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"Essere 'più consapevoli', non 'migliori': siamo già 'unici'" di Maria Cristina Caccia

6/7/2015

1 Comment

 
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Quando intraprendiamo un percorso di crescita e introspezione, sembra che tutto debba andare per forza in un'unica direzione: avanti, senza deviazioni, con la vela issata e mai piegata.
Questa aspettativa rischia, però, di essere eccessivamente "ottimistica": "lavorare" con e per se stessi, andando ad aprire "porte" chiuse o socchiuse in noi, richiede impegno, sacrificio e, a volte, dolore. L'obiettivo è quello di "andare oltre" il disagio oppure la confusione in cui ci sentiamo affogare, ma per raggiungerlo servono: tempo, pazienza, costanza e un'instancabile voglia di mettersi in discussione e di assaporare la propria vulnerabilità.

Essere vulnerabili non significa essere deboli, bensì "umani", limitati, perfettibili, a discapito di un mondo, là fuori, che ci chiede, invece, di essere imbattibili, eccellenti, i migliori. Ritrovare il proprio "filo d'erba", significa riconoscere in noi una parte fragile, perturbabile, condizionabile, frammentata: nostra responsabilità è prenderne atto e cercare di farci amicizia, potenziandola, attingendo da essa come a una fonte da cui può sgorgare "acqua potabile", per abbeverare un nuovo "modo di intendere la nostra integrità e unicità".

Esiste uno stato di consapevolezza che precede il pensiero. Cercalo.
(Kriyananda)


Non si lavora su stessi e "dentro" se stessi per "migliorare": noi abbiamo tutto ciò che serve per poter avanzare nel nostro cammino, ma il più delle volte non ne abbiamo consapevolezza. Quindi il tema non è "fai coaching per migliorare", ma per "conoscerti", di più, meglio, in profondità...

Potrai scoprire un "mondo" che forse può non piacerti, ma ti sorprenderà, se scegli di far cadere i "muri" costruiti attorno al cuore. Sono divisori di cui spesso non si è coscienti, perché sono frutto di automatismi che guidano il nostro agire, eppure ci stanno intorno e, se capita che sentiamo "fame" d'aria, questo è un segnale che la nostra parte più intima e autentica è stanca di rimanere dietro alla parete e vuole "scrivere il suo capitolo". Incominciamo a dare un titolo al nostro primo capitolo: cambiamento. E poi al secondo: scoperta. E poi al terzo: autoconoscenza e al quarto: incontro e apertura. Il quinto: ri-partenza. Il sesto:  ... scrivilo tu!


1 Comment
Maurizio
16/8/2015 04:10:19 pm

Il sesto potrebbe essere Rogersianamente "imparare ad assumersi le proprie responsabilità". Il cambiamento parte da noi, un moto interno che viene sviscerato all'estero, con gradualità, senza dover correre. Ma se è vero che auto migliorarsi è una scelta che mette a nudo le nostre debolezze, le nostre fragilità, è anche vero che dobbiamo guardarci negli occhi e dirci che anche quello che non ci piace è roba nostra. Responsabilmente accettiamola, senza incolpare nessuno di come ci comportiamo e iniziamo e continuiamo nel nostro percorso di miglioramento. Credo che questo ci renda più consapevoli dei nostri limiti, ma anche delle nostre risorse.

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