L’elevato numero di contenziosi civili pendenti davanti alle autorità giudiziarie italiane sta accentuando il solco esistente tra società civile e amministrazione della giustizia. Inoltre, la cattiva reputazione del funzionamento della giustizia civile italiana scoraggia gli investitori stranieri, con evidenti ricadute negative sulla nostra economia.
Si rende, quindi, necessaria un’evoluzione degli strumenti di governo delle controversie civili in vista del perseguimento di una maggiore coesione sociale.
Le A. D. R. (Alternative Dispute Resolution) sono procedimenti pensati per una definizione “alternativa” (rispetto a quella giudiziaria) delle vertenze civili e commerciali. Esse sono state concepite con lo scopo di ridurre il flusso in ingresso di nuove cause nel sistema della giustizia ordinaria civile, offrendo al cittadino uno strumento più semplice e veloce per la definizione delle vertenze, con tempi e costi certi.
Lo strumento della Mediazione, in particolare, ha il potenziale di generare e negoziare regole che riescono a gestire l’incertezza emersa con l’insorgere della controversia attraverso la cooperazione tra mediatore e parti in conflitto.
Nel suo ruolo, il mediatore opera affinché le parti dedichino tempo e spazio a riconfigurare le proprie modalità di governo del processo interattivo verso la generazione di regole condivise.
Se si pensa a cosa avviene in un intervento di mediazione, quanto appena rilevato può apparire ancora più evidente. In una mediazione, infatti, mettendo le parti nelle condizioni di descrivere in modo reciprocamente condivisibile la realtà della controversia, il mediatore, da un lato, rende possibile a ciascuna parte di anticipare scenari di evoluzione degli assetti attuali, dall’altro, sollecita tutte le parti a generare obiettivi comuni, a costruire strategie per realizzarli e a osservare l’efficacia e la qualità delle rispettive modalità interattive.
In altri termini, la mediazione genera un processo conoscitivo, la cui attuazione mette le parti nelle condizioni di configurare e usare nuove competenze nella gestione degli assetti interattivi, promuovendo, nel quadro così delineatosi, la responsabilizzazione di coloro che condividono tempi, spazi, beni e relazioni, rispetto alla costruzione delle regole, che rendono possibile la condivisione stessa.
In questa prospettiva, il mediatore non è altro che un membro della comunità che esercita competenze di interazione a livello specialistico, tanto da poter gestire questo processo di costruzione di conoscenza.
In questo scenario, è possibile comprendere quanto rilevante sia il profilo di competenze che deve possedere il mediatore per poter operare come “architetto di comunità”. La gestione della conflittualità richiede, infatti, stabilità emotiva e capacità di gestione dello stress, igiene mentale, equilibrio psicologico ed etica personale (dall’integrità alla struttura globale dell’identità personale). Si tratta, pertanto, di quelle competenze personali, sociali e metodologiche che dalla psicologia del lavoro vengono comunemente definite soft skills.
Nel caso in cui ci si trovi impegnati nella gestione di un conflitto risulterà dunque fondamentale, per l’operatore, riuscire a concentrarsi completamente su ciò che viene detto dalle parti nel contesto dei bisogni da questi espressi.
Occorrerà, in particolare, sostenere e favorire l’auto-espressione o, comunque, la spontaneità dei propri interlocutori allo scopo di dare libero sfogo e chiarire la situazione che ha generato l’intervento dell’operatore. Sotto questo profilo, appare necessario evitare di dare giudizi o pareri prima di spostarsi alla fase successiva.
L’approccio olistico del metodo “STEP Consapevole” consente di sintonizzarsi sulle preoccupazioni dell’interlocutore, sui suoi obiettivi, sui suoi valori e sulle sue convinzioni. Sarà pertanto fondamentale - per la gestione dell’intero processo di ascolto - saper distinguere tra le parole, il tono della voce e il linguaggio del corpo della parte. Sarà inoltre importante accogliere le persone coinvolte in un conflitto con parole d’apertura, partecipando al dialogo con attenzione, con una postura aperta e con un buon contatto oculare, riconoscendo gli eventuali segnali di ascolto e di comprensione dell’interlocutore.
L’operatore deve inoltre essere capace di “osservare” i contenuti del dialogo, ovvero ciò che l’altro dice con le parole (verbale) e ciò che non dice con il silenzio, ma anche “come" dice le cose (paraverbale), facendo attenzione agli sguardi, alla gestualità (non verbale) di come l’interlocutore si presenta e si muove.
Nel procedimento di mediazione, in particolare, sarà utile comprendere il contesto (familiare, sociale, lavorativo) in cui le persone vivono, per analizzarne i vissuti, gli schemi di riferimento culturali ed i valori. A tal fine, occorrerà porre la massima attenzione alla “narrazione” delle parti, avendo presente che le posizioni da queste espresse in un conflitto sono solo il c.d. problema apparente, ovvero l’argomento di disaccordo e di tensione che rappresenta lo strato “visibile” di una situazione conflittuale. In effetti, il c.d. conflitto apparente ha la funzione di “mascherare” il conflitto reale, che bisogna saper riconoscere, se si vuole arrivare ad una vera soluzione del problema.
