emozione e ascolto l’effetto che fa.
E, mentre faccio tutto questo, sento che sto dando spazio alla mia rabbia e allora l’accolgo perché …”tutto ciò a cui si resiste, persiste”, e ancora…”bisogna dare diritto di cittadinanza ad ogni parte di noi, anche quelle che ci piacciono meno o non ci piacciono affatto”… avrò pur imparato qualcosa in questi anni di percorso di counselling… quante volte ho sentito e poi ripetuto dentro di me queste frasi… So che sono vere e, mentre continuo a respirare, sento che sono vere anche nel corpo…
La rabbia è salita un po’ più in su, ora è tutta in gola, spinge verso le orecchie, da nera è diventata rossa, quasi arancione. Ma, mentre continuo a scrivere e a respirarci dentro, qualcosa cede… la rabbia s’allenta… immagino di accarezzarla con delicatezza, con compassione… porto la mano alla gola e percepisco il calore, l’energia di quell’emozione. Le ho dato voce, la mia voce… l’ho scritta, con le mie parole… ora sto meglio… è uscita fuori, nell’aria e sulla carta…
E’ questo, Lorenzo, che intendevi, quando mi hai chiesto di descrivere qualche esercizio pratico di lavoro col corpo? “Fallo per te”, mi hai detto, “a me non serve…” Fallo per te … che fatica ! Non so se l’ho fatto per me, ma certamente mi è servito e, in questo momento, non sento “dovere” dentro di me. E’ già molto e ti ringrazio.