Un libro interessante e piacevole sui temi della creatività e dell’innovazione, non ancora tradotto in italiano, è “Insight out” di Tina Seelig, pubblicato nel 2016 e sottotitolato “Get ideas out of your head and into the world”: letteralmente “Tira fuori le idee dalla tua testa e portale nel mondo”. L’autrice dirige percorsi avanzati di creatività, innovazione e imprenditorialità presso il Dipartimento di Scienze di Management e Ingegneria dell’Università di Stanford; ed è una speaker assai apprezzata nel circuito TED. Scrive la Seelig:
Tra questi, la capacità di deviare da canoni e princìpi noti per produrre ed esprimere idee originali; in altri termini, la “disobbedienza” alle idee dominanti. Perché questo accada, ci deve essere l’attitudine a ridefinire e ristrutturare le proprie esperienze e conoscenze. È un’attitudine che deriva dalla motivazione interna dell’individuo, principalmente dalla fiducia in se stesso, dal coraggio e dal senso di autonomia che, insieme, alimentano la capacità di pensare fuori dagli schemi. Grazie alla volontà, l’essere umano è capace di produrre oggi nuovi modi di essere per domani. La disposizione creativa esiste sempre in potenza e può essere sviluppata.
La creatività nasce dunque da un atto di disobbedienza e si sviluppa nell’immaginare e dare il benvenuto a ipotesi di futuro migliore.
Siamo tutti – adulti e bambini – in grado di percepire qualcosa che sorprende la nostra “aspettativa di normalità” (quella che il cervello umano predilige); in altre parole, qualcosa che non è immediatamente gestibile dalle nostre risorse cognitive e crea una sorta di discontinuità. Perché allora in qualche caso la creatività si attiva e in altri no? Perché entrano in gioco filtri abilitanti oppure ostativi, di natura esperienziale, culturale e forse anche genetica, che portano rapidamente le percezioni a livello della coscienza e poi generano – o no – la volontà di elaborarle.
Credo che vi sia un momento magico in cui questa volontà si esprime “liberando” domande istantanee, genuine e intriganti, che sgorgano senza sforzo dal cuore o, chissà, dal profondo di un inconscio che forse ha già sperimentato quella discontinuità e ne porta un’impronta genetica.
Thomas Mann (1875-1955) inizia il suo romanzo “Le storie di Giacobbe” con le parole: “Profondo è il pozzo del passato”; e Fabio Marzocca (1956, ingegnere, scrittore e cultore di Psicoantropologia simbolica (disciplina che non conosco) commenta: “Talvolta questo pozzo è insondabile e può apparire lontano e superato, eppure è dal suo contenuto che prendono vita tutte le nostre azioni e decisioni quotidiane. È il substrato fondamentale, la materia prima da cui attingere le connessioni fondamentali della nostra creatività.”
Dal recupero di queste connessioni, può nascere un flusso generatore di idee originali che paiono quasi materializzarsi, sfuggire, ricomporsi e riallinearsi, generando nuove emozioni e nuovi apprendimenti. Ogni volta che ciò accade, si apre la porta al nuovo, al più bello, al più armonioso, al più robusto, efficiente, veloce… (e altri aggettivi) rispetto a prima; e soprattutto – come scrisse il matematico francese Henri Poincaré – al più utile di prima: "Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove e utili".
Qui, un punto di attenzione. Se la nozione di nuovo è riconducibile a una dimensione temporale, che non ha evidenti significati etici, quella di utile presuppone un qualche giudizio, uno o più valori di riferimento: utile per chi e per quale fine? Il linguaggio comune riferisce implicitamente la creatività a un ordine etico buono, positivo per la specie, ma la storia ha abbondantemente dimostrato che l’uomo può essere creativo anche nel male.
Per questo è importante invece recuperare la positività: la creatività dell’essere umano ha bisogno di luce e d’ispirazione. Di luce, in senso metafisico, per dar contorno e ombre a una possibilità, alla percezione istantanea di una qualche entità prima sconosciuta; d’ispirazione per animarla, ossia darle spirito e senso evolutivo – e molto si potrebbe scrivere ancora sull’ispirazione. Ognuno può trovare le fonti d’ispirazione che più gli risuonano.
- “La creatività può essere sviluppata affinando la propria capacità di osservare e imparare, connettendo e combinando idee, ridefinendo i problemi e andando oltre le prime “risposte giuste”. Si può potenziare il proprio output creativo frequentando o istituendo ambienti che promuovano la soluzione di problemi e supportino la generazione di nuove idee; costruendo team ottimizzati per l’innovazione e sviluppando una cultura che incoraggia la sperimentazione.”
Tra questi, la capacità di deviare da canoni e princìpi noti per produrre ed esprimere idee originali; in altri termini, la “disobbedienza” alle idee dominanti. Perché questo accada, ci deve essere l’attitudine a ridefinire e ristrutturare le proprie esperienze e conoscenze. È un’attitudine che deriva dalla motivazione interna dell’individuo, principalmente dalla fiducia in se stesso, dal coraggio e dal senso di autonomia che, insieme, alimentano la capacità di pensare fuori dagli schemi. Grazie alla volontà, l’essere umano è capace di produrre oggi nuovi modi di essere per domani. La disposizione creativa esiste sempre in potenza e può essere sviluppata.
