Se si è riusciti a dire ‘la storia è finita, la relazione è finita, mi separo da te!’ ci si apre alla prateria delle emozioni, alla possibilità di esprimerle e soprattutto di provare a chiudere le cose sospese: le cose non dette, gli sbagli, le incomprensioni, i malintesi.
In ogni relazione, dalla più traumatica, perché non attesa, a quella naturale, perché doveva andare così, la separazione avviene dopo un più o meno lungo periodo di disallineamento dall'altro, dove non sempre la comunicazione è stata aperta e chiarificatrice.
Anzi, è molto frequente il contrario: comunicazioni contraddittorie, comportamenti che feriscono o emozioni che allontanano.
In questa seconda fase, pertanto, il libro delle comunicazioni chiarificatrici si apre con lo scopo di definire i sospesi, se ce ne sono, esprimere eventi, emozioni vissute di conseguenza e reazioni avute. Sia proprie che dell’altro.
In un certo senso si prende la spinta per ripulire le negatività accumulate mediante l’espressione e ci si congeda dall'altro senza il peso di non aver detto o fatto qualcosa.
Le frasi del non detto potrebbero essere espresse con: ‘quello che non ti ho mai detto è…’, ‘quello che non ho potuto dirti è…’.
I dispiaceri nascosti potrebbero essere manifestati con: ‘mi dispiace molto quando ti ho fatto, detto, non ho fatto …’.
Le sofferenze patite o inflitte potrebbero essere spiegate con: ‘ho sofferto molto quando tu … ‘, ‘mi dispiace di averti fatto soffrire in quella occasione …’. E così via.
Qual è il problema di questa fase?
Riuscire ad esprimere contemporaneamente parole chiarificatrici, emozioni sentite e riflessioni sistemiche che considerino non solo l’altro, verso il quale ci si scusa e ci si chiarisce, ma anche l’altro dentro di sé.
Il problema per cui molte persone non riescono ad esprimersi e provare sollievo in questa fase è quella di non voler tornare dentro certi dispiaceri che come calamite risucchiano e disorientano. Non vogliono essere disorientate da se stesse e dalla propria solitudine, rituffate nel proprio lago interiore, in balia di una mancanza di fiducia, energia e direzione, nonostante le chiarificazioni.
Perché questo? Perché l'altro non c'è più e non ci può ascoltare veramente?!
E' vero, l'altro non c’è più, le cose dette sono state tante, le emozioni anche, ma non si tratta ‘solo’ di dire tutto o 'svuotare il sacco', va chiarita la volontà di trovare delle risposte dentro la propria esperienza e confusione: ’cosa sarà di me e come affronterò le ansie della mia vita?’.
In sintesi, oltre alla chiarificazione dei sospesi, occorre sperimentare come in un Koan Zen, l’esperienza del proprio buco nero (un esempio di un Koan Zen è il seguente: ‘focalizzati sulla mano che parla’, scompariranno i pensieri, svaniranno i bisogni e osserverai la natura della tua esperienza).
In pratica, non bisogna temere di sostare nel proprio vuoto e trovare le risposte che sono insite in quello stato. Anche a lungo.
Ci sono buoni esercizi e buoni motivi, per farlo.
In ogni relazione, dalla più traumatica, perché non attesa, a quella naturale, perché doveva andare così, la separazione avviene dopo un più o meno lungo periodo di disallineamento dall'altro, dove non sempre la comunicazione è stata aperta e chiarificatrice.
Anzi, è molto frequente il contrario: comunicazioni contraddittorie, comportamenti che feriscono o emozioni che allontanano.
In questa seconda fase, pertanto, il libro delle comunicazioni chiarificatrici si apre con lo scopo di definire i sospesi, se ce ne sono, esprimere eventi, emozioni vissute di conseguenza e reazioni avute. Sia proprie che dell’altro.
In un certo senso si prende la spinta per ripulire le negatività accumulate mediante l’espressione e ci si congeda dall'altro senza il peso di non aver detto o fatto qualcosa.
Le frasi del non detto potrebbero essere espresse con: ‘quello che non ti ho mai detto è…’, ‘quello che non ho potuto dirti è…’.
I dispiaceri nascosti potrebbero essere manifestati con: ‘mi dispiace molto quando ti ho fatto, detto, non ho fatto …’.
Le sofferenze patite o inflitte potrebbero essere spiegate con: ‘ho sofferto molto quando tu … ‘, ‘mi dispiace di averti fatto soffrire in quella occasione …’. E così via.
Qual è il problema di questa fase?
Riuscire ad esprimere contemporaneamente parole chiarificatrici, emozioni sentite e riflessioni sistemiche che considerino non solo l’altro, verso il quale ci si scusa e ci si chiarisce, ma anche l’altro dentro di sé.
Il problema per cui molte persone non riescono ad esprimersi e provare sollievo in questa fase è quella di non voler tornare dentro certi dispiaceri che come calamite risucchiano e disorientano. Non vogliono essere disorientate da se stesse e dalla propria solitudine, rituffate nel proprio lago interiore, in balia di una mancanza di fiducia, energia e direzione, nonostante le chiarificazioni.
Perché questo? Perché l'altro non c'è più e non ci può ascoltare veramente?!
E' vero, l'altro non c’è più, le cose dette sono state tante, le emozioni anche, ma non si tratta ‘solo’ di dire tutto o 'svuotare il sacco', va chiarita la volontà di trovare delle risposte dentro la propria esperienza e confusione: ’cosa sarà di me e come affronterò le ansie della mia vita?’.
In sintesi, oltre alla chiarificazione dei sospesi, occorre sperimentare come in un Koan Zen, l’esperienza del proprio buco nero (un esempio di un Koan Zen è il seguente: ‘focalizzati sulla mano che parla’, scompariranno i pensieri, svaniranno i bisogni e osserverai la natura della tua esperienza).
In pratica, non bisogna temere di sostare nel proprio vuoto e trovare le risposte che sono insite in quello stato. Anche a lungo.
Ci sono buoni esercizi e buoni motivi, per farlo.