Il conflitto reale è, dunque, il vero problema da cui nasce il conflitto, la causa sotterranea da cui nasce la discussione. Esso, in genere, è collegato a problemi di autostima, abbandono, inadeguatezza, senso di colpa, insicurezza, fallimento, ed è sempre legato ad aspetti intimi della persona, che in genere risalgono al periodo dell’infanzia.
Va tenuto presente che è impossibile cooperare alla risoluzione di un conflitto, se prima non si individua uno spazio fisico e psicologico in cui operare. In ogni caso, è utile considerare che il conflitto è un processo produttivo, che può portare le parti ad una conoscenza più profonda dei loro rapporti e, quindi, auspicabilmente, ad una soluzione migliore per tutti, quando ci si assume la responsabilità dei propri sentimenti e delle proprie azioni.
Alla luce delle definizioni sopra riportate, un operatore olistico esperto di conflitti svilupperà la capacità di concentrarsi completamente su ciò che le parti stanno dicendo o non stanno dicendo, sostenendone l’auto-espressione e la spontaneità.
L’operatore utilizzerà l’ascolto “attivo” per comprendere e analizzare le preoccupazioni, gli obiettivi, i valori, le convinzioni stesse del suo interlocutore, sapendo distinguere tra le parole, il tono della voce e il linguaggio del corpo dell’interlocutore. Inoltre, sarà capace di parafrasare, reiterare, rispecchiare ciò che la parte/il cliente ha detto, per assicurare chiarezza e comprensione.
Egli, prima di passare alla successiva fase del problem solving, incoraggerà, accetterà, esplorerà e rinforzerà l’espressione di sentimenti, percezioni, preoccupazioni, convinzioni e suggestioni del proprio interlocutore, permettendogli di dare libero sfogo e di chiarire la situazione senza giudizi o pareri.
Essere “empatici” verso ciò che l’altro prova implica, pertanto, essere capaci di ascoltare il “detto” e, soprattutto, il “non detto” del proprio interlocutore. Come osserva Lorenzo Manfredini, infatti, «Saper comunicare significa non solo costruire in modo logico e fluido un discorso o un testo, ma anche saper adattare il contenuto e la forma in base al tema da trattare e al nostro interlocutore/pubblico».
Imparare a trovare soluzioni quanto più possibile semplici a problemi complessi diventerà, quindi, un’attività “creativa”, che consentirà all’operatore olistico di aiutare le parti, di trovare idee o soluzioni alternative, innovando o inventando ciò che prima non esisteva.
Si rende, quindi, necessaria un’evoluzione degli strumenti di governo delle controversie civili in vista del perseguimento di una maggiore coesione sociale.
Le A. D. R. (Alternative Dispute Resolution) sono procedimenti pensati per una definizione “alternativa” (rispetto a quella giudiziaria) delle vertenze civili e commerciali. Esse sono state concepite con lo scopo di ridurre il flusso in ingresso di nuove cause nel sistema della giustizia ordinaria civile, offrendo al cittadino uno strumento più semplice e veloce per la definizione delle vertenze, con tempi e costi certi.
Lo strumento della Mediazione, in particolare, ha il potenziale di generare e negoziare regole che riescono a gestire l’incertezza emersa con l’insorgere della controversia attraverso la cooperazione tra mediatore e parti in conflitto.
Nel suo ruolo, il mediatore opera affinché le parti dedichino tempo e spazio a riconfigurare le proprie modalità di governo del processo interattivo verso la generazione di regole condivise.
Se si pensa a cosa avviene in un intervento di mediazione, quanto appena rilevato può apparire ancora più evidente. In una mediazione, infatti, mettendo le parti nelle condizioni di descrivere in modo reciprocamente condivisibile la realtà della controversia, il mediatore, da un lato, rende possibile a ciascuna parte di anticipare scenari di evoluzione degli assetti attuali, dall’altro, sollecita tutte le parti a generare obiettivi comuni, a costruire strategie per realizzarli e a osservare l’efficacia e la qualità delle rispettive modalità interattive.
In altri termini, la mediazione genera un processo conoscitivo, la cui attuazione mette le parti nelle condizioni di configurare e usare nuove competenze nella gestione degli assetti interattivi, promuovendo, nel quadro così delineatosi, la responsabilizzazione di coloro che condividono tempi, spazi, beni e relazioni, rispetto alla costruzione delle regole, che rendono possibile la condivisione stessa.
In questa prospettiva, il mediatore non è altro che un membro della comunità che esercita competenze di interazione a livello specialistico, tanto da poter gestire questo processo di costruzione di conoscenza.
