Credo sia evidente a tutti che esiste una coscienza famigliare e collettiva.
Ma, è una buona idea rimettere ordine alle ingiustizie avvenute nelle generazioni precedenti?
Secondo Hellingher (Psicologo e Psicoterapeuta delle costellazioni famigliari) certamente ‘sì’, altrimenti si potrebbe rimanere segregati in tre tipi di possibili irretimenti.
1. Qualcuno è morto prematuramente? ‘Ti seguo nella morte, nella malattia o nel destino’;
2. Qualcuno ha sofferto? ‘Preferisco morire io al posto tuo’, o ‘preferisco andare io in vece tua’,
3. Qualcuno ha commesso gravi errori? ‘Voglio espiare la tua (o mia) colpa.
Chissà se da bambini, o da adulti, abbiamo avvertito che nella nostra famiglia qualcosa non ha funzionato, se si sono percepiti dei torti o si è avvertito una irresistibile esigenza di compensare tali soprusi senza riuscirci?
Se sì, quale tipo di situazioni stiamo rappresentando o soffrendo in vita affinché possiamo ritrovare un ordine? Un ordine interiore evidentemente, pena una ‘coercizione ripetitiva sistemica’.
Qual è il problema, secondo Hellinger, per chi vive da vicino tutto ciò?
Che ripetere gli errori non rimette a posto le cose. Inoltre, sobbarcarsi il destino degli esclusi, di quelli che inconsapevolmente si accollano la coscienza della stirpe, significa mettersi sul capo una bella corona di spine.
I veri colpevoli, quelli che hanno creato i problemi, non necessariamente se la cavano male. Hanno agito, nel bene o nel male e hanno pagato in vita le loro azioni. Chi si accolla le conseguenze nelle generazioni successive, invece, è il sistema e in particolare qualcuno del sistema, anche se innocente.
La coscienza del gruppo, pertanto, è tremenda perché non ha un senso di giustizia per i discendenti, ma solo per i predecessori. I predecessori se la cavano, ma lasciano in eredità qualcosa di cui qualcun’altro se ne dovrà occupare.
E’ questo uno dei motivi che può spiegare la sensibilità alle sofferenze che subiamo in vita e che ci esorta a riconoscere dinamiche collettive più profonde?
Il senso della vita rischia di perdersi se le cose spiacevoli si ripetono senza farci nulla, o quando perdiamo il diritto di appartenenza a un sistema o subiamo un’ingiustizia. In quei casi, la mancata risoluzione, si trasforma in irretimento. Beffa e danno, dunque: non si è responsabili, perché i responsabili sono altri, non si è consapevoli di un danno, perché non si è colpevoli e si vive una responsabilità sistemica, senza esserne al corrente.
In qualche modo siamo responsabili di ciò che è accaduto nel nostro sistema. Il sistema è il luogo senza tempo e senza spazio dove viviamo problemi che richiedono di essere risolti.
E’ possibile tutto ciò? E come si fa?
Nell'ordine delle cose si recuperano i fatti, la tolleranza emotiva, l’accettazione e il senso della vita, e si crea una nuova costellazione. Qualcosa che ha un senso profondo per noi. E la si esplora per far emergere chiarezza, risolvere le paure e vedere la realtà.
E’ una catarsi. Viene di dire che la ‘malattia’ diventa dono, almeno in questa prospettiva.
Quando si esce da una identificazione malata, si accettano le cose così come sono in accordo con la malattia, la morte e il destino proprio e degli altri. Si smette di espiare per qualcuno o per qualcosa. Si accetta che i propri sforzi a volte non servono e che la propria sofferenza non può salvare nessuno, soprattutto quelli che non ci sono più.
Ma, è una buona idea rimettere ordine alle ingiustizie avvenute nelle generazioni precedenti?
Secondo Hellingher (Psicologo e Psicoterapeuta delle costellazioni famigliari) certamente ‘sì’, altrimenti si potrebbe rimanere segregati in tre tipi di possibili irretimenti.
1. Qualcuno è morto prematuramente? ‘Ti seguo nella morte, nella malattia o nel destino’;
2. Qualcuno ha sofferto? ‘Preferisco morire io al posto tuo’, o ‘preferisco andare io in vece tua’,
3. Qualcuno ha commesso gravi errori? ‘Voglio espiare la tua (o mia) colpa.
Chissà se da bambini, o da adulti, abbiamo avvertito che nella nostra famiglia qualcosa non ha funzionato, se si sono percepiti dei torti o si è avvertito una irresistibile esigenza di compensare tali soprusi senza riuscirci?
Se sì, quale tipo di situazioni stiamo rappresentando o soffrendo in vita affinché possiamo ritrovare un ordine? Un ordine interiore evidentemente, pena una ‘coercizione ripetitiva sistemica’.
Qual è il problema, secondo Hellinger, per chi vive da vicino tutto ciò?
Che ripetere gli errori non rimette a posto le cose. Inoltre, sobbarcarsi il destino degli esclusi, di quelli che inconsapevolmente si accollano la coscienza della stirpe, significa mettersi sul capo una bella corona di spine.
I veri colpevoli, quelli che hanno creato i problemi, non necessariamente se la cavano male. Hanno agito, nel bene o nel male e hanno pagato in vita le loro azioni. Chi si accolla le conseguenze nelle generazioni successive, invece, è il sistema e in particolare qualcuno del sistema, anche se innocente.
La coscienza del gruppo, pertanto, è tremenda perché non ha un senso di giustizia per i discendenti, ma solo per i predecessori. I predecessori se la cavano, ma lasciano in eredità qualcosa di cui qualcun’altro se ne dovrà occupare.
E’ questo uno dei motivi che può spiegare la sensibilità alle sofferenze che subiamo in vita e che ci esorta a riconoscere dinamiche collettive più profonde?
Il senso della vita rischia di perdersi se le cose spiacevoli si ripetono senza farci nulla, o quando perdiamo il diritto di appartenenza a un sistema o subiamo un’ingiustizia. In quei casi, la mancata risoluzione, si trasforma in irretimento. Beffa e danno, dunque: non si è responsabili, perché i responsabili sono altri, non si è consapevoli di un danno, perché non si è colpevoli e si vive una responsabilità sistemica, senza esserne al corrente.
In qualche modo siamo responsabili di ciò che è accaduto nel nostro sistema. Il sistema è il luogo senza tempo e senza spazio dove viviamo problemi che richiedono di essere risolti.
E’ possibile tutto ciò? E come si fa?
Nell'ordine delle cose si recuperano i fatti, la tolleranza emotiva, l’accettazione e il senso della vita, e si crea una nuova costellazione. Qualcosa che ha un senso profondo per noi. E la si esplora per far emergere chiarezza, risolvere le paure e vedere la realtà.
E’ una catarsi. Viene di dire che la ‘malattia’ diventa dono, almeno in questa prospettiva.
Quando si esce da una identificazione malata, si accettano le cose così come sono in accordo con la malattia, la morte e il destino proprio e degli altri. Si smette di espiare per qualcuno o per qualcosa. Si accetta che i propri sforzi a volte non servono e che la propria sofferenza non può salvare nessuno, soprattutto quelli che non ci sono più.