Ne sono successe di cose ultimamente. Si vuole sapere chi scambia la vita per la sicurezza, chi stimola la paura e chi decide nell'indifferenza. Si vuole sapere chi si approfitta dei momenti difficili, chi ha il cuore di pietra e l’anima insensibile. Si vuole sapere perché accade tutto questo e come affrontarlo.
In queste circostanze, ci rendiamo conto che il tempo non si utilizza in modo alternativo e non ci arricchisce come persone. Muoversi in fretta, comprare il cellulare all'ultima moda, accedere all'ultima notizia, entrare nei giochi amministrativi, ci seda, ci intorpidisce, ci confonde e ci fa perdere ‘gravità specifica’: l’essenza di chi e cosa siamo.
Quali strumenti abbiamo, ci chiediamo Umberto Baglietti (Formatore e Coach) ed io, per affrontare questo momento panico? Basta respirare in modo consapevole, mangiare meglio, muoverci di più? Solidarizzare?
Bastano queste cose, pur molto apprezzate e positive, per derogare i pagamenti di bollette e mutui? Lavorare sopravvento e/o riorganizzare la propria vita?
In momenti come questo, tutti i buoni consigli e gli aforismi che leggiamo su ogni social sembrano chiacchiere che irritano. Almeno a me fanno questo effetto. Non incidono realmente sul momento che viviamo.
La realtà di ogni giorno è immensamente più complessa di qualsiasi interpretazione. Dietro ogni risposta c’è, sempre più nidificato, un nuovo problema da affrontare. E nuove domande da soddisfare.
Quindi, cosa serve davvero in questi momenti così difficili? Ce lo chiediamo, sia come persone che come professionisti dell’ascolto e dell’aiuto.
A cosa serve sapere che una persona è stata diagnosticata, ospedalizzata, intubata e che, intorno a lei, la famiglia si è fermata in angosciosa attesa? Che diversi centri abitati sono diventati zone rosse e i suoi abitanti contagiosi? A cosa servono queste informazioni così dettagliate? E così invadenti!?
Probabilmente, le informazioni date dai media servono a solidarizzare, a sviluppare empatia verso i deboli e a dare informazioni utili.
Tutte cose buone, naturalmente, ma come fa una persona a digerire questa massa di informazioni che fluttuano nella sua mente, di giorno e di notte. Come si fa a depurare la mente dall'attrazione perversa che il disagio altrui e i problemi di una comunità attirano?
Come sappiamo, il pensiero influenza la chimica delle emozioni e le notizie che arrivano si materializzano come spazzatura nella nostra economia interiore.
E allora, cosa serve per stare bene con noi stessi nonostante tutto? Occorre fermarsi, affidarsi al buon senso di ciascuno e cercare spunti interessanti, soprattutto.
Fare pulizia dei pensieri inquinanti, ad esempio. Riconoscere i propri bisogni e ripartire proprio da lì. Non dalle urgenze, ma dai bisogni.
‘Mi ascolto, sento di cosa ho necessità’. Probabilmente basta poco.
Mentre ci si addentra nel fiume panico, può essere utile cercare persone e fonti che mostrino prospettive positive. Che ci restituiscano una lettura della realtà fluida, flessibile, nuova.
Non siamo abituati a stare nell'incertezza e nella precarietà. Eppure, sempre più persone, la vivono così. Una realtà fluida e sempre più paludosa. Ci dobbiamo adattare.
Come professionisti dell’aiuto, abbiamo bisogno di trasferire alle persone che ci circondano, un modo di vivere la precarietà come progetto, azione, cambiamento. Proponendo scenari non speculativi, ma orientati alla salute olistica. Magari riuscendo ad aprire un cassetto dei sogni e mettendo mano a qualche progetto. Soprattutto quelli generati dalla magia di intuizione e passione.
Oggi, non possiamo più guardare alla sicurezza o alla pensione come un punto di arrivo. Oggi ci dobbiamo regalare una nuova prospettiva. E può essere utile, come succede al Pinocchio di Carmelo Bene, che invecchia ma non cresce, superare i limiti emotivi e lasciare che il tempo scorra senza infilarci in una depressione reattiva prolungata.
