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'E' donando che si riceve' di Monia Zanon

17/7/2018

1 Comment

 
Foto
Tra i principali bisogni dell’umanità c’è la necessità di contribuire. Eppure nel tempo è accaduto qualcosa di strano: si è perduto il vero significato delle parole e al loro posto è stata messa una etichetta che spesso può confondere. Come professionista nella relazione d’aiuto osservo spesso questa nomenclatura attraverso la manifestazione delle credenze umane durante i colloqui. Molti clienti mi raccontano di non sentirsi utili, di non capire perché sono al mondo. Altrettanti credono di sapere cosa li farebbe sentire realizzati nella vita, eppure si trovano sguarniti di mezzi per farcela. È come se nel dialogo interiore tra le diverse parti di noi perdessimo di vista il focus. Come accade a vecchie fotografie di cui si intravvedono le sagome ma non ne comprendiamo a pieno la forma. Eppure l’esistenza è maestra nel mostrarci l’essenza di questa foto, e come il vento, riesce a sollevarne i bordi, svelando ciò che sta al disotto. Ecco che se analizziamo i momenti in cui abbiamo provato più gioia, potremmo scorgere quei lampi in cui abbiamo donato qualcosa di noi: un aiuto o anche un semplice sorriso. Spontaneamente. Senza aver preparato grandi elaborazioni o strutture prima. Come accade nelle situazioni più belle: inaspettatamente! E forse non indossavamo proprio il nostro vestito migliore, i capelli non erano così in ordine o l’alito così fresco … eppure è accaduto! Era il momento giusto, ed è accaduto.

Solleviamo il velo
Nelle sessioni individuali mi accade sovente che il mio cliente mi porti progetti di come vorrebbe vedersi al servizio. Vedersi, appunto! Tuttavia non di rado, sfugge l’autentico significato della parola servizio, che con il verbo vedere, ha poco a che fare. Senz’altro si tratta di una delle parole più abusate. Nella fitta trama delle convinzioni che coniano etichette, solleviamo il velo. Un velo che assomiglia di più in questo caso, ad una coperta a doppio ritorto, poiché  la parola servizio viene a prendere nel tempo una connotazione allarmante, pesante, carica di responsabilità e doveri, con strascichi che rasentano modalità dispregiative, umilianti, che ci ancorano mentalmente a sacrificio e fastidio, a servilismo e prostrazione. Ciò probabilmente è dovuto al fatto che, nella nostra cultura, il termine servo viene associato a qualcosa di offensivo, mortificante. Sicuramente veniamo a trovarci in tal modo, lontani anni luce da una figura che svolge le sue mansioni con amore. Eppure, a ben vedere, il servo non ha compiti diversi da quelli che svolgerebbe una mamma. La mamma è l’effige che meglio rappresenta la parola essere al servizio, poiché essa si dedica ai nostri bisogni infantili e non troviamo in questo nulla di umiliante o mortificante. Essa è una figura saggia che spesso anticipa di gran lunga ciò che potrebbe servire al suo piccolo. Saggia e matrona, amorevole e giusta, a volte severa e ferma, altre soffice e taumaturgica. Tutti noi possiamo facilmente immaginare il servizio, quando si fa soffio fresco sul ginocchio sbucciato, mano calda a massaggiare il pancino dolente o bocca che sente la temperatura del piccolo corpo febbricitante del bimbo … essere al servizio, per l’appunto! La mamma spesso, nel suo essere al servizio, è punto di riferimento: un faro.

Essere al servizio: dono di sé
Parola che anticamente doveva connettersi invece alla gioia di potersi sentire amorevolmente utili e produrre abbondanza. La parola servizio ne è colma, traboccante: è la quintessenza della produttività, creatività allo stato puro, benessere che è, e crea ben-stare. Sentirsi attraverso il servizio completi. Interi. Degni di consumare le risorse della terra, perché contribuenti attraverso il nostro operato. Operato che è pura manifestazione dei talenti. Talenti che ci permettono di essere responsabili. Cioè, come vuole l’antico significato della parola responsabile: rispondere delle proprie abilità. La gioia può scaturire dall’essere al servizio perché ci si sente utili, ci si sente di contribuire, di rappresentare una risorsa, così facendo l’autostima cresce. Tutta la nostra vita, il nostro esistere allora prende luce e logica improvvisamente,  e si ha chiara l’immagine della foto, come se tutto e tutti ora si mostrassero a fuoco.

E io, mi sento al servizio?
A questo punto potremmo chiederci:
- In che modo sto usando il mio tempo in questo momento? Sto mettendo al servizio della collettività ciò che mi riesce meglio?
-In che modo posso migliorare il mio servizio?

La società ha bisogno di luce
La società ha bisogno di fari come la mamma, ha necessità di figure di riferimento come il papà, ha desiderio impellente di mani tese. Sarà quindi utile smettere di aspettarsi dall’esterno ciò che per primi potremmo offrire.
​
La società è fatta di persone
A questo punto sarebbe interessante chiedersi:
-E io che persona sono?
- Cosa posso offrire per migliorare la situazione?
Come in tutte le cose vige il buon senso, chi prima se ne accorge viene chiamato a mostrare agli altri come fare. Mi immagino così un futuro che può chiamarsi ed essere tranquillamente oggi, fatto di servizio, di contributo e abbondanza, di responsabilità del singolo che produrrà responsabilità sociale.

All’unisono
Forse ognuno di noi, sepolta al di sotto di chili di confusione, ha questa come missione ultima: trovare il proprio modo di servire. 
1 Comment
Gabriele Barbieri
15/10/2018 11:38:57 pm

Emozionante e stimolante.. complimenti!

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