In questo scenario, è possibile comprendere quanto rilevante sia il profilo di competenze che deve possedere il mediatore per poter operare come “architetto di comunità”. La gestione della conflittualità richiede, infatti, stabilità emotiva e capacità di gestione dello stress, igiene mentale, equilibrio psicologico ed etica personale (dall’integrità alla struttura globale dell’identità personale). Si tratta, pertanto, di quelle competenze personali, sociali e metodologiche che dalla psicologia del lavoro vengono comunemente definite soft skills.
Nel caso in cui ci si trovi impegnati nella gestione di un conflitto risulterà dunque fondamentale, per l’operatore, riuscire a concentrarsi completamente su ciò che viene detto dalle parti nel contesto dei bisogni da questi espressi.
Occorrerà, in particolare, sostenere e favorire l’auto-espressione o, comunque, la spontaneità dei propri interlocutori allo scopo di dare libero sfogo e chiarire la situazione che ha generato l’intervento dell’operatore. Sotto questo profilo, appare necessario evitare di dare giudizi o pareri prima di spostarsi alla fase successiva.
L’approccio olistico del metodo “STEP Consapevole” consente di sintonizzarsi sulle preoccupazioni dell’interlocutore, sui suoi obiettivi, sui suoi valori e sulle sue convinzioni. Sarà pertanto fondamentale - per la gestione dell’intero processo di ascolto - saper distinguere tra le parole, il tono della voce e il linguaggio del corpo della parte. Sarà inoltre importante accogliere le persone coinvolte in un conflitto con parole d’apertura, partecipando al dialogo con attenzione, con una postura aperta e con un buon contatto oculare, riconoscendo gli eventuali segnali di ascolto e di comprensione dell’interlocutore.
L’operatore deve inoltre essere capace di “osservare” i contenuti del dialogo, ovvero ciò che l’altro dice con le parole (verbale) e ciò che non dice con il silenzio, ma anche “come" dice le cose (paraverbale), facendo attenzione agli sguardi, alla gestualità (non verbale) di come l’interlocutore si presenta e si muove.
Nel procedimento di mediazione, in particolare, sarà utile comprendere il contesto (familiare, sociale, lavorativo) in cui le persone vivono, per analizzarne i vissuti, gli schemi di riferimento culturali ed i valori. A tal fine, occorrerà porre la massima attenzione alla “narrazione” delle parti, avendo presente che le posizioni da queste espresse in un conflitto sono solo il c.d. problema apparente, ovvero l’argomento di disaccordo e di tensione che rappresenta lo strato “visibile” di una situazione conflittuale. In effetti, il c.d. conflitto apparente ha la funzione di “mascherare” il conflitto reale, che bisogna saper riconoscere, se si vuole arrivare ad una vera soluzione del problema.
Il conflitto reale è, dunque, il vero problema da cui nasce il conflitto, la causa sotterranea da cui nasce la discussione. Esso, in genere, è collegato a problemi di autostima, abbandono, inadeguatezza, senso di colpa, insicurezza, fallimento, ed è sempre legato ad aspetti intimi della persona, che in genere risalgono al periodo dell’infanzia.
Va tenuto presente che è impossibile cooperare alla risoluzione di un conflitto, se prima non si individua uno spazio fisico e psicologico in cui operare. In ogni caso, è utile considerare che il conflitto è un processo produttivo, che può portare le parti ad una conoscenza più profonda dei loro rapporti e, quindi, auspicabilmente, ad una soluzione migliore per tutti, quando ci si assume la responsabilità dei propri sentimenti e delle proprie azioni.
Alla luce delle definizioni sopra riportate, un operatore olistico esperto di conflitti svilupperà la capacità di concentrarsi completamente su ciò che le parti stanno dicendo o non stanno dicendo, sostenendone l’auto-espressione e la spontaneità.
L’operatore utilizzerà l’ascolto “attivo” per comprendere e analizzare le preoccupazioni, gli obiettivi, i valori, le convinzioni stesse del suo interlocutore, sapendo distinguere tra le parole, il tono della voce e il linguaggio del corpo dell’interlocutore. Inoltre, sarà capace di parafrasare, reiterare, rispecchiare ciò che la parte/il cliente ha detto, per assicurare chiarezza e comprensione.
Egli, prima di passare alla successiva fase del problem solving, incoraggerà, accetterà, esplorerà e rinforzerà l’espressione di sentimenti, percezioni, preoccupazioni, convinzioni e suggestioni del proprio interlocutore, permettendogli di dare libero sfogo e di chiarire la situazione senza giudizi o pareri.
Essere “empatici” verso ciò che l’altro prova implica, pertanto, essere capaci di ascoltare il “detto” e, soprattutto, il “non detto” del proprio interlocutore. Come osserva Lorenzo Manfredini, infatti, «Saper comunicare significa non solo costruire in modo logico e fluido un discorso o un testo, ma anche saper adattare il contenuto e la forma in base al tema da trattare e al nostro interlocutore/pubblico».
Imparare a trovare soluzioni quanto più possibile semplici a problemi complessi diventerà, quindi, un’attività “creativa”, che consentirà all’operatore olistico di aiutare le parti, di trovare idee o soluzioni alternative, innovando o inventando ciò che prima non esisteva.