Spesso dinnanzi ad un evento inaspettato e con risvolti negativi tutti ci poniamo la domanda “Ma perché è successo proprio a me? Perché sono così sfortunato!”.
Queste espressioni possono essere frutto del nostro disappunto, della nostra rabbia, della nostra rassegnazione o semplicemente dell’incapacità di affrontare il nuovo evento.
In questi frangenti la domanda che più comunemente ci poniamo è “cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?”
Talvolta però nel ricercare una risposta poniamo l’attenzione unicamente all’esterno di noi stessi, riversando così “la colpa” dell’accaduto sugli altri, anche quando forse una vera colpa non c’è. Così facendo ci costruiamo attorno il ruolo della vittima alla quale non resta alcuna alternativa all’autocompassione.
Questa scelta però ci mette nella posizione di vederci come gli unici esseri che soffrono, le uniche persone alle quali la vita ha riservato delle difficoltà, smettiamo di apprezzare gli aspetti e gli accadimenti positivi della nostra esistenza, che ovviamente continuano ad esserci.
E se provassimo a spostare il nostro sguardo?
Se quando ci poniamo la fatidica domanda “cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?” scegliessimo di guardarci dentro, con serenità e con affetto?
Potremmo trovare delle spiegazioni o alcune delle cause dell’accaduto nei nostri comportamenti, nelle nostre abitudini, nei nostri modi di fare.
Potremmo scoprire che a volte siamo noi a determinare, anche parzialmente più o meno volontariamente, alcuni eventi.
Potremmo anche scoprire che non sempre c’è un vero legame tra le nostre azioni e l’accaduto e che questo legame potrebbe anche non esserci con la volontà altrui.
E così facendo potremmo scoprire che talvolta ciò che accade non è frutto di una colpa, ma non è neanche una punizione, è solo una cosa accaduta.
Queste espressioni possono essere frutto del nostro disappunto, della nostra rabbia, della nostra rassegnazione o semplicemente dell’incapacità di affrontare il nuovo evento.
In questi frangenti la domanda che più comunemente ci poniamo è “cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?”
Talvolta però nel ricercare una risposta poniamo l’attenzione unicamente all’esterno di noi stessi, riversando così “la colpa” dell’accaduto sugli altri, anche quando forse una vera colpa non c’è. Così facendo ci costruiamo attorno il ruolo della vittima alla quale non resta alcuna alternativa all’autocompassione.
Questa scelta però ci mette nella posizione di vederci come gli unici esseri che soffrono, le uniche persone alle quali la vita ha riservato delle difficoltà, smettiamo di apprezzare gli aspetti e gli accadimenti positivi della nostra esistenza, che ovviamente continuano ad esserci.
E se provassimo a spostare il nostro sguardo?
Se quando ci poniamo la fatidica domanda “cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?” scegliessimo di guardarci dentro, con serenità e con affetto?
Potremmo trovare delle spiegazioni o alcune delle cause dell’accaduto nei nostri comportamenti, nelle nostre abitudini, nei nostri modi di fare.
Potremmo scoprire che a volte siamo noi a determinare, anche parzialmente più o meno volontariamente, alcuni eventi.
Potremmo anche scoprire che non sempre c’è un vero legame tra le nostre azioni e l’accaduto e che questo legame potrebbe anche non esserci con la volontà altrui.
E così facendo potremmo scoprire che talvolta ciò che accade non è frutto di una colpa, ma non è neanche una punizione, è solo una cosa accaduta.