‘Non vorrei rispondere al telefono’, mi dice la direttrice dell’albergo dove ho prenotato un convegno che ho dovuto disdire a causa delle iniziative prese per contenere il Coronavirus in Veneto.
Sta accadendo qualcosa di molto spiacevole che riguarda l’economia, la società, le istituzioni, le persone.
Non siamo attrezzati e così, a cascata, dalle riunioni del presidente del consiglio e della protezione civile, alle riunioni delle singole istituzioni, aziende, famiglie, si cerca tutti di dare risposte a qualcosa che tocca in profondità i nostri equilibri emotivi, i nostri comportamenti, le nostre abitudini.
Si sperimenta una situazione di incertezza, soprattutto!
Una manager mi dice: ’ma come faremo se questa crisi si protrae per un periodo prolungato? Tre mesi, sei mesi, come si ipotizza? Avremo perdite che non sappiamo prevedere. Altro che Coronavirus!’. E’ la paura che uccide, è l’istinto che prevale, è l’angoscia che ti assale. Non il Coronavirus!’.
Manca l’immagine di un futuro alternativo possibile, mancano le strategie di contenimento di una crisi che è sociale e personale. Mancano le coordinate di fiducia nelle proprie capacità di rispondere a questa ‘influenza’ subdola.
Temiamo per il nostro stile di vita. Temiamo di non poter sostenere, davvero, i cambiamenti che ci aspettano.
Prevale il sistema limbico e con esso il sistema immunitario, con cui dobbiamo collaborare con buon senso e con comportamenti razionali, ma soprattutto creativi.
Bisognerà sapersi fermare, chiedersi di che cosa abbiamo veramente timore e scopriremo che non è la morte che temiamo e nemmeno la sopravvivenza. Il mondo non si ferma e continua a girare.
Piuttosto, ciò che temiamo è la paura, è l’ansia, è l’impotenza del nostro Io che in questi casi, preso dal panico, chiude le strade all’immaginazione, alla creatività, alle opportunità. Anche quella di fare un passo indietro e uno dentro dove recuperare quel respiro che sa affrontare l’emergenza del Coronavirus, non come una catastrofe, ma come una opportunità per riequilibrare valori, forze e prospettive.
Sta accadendo qualcosa di molto spiacevole che riguarda l’economia, la società, le istituzioni, le persone.
Non siamo attrezzati e così, a cascata, dalle riunioni del presidente del consiglio e della protezione civile, alle riunioni delle singole istituzioni, aziende, famiglie, si cerca tutti di dare risposte a qualcosa che tocca in profondità i nostri equilibri emotivi, i nostri comportamenti, le nostre abitudini.
Si sperimenta una situazione di incertezza, soprattutto!
Una manager mi dice: ’ma come faremo se questa crisi si protrae per un periodo prolungato? Tre mesi, sei mesi, come si ipotizza? Avremo perdite che non sappiamo prevedere. Altro che Coronavirus!’. E’ la paura che uccide, è l’istinto che prevale, è l’angoscia che ti assale. Non il Coronavirus!’.
Manca l’immagine di un futuro alternativo possibile, mancano le strategie di contenimento di una crisi che è sociale e personale. Mancano le coordinate di fiducia nelle proprie capacità di rispondere a questa ‘influenza’ subdola.
Temiamo per il nostro stile di vita. Temiamo di non poter sostenere, davvero, i cambiamenti che ci aspettano.
Prevale il sistema limbico e con esso il sistema immunitario, con cui dobbiamo collaborare con buon senso e con comportamenti razionali, ma soprattutto creativi.
Bisognerà sapersi fermare, chiedersi di che cosa abbiamo veramente timore e scopriremo che non è la morte che temiamo e nemmeno la sopravvivenza. Il mondo non si ferma e continua a girare.
Piuttosto, ciò che temiamo è la paura, è l’ansia, è l’impotenza del nostro Io che in questi casi, preso dal panico, chiude le strade all’immaginazione, alla creatività, alle opportunità. Anche quella di fare un passo indietro e uno dentro dove recuperare quel respiro che sa affrontare l’emergenza del Coronavirus, non come una catastrofe, ma come una opportunità per riequilibrare valori, forze e prospettive.