La creatività nasce dunque da un atto di disobbedienza e si sviluppa nell’immaginare e dare il benvenuto a ipotesi di futuro migliore.
Siamo tutti – adulti e bambini – in grado di percepire qualcosa che sorprende la nostra “aspettativa di normalità” (quella che il cervello umano predilige); in altre parole, qualcosa che non è immediatamente gestibile dalle nostre risorse cognitive e crea una sorta di discontinuità. Perché allora in qualche caso la creatività si attiva e in altri no? Perché entrano in gioco filtri abilitanti oppure ostativi, di natura esperienziale, culturale e forse anche genetica, che portano rapidamente le percezioni a livello della coscienza e poi generano – o no – la volontà di elaborarle.
Credo che vi sia un momento magico in cui questa volontà si esprime “liberando” domande istantanee, genuine e intriganti, che sgorgano senza sforzo dal cuore o, chissà, dal profondo di un inconscio che forse ha già sperimentato quella discontinuità e ne porta un’impronta genetica.
Thomas Mann (1875-1955) inizia il suo romanzo “Le storie di Giacobbe” con le parole: “Profondo è il pozzo del passato”; e Fabio Marzocca (1956, ingegnere, scrittore e cultore di Psicoantropologia simbolica (disciplina che non conosco) commenta: “Talvolta questo pozzo è insondabile e può apparire lontano e superato, eppure è dal suo contenuto che prendono vita tutte le nostre azioni e decisioni quotidiane. È il substrato fondamentale, la materia prima da cui attingere le connessioni fondamentali della nostra creatività.”
Dal recupero di queste connessioni, può nascere un flusso generatore di idee originali che paiono quasi materializzarsi, sfuggire, ricomporsi e riallinearsi, generando nuove emozioni e nuovi apprendimenti. Ogni volta che ciò accade, si apre la porta al nuovo, al più bello, al più armonioso, al più robusto, efficiente, veloce… (e altri aggettivi) rispetto a prima; e soprattutto – come scrisse il matematico francese Henri Poincaré – al più utile di prima: "Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove e utili".
Qui, un punto di attenzione. Se la nozione di nuovo è riconducibile a una dimensione temporale, che non ha evidenti significati etici, quella di utile presuppone un qualche giudizio, uno o più valori di riferimento: utile per chi e per quale fine? Il linguaggio comune riferisce implicitamente la creatività a un ordine etico buono, positivo per la specie, ma la storia ha abbondantemente dimostrato che l’uomo può essere creativo anche nel male.
Per questo è importante invece recuperare la positività: la creatività dell’essere umano ha bisogno di luce e d’ispirazione. Di luce, in senso metafisico, per dar contorno e ombre a una possibilità, alla percezione istantanea di una qualche entità prima sconosciuta; d’ispirazione per animarla, ossia darle spirito e senso evolutivo – e molto si potrebbe scrivere ancora sull’ispirazione. Ognuno può trovare le fonti d’ispirazione che più gli risuonano.
L’importanza di questo si ritrova nel lavoro della Seelig, che descrive il “ciclo dell’invenzione”: l’uomo ispirato immagina, visualizza e libera la creatività; la creatività, che a priori non ha confini, genera un flusso di idee, alternative, opzioni; quando tra queste viene fatta una scelta, nasce un processo che chiamiamo innovazione, in cui le idee prendono forma e nascono ipotesi di concretezza. Infine, perché l’innovazione sia effettivamente fruibile, serve la volontà di investire in essa; e questa è imprenditorialità. Se nella fase d’immaginazione è importante visualizzare ciò che non c’è, nella fase imprenditoriale è importante non adagiarsi nel successo ottenuto, comunque misurato, e continuare a lasciarsi ispirare da ciò che accade.
L’ispirazione è dunque il ponte tra l’imprenditorialità e la successiva fase creativa, per permettere al ciclo di rinnovarsi.
Concludo con una riflessione. Così schematizzato, il ciclo appare semplice; ma il percorso è inevitabilmente accidentato. Nel mondo reale, volatile, incerto, complesso, ambiguo, ogni passo rivela vastità inattese e nuove opportunità. Si può esplorare, non trovare nulla e tornare indietro, provare nuove strade con salite faticose e discese rischiose – e non è detto che ci sia un punto d’arrivo; ma è importante che vi sia movimento, per la sopravvivenza dell’essere umano e per preservare ciò che lo distingue come specie.
Senza imprenditorialità, l’innovazione resta sconosciuta e la creatività resta sterile; ma senza creatività l’innovazione si prosciuga e il ciclo virtuoso si interrompe.
Concludo con una riflessione. Così schematizzato, il ciclo appare semplice; ma il percorso è inevitabilmente accidentato. Nel mondo reale, volatile, incerto, complesso, ambiguo, ogni passo rivela vastità inattese e nuove opportunità. Si può esplorare, non trovare nulla e tornare indietro, provare nuove strade con salite faticose e discese rischiose – e non è detto che ci sia un punto d’arrivo; ma è importante che vi sia movimento, per la sopravvivenza dell’essere umano e per preservare ciò che lo distingue come specie.
Senza imprenditorialità, l’innovazione resta sconosciuta e la creatività resta sterile; ma senza creatività l’innovazione si prosciuga e il ciclo virtuoso si interrompe.