In queste circostanze, ci rendiamo conto che il tempo non si utilizza in modo alternativo e non ci arricchisce come persone. Muoversi in fretta, comprare il cellulare all'ultima moda, accedere all'ultima notizia, entrare nei giochi amministrativi, ci seda, ci intorpidisce, ci confonde e ci fa perdere ‘gravità specifica’: l’essenza di chi e cosa siamo.
Quali strumenti abbiamo, ci chiediamo Umberto Baglietti (Formatore e Coach) ed io, per affrontare questo momento panico? Basta respirare in modo consapevole, mangiare meglio, muoverci di più? Solidarizzare?
Bastano queste cose, pur molto apprezzate e positive, per derogare i pagamenti di bollette e mutui? Lavorare sopravvento e/o riorganizzare la propria vita?
In momenti come questo, tutti i buoni consigli e gli aforismi che leggiamo su ogni social sembrano chiacchiere che irritano. Almeno a me fanno questo effetto. Non incidono realmente sul momento che viviamo.
La realtà di ogni giorno è immensamente più complessa di qualsiasi interpretazione. Dietro ogni risposta c’è, sempre più nidificato, un nuovo problema da affrontare. E nuove domande da soddisfare.
Quindi, cosa serve davvero in questi momenti così difficili? Ce lo chiediamo, sia come persone che come professionisti dell’ascolto e dell’aiuto.
A cosa serve sapere che una persona è stata diagnosticata, ospedalizzata, intubata e che, intorno a lei, la famiglia si è fermata in angosciosa attesa? Che diversi centri abitati sono diventati zone rosse e i suoi abitanti contagiosi? A cosa servono queste informazioni così dettagliate? E così invadenti!?
Probabilmente, le informazioni date dai media servono a solidarizzare, a sviluppare empatia verso i deboli e a dare informazioni utili.
Tutte cose buone, naturalmente, ma come fa una persona a digerire questa massa di informazioni che fluttuano nella sua mente, di giorno e di notte. Come si fa a depurare la mente dall'attrazione perversa che il disagio altrui e i problemi di una comunità attirano?
Come sappiamo, il pensiero influenza la chimica delle emozioni e le notizie che arrivano si materializzano come spazzatura nella nostra economia interiore.
E allora, cosa serve per stare bene con noi stessi nonostante tutto? Occorre fermarsi, affidarsi al buon senso di ciascuno e cercare spunti interessanti, soprattutto.
Fare pulizia dei pensieri inquinanti, ad esempio. Riconoscere i propri bisogni e ripartire proprio da lì. Non dalle urgenze, ma dai bisogni.
‘Mi ascolto, sento di cosa ho necessità’. Probabilmente basta poco.
Mentre ci si addentra nel fiume panico, può essere utile cercare persone e fonti che mostrino prospettive positive. Che ci restituiscano una lettura della realtà fluida, flessibile, nuova.
Non siamo abituati a stare nell'incertezza e nella precarietà. Eppure, sempre più persone, la vivono così. Una realtà fluida e sempre più paludosa. Ci dobbiamo adattare.
Come professionisti dell’aiuto, abbiamo bisogno di trasferire alle persone che ci circondano, un modo di vivere la precarietà come progetto, azione, cambiamento. Proponendo scenari non speculativi, ma orientati alla salute olistica. Magari riuscendo ad aprire un cassetto dei sogni e mettendo mano a qualche progetto. Soprattutto quelli generati dalla magia di intuizione e passione.
Oggi, non possiamo più guardare alla sicurezza o alla pensione come un punto di arrivo. Oggi ci dobbiamo regalare una nuova prospettiva. E può essere utile, come succede al Pinocchio di Carmelo Bene, che invecchia ma non cresce, superare i limiti emotivi e lasciare che il tempo scorra senza infilarci in una depressione reattiva prolungata.